venerdì 21 dicembre 2018

Low – Double Negative


Low – Double Negative
(Sub Pop, 2018)

Ho conosciuto i Low una sera d’estate del 2003, in Piazzale Michelangelo a Firenze. Suonavano di spalla ai Radiohead, e alle loro spalle si apriva la visione della città dall’alto, con le curve dell’Arno che scivolavano tra i monumenti. La delicata, fragile e romantica musica del gruppo americano lasciò perplesso gran parte del pubblico, che attendeva gli inni generazionali di Karma Police, Creep e High and Dry, non accorgendosi che i Radiohead, in tour per promuovere Hail to the Thief, erano già oltre. Anzi, erano tornati “indietro”, scarnificando le loro canzoni da slanci di emotività corale verso un’intimità e una solitudine ricche di atmosfere autunnali e sperimentazioni elettroniche. Un’intimità perfettamente in sintonia con quella dei Low - icona di quel rock indipendente al quale la band di Thom Yorke guardava con sempre maggiore ammirazione. Quindici anni dopo, ascoltando Double Negative, è ancora più evidente quanto i Radiohead (e con loro i Low) avessero ragione, ed il loro pubblico torto. Il rock che conoscevamo negli anni '90 è ormai morto, e ciò che ne rimane sono schegge di melodia e rumore nascoste nel sottosuolo, dove elettrico ed elettronico convivono. Frammenti che, in questo 2018, i Low mettono su disco come se fossero riflessioni personali e momenti di vita vissuta raccolti in un diario, senza una trama organizzata e lineare, né tantomeno facilmente decifrabile. Non è più tempo per atti di resistenza basati sulla condivisione della sofferenza e dell’inadeguatezza da racchiudere in memorabili singoli radiofonici. Il nuovo millennio ha generato frammentazione della società, alienazione e solitudine. Attraverso eteree melodie e malinconici intrecci vocali, demoliti da pulsazioni di rumore elettronico ai limiti dell’industrial, i Low cantano l'ormai avvenuta disgregazione - sia personale che sociale. Mai così tanto vicini ai Radiohead di quindici anni fa, ma anche ai lunghi silenzi dei Bark Psychosis, o alla dissoluzione melodica dei My Bloody Valentine, per non parlare degli esperimenti che da Peter Gabriel giungono a Chelsea Wolfe, i Low ci regalano una musica rappresentativa del presente in cui viviamo. Una musica che nella sua profonda oscurità è una luce di speranza proprio per il fatto di esistere nonostante tutto.
[R.T.]
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Low – Double Negative
(Sub Pop, 2018)

I knew Low one summer evening in 2003, in Piazzale Michelangelo in Florence. They played as support band for Radiohead, and behind them there was an amazing view of the town from up above the hill, with the curves of Arno sliding between monuments. The delicate, fragile and romantic music of the American band puzzled most of the audience, who was waiting for the generational anthems of Karma Police, Creep and High and Dry, not realizing that Radiohead, on tour to promote Hail to the Thief, were already gone beyond. Actually, they had come "back", scarifying their songs from the rush of choral emotionality towards an intimacy and a solitude full of autumnal atmospheres and electronic experiments. An intimacy perfectly in tune with that owned by Low - icon of that independent rock to which Thom Yorke's band was watching with increasing admiration. Fifteen years later, listening to Double Negative, it is even more evident how much Radiohead (and with them Low) were right, and their public wrong. The rock we knew in the 90s is now dead, and what remains of it are splinters of melody and noise hidden in the subsoil, where electric and electronic coexist. Fragments that, in this 2018, Low put on record as if they were personal reflections and life moments collected in a diary, without an organized and linear plot, nor easily decipherable. It is no longer time for acts of resistance based on the sharing of suffering and inadequacy to be contained in memorable radio singles. The new millennium has generated fragmentation of society, alienation and loneliness. Through ethereal melodies and melancholic vocal interlaces, demolished by pulsations of electronic noise at the limits of industrialism, Low sing the by now occurred disintegration - both personal and social. Never so close to fifteen-years-ago-Radiohead, but also never so close to Bark Psychosis' long silences, or to My Bloody Valentine's melodic dissolution, not to mention the experiments that from Peter Gabriel come to Chelsea Wolfe, Low give us a music which representative of the present in which we live. A music that in its profound obscurity is a light of hope precisely because it exists in spite of everything.
[R.T.]

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