(EMI, Parlophone, 1988)
Musica per chi se ne va. In silenzio, lentamente, senza clamore. Le luci si spengono e il tempo si dilata in un flusso a scorrimento continuo, non più costretto nei ritmi ossessivi del mondo reale. Spirit of Eden è una bolla che galleggia al di là dell’epoca del suo concepimento e che si muove liberamente, al di là di qualsiasi rotta conosciuta (se non, in quegli anni, da David Sylvian). “Create a home within my head”. Il mondo esterno non esiste più, negli 11 mesi che Mark Hollis e Tim Friese-Greene trascorrono nella vecchia chiesa londinese riadattata a studio di registrazione (Wessex Studios), messa loro a disposizione dalla EMI per comporre quello che, per la casa discografica, sarebbe dovuto essere l’ennesimo disco da alta classifica. Ma in quei mesi del 1987 i Talk Talk che tutti conoscevano se ne sono andati. Lontani dai riflettori, dai concerti, dalle interviste, dai video musicali. Lontani dai suoni e dalle atmosfere del passato. Chiusi in un laboratorio illuminato solo da luci psichedeliche e avvolto nel fumo dell’incenso, sperimentano con la materia sonora, denudandola fino al silenzio più assoluto e ricostruendola fino al rumore. Il risultato è una musica che scorre talmente fluida, tra continui saliscendi di intensità e dinamica, da sembrare concepita da un gruppo jazz in perfetta armonia, mentre in realtà nasce nella mente di Hollis e Friese-Greene e prende vita dopo che innumerevoli strumentisti si sono succeduti in sessioni di improvvisazione, poi ricomposte in post produzione. “Spirit of Eden è un’illusione”, per usare le parole di Hugh Davies, che al disco ha collaborato. Un’illusione che i vecchi Talk Talk utilizzano per andarsene per sempre. Evaporati nella loro stessa musica. Una musica che, invece, rimarrà in eterno.
[R.T.]
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Talk Talk – Spirit of Eden
(EMI, Parlophone, 1988)
Music for those who leave. Silently, slowly, without clamour. Lights go out and time expands in a continuous flow, no longer forced into the obsessive rhythms of the real world. Spirit of Eden is a bubble floating beyond the time of its conception and moving freely, beyond any known route (with the only exception, in those years, of David Sylvian). “Create a home within my head”. The outside world doesn't exist anymore, in the 11 months that Mark Hollis and Tim Friese-Greene spend at the Wessex Studios (an old London church adapted to a recording studio) made available to them by EMI to compose what, for the record company, should have been another high ranking record. But in those months of 1987 those Talk Talk known by everyone were gone. Away from the spotlight, from concerts, from interviews, from music videos. Far from the sounds and atmospheres of the past. Closed in a laboratory illuminated only by psychedelic lights and wrapped in the smoke of incense, they experiment with the sound matter, denuding it to the most absolute silence and reconstructing it until the noise. The outcome is a music that, among continuous ups and downs of intensity and dynamics, flows so smoothly to seem conceived by a jazz band in perfect harmony, while actually born in the mind of Hollis and Friese-Greene and come to life after countless instrumentalists have succeeded in improvisation sessions, then recomposed in post-production. "Spirit of Eden is an illusion", to use the words of Hugh Davies, who collaborated on the record. An illusion that the old Talk Talk use to leave forever. Evaporated in their own music. A music that, instead, will last forever.
[R.T.]