venerdì 28 settembre 2018

Les Lekin – Died with Fear


Les Lekin – Died with Fear
(Tonzonen Records, 2017)

Cogliere l’attimo. Cristallizzare quell’istante di ispirazione irripetibile e assolutamente unica che può scaturire solo dall’improvvisazione libera. Fotografare la vita mentre scorre, e non dopo averla obbligata a mettersi in posa. Questo è ciò che una registrazione di musica psichedelica dovrebbe riuscire a ottenere. E questo è ciò che i Les Lekin riescono a fotografare con il loro secondo album, Died with Fear. Una musica in continuo movimento e trasformazione, nata da jam sessions, difficile da immaginare racchiusa nello spazio di un disco, ma della quale il trio austriaco riesce ad offrirci un fermo immagine splendidamente a fuoco e centrato. La chitarra sa dove piazzare i soggetti (i fraseggi melodici) all’interno della cornice fotografica, forse per una recondita sensibilità progressiva. Ma se in band affini come i Monkey 3 la componente razionale della composizione è predominante, nei Les Lekin tutto appare così fluido e naturale da ricondurre la musica della band a quella capacità di saper congelare l’ispirazione nell’istante in cui questa prende vita, modellandola e rielaborandola in un secondo tempo, certo, ma mai cercando di costruirla a posteriori. Died with Fear è un disco acquatico, che alterna delicata risacca a tempeste oceaniche, talvolta nebulizzandosi come le onde che impattano sulla scogliera. Inafferrabile e, proprio per questo, meravigliosamente vivo.
[R.T.]
***

Les Lekin – Died with Fear
(Tonzonen Records, 2017)

Seize the day. Crystallize that moment of unrepeatable and absolutely unique inspiration that can only spring from free improvisation. Photographing life as it flows, and not after having forced it to pose. This is what a recording of psychedelic music should be able to achieve. And this is what Les Lekin photograph with their second album, Died with Fear. Music in continuous movement and transformation, born from jam sessions, hard to imagine enclosed in the space of a record: yet the Austrian trio succeeds in offering us a splendidly focused and centered still image of it. Guitar knows where to place subjects (namely melodic phrasings) inside the photographic frame, perhaps for a recondite progressive sensitivity. But if in similar bands like Monkey 3 the rational element of composition is predominant, in Les Lekin everything appears so fluid and natural that it brings back band's music to that ability to freeze the inspiration at the moment when it comes to life, modeling it and reworking it later, of course, but never trying to build it afterwards. Died with Fear is an aquatic album, which alternates delicate undertow with ocean storms, sometimes nebulising itself like waves impacting the cliff. Elusive and, precisely for this reason, wonderfully alive.
[R.T.]

giovedì 20 settembre 2018

Lee Ranaldo - 13.09.2018 - Lumiere (Pisa)


Lee Ranaldo - 13.09.2018 - Lumiere (Pisa)

Immagini, per lo più sgranate. Suoni, per lo più noise e lavorati. Parole, un fiume di frammenti personali. Il risultato? Più di due ore di videoproiezioni, concerto e chiaccherata con un musicista che è parte della storia della musica, che insieme a Kim Gordon, Thurston Moore e Steve Shelley ha fondato un genere musicale seminale, che ha registrato sotto major e ha suonato nelle più grandi arene in tutto il mondo, e - a 60 anni - ti guarda con due occhi enormi da bambino, dal palco di un piccolo storico ex cinema, in una piccola città dello stivale, e ancora ti emoziona e ti sorprende. Perché le canzoni da solista di Lee Ranaldo sono poesie messe in musica. Hanno la bellezza e semplicità delle filastrocche. E al tempo stesso la potenza e la profondità di un background musicale (passato e presente) come pochi altri possono vantare. La modulazione e trasformazione della materia sonora sono impressionanti: con "soltanto" la sua chitarra, gli effetti, l'archetto, le bacchette della batteria, le campanelle tibetane e lo smartphone, Lee Ranaldo riempe tutto il palco e tutta la sala. E' uno, ma potrebbe essere un'intera band. Non manca niente. L'altro elemento che colpisce, è la sua voce. Diversissima da come si è abituati a sentirla negli album dei Sonic Youth, dal vivo - ancor più che su disco - colpisce per la sua pienezza e purezza, per quella nota solo a tratti malinconica, più spesso sognatrice, con cui dà vita ai suoi testi.

Se la scaletta del concerto è tutta incentrata sul suo ultimo album (Electric Trim) - aprendosi con la stupenda Moroccan Mountains e concludendosi con l'altrettanto intensa Thrown over the Wall - la prima e l'ultima parte del set spaziano invece su ciò che Lee Ranaldo è stato e su ciò che potrebbe/vorrebbe essere in futuro. Le video proiezioni si aprono con Glenn Branca (fra i principali motori della no wave newyorkese) e nella loro totalità si concentrano su un'idea, che è commistione di arte e musica, ricerca del rumore e del suono come espressione di uno stato dell'anima, di un sentire che diventa materia tangibile, da vedere ed ascoltare. La chiaccherata verte (inevitabilmente?) sui Sonic Youth, e su cosa hanno rappresentato e rappresentano ancora per Lee Ranaldo. Ma si sofferma anche sulle sue origini come artista visuale (mai abbandonate) e sulle ricerche e attività musicali presenti. Sulla carriera solista e sulla lavorazione del prossimo album. Sembra annullato il confine fra palco e platea. Sembra che potresti continuare ad ascoltarlo - e a parlarci - all'infinito. E forse potrebbe davvero essere così. Di fatto, alla fine di tutto, Lee Ranaldo è nell'ingresso a fare due parole con tutti quelli che vogliono fermarsi un attimo. Autografa libri e scambia battute. Ed invita anche chi ne ha voglia ad accompagnarlo a fare un giro in Piazza dei Miracoli.

Ok, è evidente. Così come sono una grande fan dei Sonic Youth, lo sono altrettanto di Lee Ranaldo. In realtà il mio entusiasmo è frutto della mia sorpresa. Da un musicista come lui ti aspetti sicuramente un bel concerto e una bella performance. Ma quello a cui ho assistito è stato qualcosa di più. E' un po' il sogno "romantico" di chi vorrebbe che un artista fosse ancora un essere umano, pieno di entusiasmo e voglia di sperimentare e comunicare, anche dopo quasi quarant'anni di carriera e dopo il successo mondiale. Questo è quello che è accaduto ieri sera, per me. Ed è un'esperienza davvero rara e preziosa.
[E.R.] 
  

***

Lee Ranaldo - 09.13.2018 - Lumiere (Pisa)

Images, mostly grainy. Sounds, mostly noisy and processed. Words, a river of personal fragments. The outcome? More than two hours of video projections, concert and chat with a musician who is part of the history of music, who together with Kim Gordon, Thurston Moore and Steve Shelley founded a seminal music genre, who recorded under majors and played in the biggest arenas all over the world, and - at the age of 60 - looks at you with two huge eyes as a child, from the stage of a small historical former cinema, in a small town of the Italian boot, and still moves you and surprises you. Because Lee Ranaldo's solo songs are poems set to music. They have the beauty and simplicity of nursery rhymes. And at the same time the power and depth of a (past and present) musical background as few others can boast. Modulation and transformation of the sound matter are impressive: with "only" his guitar, the effects, the bow, the drumsticks, the Tibetan bells and the smartphone, Lee Ranaldo fills the whole stage and the whole hall. He is one, but it could be an entire band. Nothing is missing. The other striking element is his voice. Really different from how we are used to hearing it in Sonic Youth albums, live - even more than on record - it is impressive for its fullness and purity, for that only at times melancholic, more often dreamy, note with which he gives life to his lyrics.


If the setlist of the concert is all focused on his latest album (Electric Trim) - opening with the beautiful Moroccan Mountains and ending with the equally intense Thrown over the Wall - the first and the last part of the set range instead from what Lee Ranaldo was to what he could/would like to be in the future. Video projections open with Glenn Branca (among the main driving forces of New York no wave) and in their entirety they focus on an idea, which is a mixture of art and music, research of noise and sound as an expression of a state of the soul, of a feeling that becomes tangible matter, to be seen and heard. The chat is (inevitably?) about Sonic Youth and what they represented and still represent for Lee Ranaldo. But he also dwells on his (never abandoned) origins as a visual artist and on present musical researches and activities. On his solo career and on the making of the next album. The boundary between stage and audience seems to have been canceled. It seems you could continue to listen to him - and talk to him - endlessly. And maybe it could really be like this. Indeed, at the end of it all, Lee Ranaldo is in the hall talking with everyone who wants to stop with him for a moment. He autographs books and makes small chats. And he also invites people to accompany him to Piazza dei Miracoli to see the leaning tower.

Well, it's evident. As I am a big fan of Sonic Youth, so I am of Lee Ranaldo. To be honest, my enthusiasm is the result of my surprise. From a musician like him you surely expect a great concert and a great performance. But what I witnessed was something more. It is a bit like the "romantic" dream of those who would like an artist to be still a human being, full of enthusiasm and desire to experiment and communicate, even after almost forty years of career and after worldwide success. This is what happened last night for me. And it is a truly rare and precious experience.
[E.R.]

lunedì 17 settembre 2018

Monsternaut – Enter the Storm


Monsternaut – Enter the Storm
(Heavy Psych Sounds, 2018)

La Chevrolet Chevelle che i Monsternaut avevano rubato ai Fu Manchu è stata ora modificata in un pesante camion con rimorchio. L’auto con la quale i tre finlandesi avevano sfrecciato lungo i territori dello stoner più adrenalinico con i due stupendi EP autoprodotti e poi ristampati in unico LP dalla Heavy Psych Sounds nel 2016, è ora un TIR da 20 tonnellate che si muove al rallentatore, e che schiaccia tutto ciò che incontra. Niente più accelerazioni brucianti, né sgommate o testacoda. La libertà di manovra e l’agilità sono drasticamente ridotte in favore di un’andatura possente e decisa che non teme ostacoli. I riff sono sempre pompatissimi grazie al fuzz carico di diesel, ma i gas di scarico sono più densi che mai, di un colore prossimo al nero del doom metal. I Monsternaut hanno preso la patente alla scuola guida di Scott Hill e lo stile di riferimento rimane quello imparato dal biondo chitarrista americano, ma i finlandesi si sono accorti che la capote aperta e gli occhiali da Sole non sono adeguati per tutte le stagioni alle loro latitudini. Si sono dunque attrezzati con un mezzo più solido, forse non il più indicato per portare la tavola da surf in spiaggia o una cassa di birra ad una festa, ma perfetto per fare scorta di legna per l’inverno.
[R.T.]
***

Monsternaut – Enter the Storm
(Heavy Psych Sounds, 2018)

The Chevrolet Chevelle that Monsternaut had stolen from Fu Manchu has now been transformed into a heavy truck with a trailer. The car with which the three Finns had raced along the territories of the most adrenaline stoner with two great self-produced EPs then reissued in a single LP by Heavy Psych Sounds in 2016, is now a 20 tons articulated lorry moving in slow motion and crushing everything it meets on its way. No more burning accelerations, or screeching or spinning out. Freedom of movement and agility are drastically reduced in favour of a strong determined pace that does not fear obstacles. Riffs are still ultra-pumped up thanks to a fuzz full of diesel, but the exhaust gas is denser than ever, its colour close to the black of doom metal. Monsternaut took their driving license at Scott Hill's driving school and the style of reference remains the one learned by the blond American guitarist, but the Finns have realized that open folding hood and sunglasses are not suitable for all seasons at their latitudes. Therefore they equipped with a more solid vehicle, perhaps not the most suitable to bring the surf board to the beach or a beer crate to a party, but perfect for storing wood for the winter.
[R.T.]

mercoledì 12 settembre 2018

Crystal Mountain Festival - Day 2

 

Crystal Mountain Festival - Day 2
[The Atomic Bitchwax + Libido Fuzz + Deadsmoke + Les Lekin + Blitz Pop + Black is? Just a dark White]

Quando il palcoscenico è un pratone in un angolo remoto della Val Passiria, accanto ad un torrente, circondato da stupende montagne e pareti rocciose puntinate di climbers, il nuovo festival ai confini dell'Italia nasce già sotto una buona stella.

Questo è il secondo giorno, ad ingresso gratuito, ed il mood dell'odierno cartellone è intriso di psichedelia.

Arriviamo mentre salgono sul palco i Black is? Just a dark White. Una marea stoner e psichedelica riempe subito l'ampio prato di fronte al palco, e non si può far altro che ondeggiare immersi nei crescendo tutti strumentali della band altoatesina. Davvero un ottimo inizio.

Seguono i Juleah, ma li ascoltiamo con mezzo orecchio, perché vogliamo perlustrare la venue in cui ci troviamo. Bellissima la collinetta davanti al palco, attrezzata con presse di fieno a mò di panche e maxi-sdraio fatte con pancali colorati. Il bosco è a un passo da noi, ed il ghiacciaio ci scruta dall'alto. Che spettacolo!

Torniamo sulla terra e sul pianeta musica con i Blitz Pop. Tanta, tantissima energia da parte di questo giovanissimo quartetto e - soprattutto - da parte della inarrestabile front-girl. Un alternative rock che a volte strizza l'occhio al punk, altre a certo stoner diretto e ballerino. Perfetti per accendere tutti i presenti.

Cambio drastico con i Les Lekin. E' il momento della psichedelia nella sua accezione più heavy e space. Sono sicuramente la sorpresa più interessante della giornata ed il loro live è davvero coinvolgente, al punto che quando - purtroppo! - inizia a scendere la pioggia, una nutrita parte del pubblico non corre a rifugiarsi sotto le tende dei chioschi della birra, ma continua a fluttuare sui fraseggi tutti strumentali del trio di Salisburgo. Si respira un'atmosfera davvero intensa, piacevole e libera, sospesa nel caleidoscopio di colori e luci del tempo meteorologico che continua le sue metamorfosi. I Les Lekin ne sono la perfetta colonna sonora.

Passata la pioggia d'acqua è il momento della pioggia di macigni con i Deadsmoke. Da tanto tempo volevo sentirli dal vivo, e son dovuta arrivare fin sopra a casa loro per riuscirci. Pesanti e monolitici, sembrano risuonare dal profondo della montagna. Ogni riff è un masso che dapprima rotola lentamente ed infine ti si posa sopra e ti schiaccia e non ti resta che perderti nel sottosuolo, vagando nel tunnel psych in cui vieni infilato dalle loro sapienti mani. Il loro impatto live è molto più massiccio e visionario di quanto non lo sia quello su disco. Provare per credere!

Dalla Francia i Libido Fuzz tornano a pestare il pedale della psichedelia, questa volta a tinte blues e con un bel carico di groove, che ci fa muovere e riscaldare ora che è scesa la notte e i 1.600 mslm iniziano a farsi sentire anche se siamo a fine luglio. Energico e ricco di tiro, il trio francese coinvolge costantemente il pubblico e convince, nonostante la batteria risulti a volte un pò frenata rispetto a basso e chitarra, che snocciolano con fluidità un riff dopo l'altro.

Infine The Atomic Bitchwax. Un classico intro floydiano, e poi tutta la potenza stoner e hard rock del trio americano. E ora che anche alla chitarra abbiamo "un Monster Magnet" (Garrett Sweeny si è infatti recentemente unito alla storica sezione ritmica costituita da Chris Kosnik e Bob Pantella), bordate heavy e riff carichi di groove sono ancor più all'ordine del giorno. Una scaletta serrata e non un attimo di quiete. Il loro set corre via in un attimo: ci si ritrova alla fine del concerto e dell'intera giornata di festival in un attimo, senza nemmeno sapere come ci siamo arrivati. Il bis è nuovamente floydiano: una fantastica One of These Days versione stoner, ad alto contenuto di bassi e potenza. 

Riassunto della giornata? Il Crystal Mountain è un esperimento riuscito, che ha unito bands emergenti, nomi già noti dell'attuale scena heavy psych e un headliner di prim'ordine, riuscendo a portare un buon numero di spettatori fra i monti di un'area tutt'altro che facilmente raggiungibile del nostro stivale. L'augurio è che questa sia stata l'edizione n. 1 di un festival che ritroveremo la prossima estate, magari con un bill ancora più nutrito ed un pubblico più numeroso.
[E.R.]


***

Crystal Mountain Festival - Day 2
[The Atomic Bitchwax + Libido Fuzz + Deadsmoke + Les Lekin + Blitz Pop + Black is? Just a dark White]

When the stage is a wide meadow in a remote corner of Val Passiria, next to a stream, surrounded by beautiful mountains and rocky cliffs dotted with climbers, the new festival on the borders of Italy is already born under a good star.

This is the second day (free entry) and the mood of today's billboard is full of psychedelia.

We arrive while Black is? Just a dark White are getting on stage. A stoner psychedelic tide immediately fill the large lawn in front of the stage, and you cannot help but sway immersed in the all instrumental crescendo of the South Tyrol band. A really good start.

Then Juleah, but we listen to them with half a ear, because we want to explore the venue. The tiny hill in front of the stage is beautiful, equipped with hay presses like benches and maxi-deck chairs made with coloured pallets. The wood is one step away from us, and the glacier observes us from above. What a show!

Let's go back to Earth and on to planet Music with Blitz Pop. So much energy from this young quartet and - above all - from the unstoppable front-girl. Alternative rock that sometimes winks at punk, others at some direct danceable stoner. Perfect to turn on all present.

Drastic change with Les Lekin. It is the moment of psychedelia in its most heavy space form. They are certainly the most interesting surprise of the day and their live is really addictive, to the point that when - unfortunately! - the rain begins to fall, a large part of the audience does not run to take refuge under the tents of the beer stalls, yet continues to fluctuate on the instrumental phrasings of the Salzburg trio. There is a really intense, pleasant and free atmosphere, suspended in the kaleidoscope of colours and lights of the weather continuing its metamorphosis. Les Lekin are the perfect soundtrack.

After the rain of water it is the moment for the rain of boulders with Deadsmoke. I longed to hear them live for a long time, and I had to get up to their house to do it. Heavy and monolithic, they seem to resonate from the depths of the mountain. Each riff is a boulder that first rolls slowly and in the end it rests on you, crushing you, and you just have to get lost in the subsoil, wandering in the psych tunnel where you are stuffed by their expert hands. Their live impact is much more massive and visionary than it is on album. Seeing is believing!

From France, Libido Fuzz step on the psychedelic pedal again, this time in bluesy groovy shades, which makes us move and warm up now that the night has fallen and the 1,600 above sea-level begin to be felt even if we are at the end of July. Powerful and rich in groove, the French trio constantly involves and seizes the audience, despite drums are sometimes a bit "braked" compared to bass and guitar, which smoothly melt a riff after another.

In the end The Atomic Bitchwax. A classic Pink Floyd intro, and then all the stoner and hard rock power of the American trio. And now that we have a "Monster Magnet" on the guitar too (Garrett Sweeny has in fact recently joined the historical rhythm section consisting of Chris Kosnik and Bob Pantella), there is even more plenty of heavy assaults and super-groovy riffs. A tight setlist and not a moment of quiet. Their set runs off in a moment: in a moment we find ourselves at the end of the concert and of the entire festival day, without even knowing how we got there. The encore is again from Pink Floyd archives: a fantastic stoner version of One of These Days, with a high level of bassess and power.

Summary of the day? Crystal Mountain is a successful experiment, which has joined emerging bands, well-known names of the current heavy psych scene and a headliner of first order, managing to bring a good number of spectators among the mountains of an area of our Italian boot far from easily accessible. The wish is that this was the edition n. 1 of a festival that we will find next summer, perhaps with a even more yummy bill and a larger audience.
[E.R.]




domenica 9 settembre 2018

Dead Meadow – The Nothing They Need


Dead Meadow – The Nothing They Need
(Xemu Records, 2018)

Il deserto non è un luogo fisico, ma uno stato mentale. I Dead Meadow ci invitano a seguirli attraverso i suoi spazi sconfinati senza indicarci il percorso, ma solo la meta: la libertà che si nasconde dove il Sole scompare. Per raggiungerla occorre liberare la mente dall’aridità di ogni giorno sulle note di un blues talmente sgranato da rifrangersi in bagliori psichedelici. Il deserto immaginato dalla band ha i contorni evanescenti di una nuvola di fumo espirata dai Dinosaur Jr (le radici indipendenti e noise della band di Washington DC appaiono in ogni brano nonostante il trio si sia sempre orgogliosamente distinto nell’ambito della scena post hardcore cittadina). Ma è soprattutto il folk americano più polveroso a rendere così ricco di sfumature l’arcobaleno disegnato dalla band. Con la leggerezza della sabbia che si lascia trasportare dal vento, dopo che questa è stata sgretolata via dalle rocce, i Dead Meadow ci chiedono di abbandonarci al deserto, e di perderci in esso insieme a loro.
[R.T.]
***

Dead Meadow – The Nothing They Need
(Xemu Records, 2018)

Desert is not a physical place: it is a state of mind. Dead Meadow invite us to follow them through its boundless spaces without indicating the path, but only the goal: the freedom hiding where Sun disappears. To reach it you need to free your mind from every day aridity on the notes of a so grainy blues, that it is refracted in psychedelic flashes. The desert imagined by the band has got the evanescent contours of a cloud of smoke exhaled by Dinosaur Jr (the independent noise roots of the Washington DC band appear in every song despite the trio has always proudly distinguished itself in the city post hardcore scene). But it is above all the most dusty American folk that makes the rainbow drawn by the band so rich in shades. With the lightness of the sand that lets itself be carried away by the wind, after it has been crumbled away from the rocks, Dead Meadow ask us to abandon ourselves to the desert, and to lose ourselves in it with them.
[R.T.]