mercoledì 31 maggio 2017

Sahg - Memento Mori


Sahg - Memento Mori
[Indie Recordings, 2016]

Studio meticoloso, preparazione tecnica post universitaria, precisione maniacale e rifinitura di ogni minimo dettaglio tendono ad oscurare la componente spontanea della maggior parte dei musicisti metal nordeuropei dediti a ripercorrere le strade battute da Lemmy e soci. I Sahg non fanno eccezione. I suoni di Memento Mori (loro quinto album) sono talmente puliti e brillanti da risultare quasi estranei ad una musica che nasce dall’heavy metal nebbioso e rallentato dei Black Sabbath. Per non parlare delle melodie: sempre a fuoco pur essendo figlie degli incubi acidi (e sicuramente poco razionali!) degli Alice in Chains. Eppure la band di Olav Iversen (in formazione rivoluzionata, vista la recente sostituzione di batterista e chitarrista solista) non suona mai eccessivamente patinata o fredda, bensì sempre coinvolgente ed emozionante. Questo perché Iversen ha la mente lucida e un obiettivo preciso: musica immediata e diretta, dalla sensibilità melodica mai banale (con un leggero retrogusto allucinogeno) e dalla grande capacità di sintesi. Dalla "Astronomy-Domine-bagnata-nel-metallo-fuso" che è Black Unicorn, fino all'alternanza di macigni di riff e intrecci progressivi che è Sanctimony, passando per gli anthem psichedelici di Take It to the Grave e (Praise the) Electric Sun, gli otto brani di Memento Mori sprigionano tutte le caratteristiche di un disco affascinante. Che sia stato progettato e poi costruito in laboratorio e non sia figlio di irrazionale spontaneità, questo è superfluo. In un periodo in cui la musica pesante è ormai scomparsa dagli ascolti del pubblico di massa, i Sahg danno prova di avere le capacità compositive per riprendersi quel posto.
[R.T.]

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Sahg - Memento Mori
[Indie Recordings, 2016]

Meticulous study, post-university technical preparation, maniacal precision, and ultra-finishing of every minute detail tend to obscure the spontaneous component of most Northern European musicians devoted to retracing the paths beaten by Lemmy & co. Sahg are no exception. The sounds of Memento Mori (their fifth album) are so clean and bright as to be almost strangers to a music that comes from the foggy slowed heavy metal of Black Sabbath. Not to mention melodies: always in focus even though daughters of Alice In Chains acid (and certainly not very rational!) nightmares. Yet Olav Iversen's band (with its revolutioned lineup, considering the recent replacement of drummer and solo guitarist) never sounds overly glossy or cold, but always engaging and exciting. This is because Iversen has got a clear mind and a precise goal: immediate direct music, never banal melodic sensitivity (with a slightly hallucinogenic aftertaste) and great synthesis capability. From the "Astronomy-Domine-soaked-in-molten-metal" that is Black Unicorn, to the alternation of progressive plots and boulders of riffs that is Sanctimony, passing through the psychedelic anthems of Take It to the Grave and (Praise the) Electric Sun, the eight songs of Memento Mori give out all the features of a fascinating album. Whether it has been designed and then built into a lab and it is not the outcome of irrational spontaneity, this is superfluous. In a time when heavy music has disappeared from mass audience listenings, Sahg prove to have the compositional abilities to recover that place.
[R.T.]

domenica 28 maggio 2017

1000 Mods + Mr.Bison - 05.05.2017 - Cafè Albatross (Pisa)

 

1000 Mods + Mr.Bison - 05.05.2017 - Cafè Albatross (Pisa)

Pesano di più sui timpani, 200 decibel di black metal o 200 db di stoner rock? Si dimagrisce di più facendo la sauna con 90% di umidità ad un concerto dei Wolves in the Throne Room o ad uno dei 1000 Mods? Nell'arco di due giorni "mettiamo alla prova il nostro fisico" con due concerti tanto diversi quanto allo stesso modo fisicamente provanti.

L'Albatross viene inizialmente surriscaldato dalle distorsioni dei Mr. Bison. Costretti a settare i suoni con l'aiuto del pubblico (cosa che rende il loro concerto ancor più partecipato e divertente), la band toscana inizialmente ha una chitarra davvero troppo in evidenza, fino al punto di nascondere lo strepitoso lavoro ritmico del batterista e l'ottima prova vocale di Matteo Sciocchetto. Con il passare del tempo le cose si aggiustano e i 3 si confermano la straordinaria macchina da riff che conosciamo, con il loro stoner rock carico a mille.

I greci 1000 Mods rispondono al fuoco alzando il volume ancora di più. Del resto dovevamo immaginarlo, dato il titolo del loro ultimo album:  Repeated Exposure to High Sound Levels (More than 80 decibels) May Cause Permanent Impairing of Hearing ! Una testata Sunn ci schiaccia a terra fin dal primo riff, e veniamo subito ingoiati da una colata lavica di distorsione, che si muove a velocità ridotta, ma sempre con un gran groove grazie alla rotondità della batteria. All'inizio le chitarre affogano completamente la voce, che solo con il passare dei minuti riesce a bucare finalmente il muro di suono. Sembra di trovarsi di fronte ai Kyuss (evidentissima fonte di ispirazione) ancor più fumati, che si muovono al rallentatore, con le gambe molli, in un Grand Canyon bruciato dal Sole. Caldo, caldissimo, infernale. Il locale è stivato, sembra non ci sia lo spazio per muoversi. Eppure la musica della band greca possiede l'energia per innescare un gran pogo. Pur consapevole della grande attenzione ricevuta dalla band nell'ultimo periodo, mai mi sarei aspettato un pubblico tanto numeroso e tanto caloroso! Entusiasmo meritato, vista la qualità della musica della band, per quanto di genere e chiaramente ispirata ai padri fondatori. Alla fine siamo liquefatti tanto dai volumi mostruosi, quanto dal caldo e dall'umidità, che lascia a terra un bello strato di sudore in puro spirito rock n' roll! (Puzza più un'ascella sudata dopo un concerto black metal o dopo uno stoner?!)
[R.T.]

 

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1000 Mods + Mr.Bison - 05.05.2017 - Cafè Albatross (Pisa)

What is heavier on the eardrums? 200 decibels of black metal or 200 decibels of stoner rock? Do I lose more weight having a sauna with 90% humidity at Wolves in the Throne Room concert or at 1000 Mods one? Within two days, we "test our body" with two concerts as much diverse as in the same way physically demanding.

Albatross is initially overheated by Mr. Bison distortions. Forced to set their sounds with the help of the audience (and this makes their concert even more entertaining and funny), in the first songs the Tuscan band has got a really overly highlighted guitar, to the point of hiding the amazing rhythmic work of the drummer and Matteo Sciocchetto's great vocal performance. Over time, things get better and the 3 once again prove to be the extraordinary riff machine we well know, thanks to their super-groovy stoner rock.

The Greeks 1000 Mods respond to the fire by raising their volume even more. We had to imagine it, considering the title of their latest album: Repeated Exposure to High Sound Levels (More than 80 decibels) May Cause Permanent Impairing of Hearing! A Sunn amp head crushes us from the first riff, and we are immediately swallowed by a lazy distortion flow, moving at reduced speed, but always with a great groove thanks to the drummer. At first guitars completely drown the voice, which only after several minutes can finally pierce the wall of sound. It seems to be in front of Kyuss (their main source of inspiration), yet even more doped, moving to the slow motion through a Grand Canyon burned by the Sun. Hot, burning hot, hellish. The venue is chock-a-block, it seems there is no more space to move around. Yet the music of the Greek band has the energy to trigger rushes of mosh. While aware of the great attention the band has received in the last period, I would never expect such a large and passionate audience! Deserved enthusiasm, given the quality of the music of the band, though well set in its genre and clearly inspired by the founding fathers. At the end of the gig, we find ourselves liquefied by the monstrous volumes as well as by the extreme heat and humidity, which leaves a thick layer of sweat on the ground in pure rock n 'roll spirit! (Does your sweaty armpit stink more after a black metal concert or after a stoner one?!)
[R.T.]
 



mercoledì 24 maggio 2017

Wolves in the Throne Room + Wiegedood - 04.05.2017 - Freakout Club (Bologna)

 

Wolves in the Throne Room + Wiegedood - 04.05.2017 - Freakout Club (Bologna)

Con i timpani ancora in estasi per il recente Roadburn, decido di farmi una trasferta a Bologna per i Wolves in the Throne Room,  una delle band che avevo scelto di "sacrificare" al festival olandese, in favore di altri gruppi che non avrei potuto recuperare vicino a casa (dopo i 1300 km fino a Tilburg, un concerto infrasettimanale a Bologna è di fatto un concerto in casa!).

Arrivo al Freakout pochi minuti dopo l’inizio del concerto del gruppo spalla, i Wiegedood. Il trio belga (che conta nelle sue fila membri di Oathbreaker e Amenra) è un’impressionante macchina da guerra che mi vomita addosso un black metal diretto e brutale, caratterizzato da riff straordinari, ora implacabilmente veloci e ossessivi, ora cupi e rallentati. In confronto alla band principale di stasera paiono quasi old school, per quanto si senta una velata influenza doom. Il primo parallelo che mi viene in mente sono gli Ulver di Nattens Madrigal. Parallelo altisonante, me ne rendo conto. Ma mi hanno fatto davvero una gran bella impressione!

Il locale - assolutamente stracolmo - raggiunge presto livelli di temperatura e umidità da foresta pluviale: proveniente dai boschi di douglas firs dell’America del Nord, il black metal atmosferico dei Wolves in the Throne Room risulta quindi a tratti straniante. Il primo impatto è un suono ingolfato e colloso, in cui la batteria rimane annacquata dalle frequenze medie delle chitarre, come se tutto si stesse squagliando per il caldo. In alcuni momenti si ha quasi l'impressione che il batterista sia in ritardo, e tutte le note alte svaniscono nell'oblio. Con il passare dei minuti la situazione acustica migliora (non quella respiratoria del pubblico ammassato!) ed entriamo nei boschi nebbiosi disegnati dai muri di suono della band di Seattle.  Si innalzano vere e proprie montagne di distorsione, le cui cime fanno breccia tra le nubi di tastiera. La musica trasmette sensazioni tangibili e crea ambienti dominati dalla natura selvaggia e incontaminata. Nuvole di incenso, luci soffuse e disegni di animali del bosco enfatizzano quest'atmosfera. Inizialmente infastiditi dai flash e dal chiacchericcio del pubblico,  i cinque musicisti non si lasciano andare a particolari manifestazioni di empatia nei confronti dei presenti, e dimostrano di essere più vicini alla wilderness più estrema che agli esseri umani (il che, a ben vedere, è perfettamente black metal!). Con un concerto incentrato sul bellissimo Two Hunters, i Wolves in the Throne Room superano i problemi tecnicii occorsi loro stasera e dimostrano di meritarsi l'attenzione loro rivolta dagli appassionati del black metal più atmosferico e sperimentale. 
[R.T.]


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Wolves in the Throne Room + Wiegedood - 05.04.2017 - Freakout Club (Bologna)

              

With my eardrums still in ecstasy for Roadburn 2017, I decide to make a trip to Bologna for Wolves in the Throne Room, one of the bands I chose to "sacrifice" at the Dutch festival, in favour of other ones that I know they would not play near home (after 1300 km to Tilburg, a midweek concert in Bologna sounds as a concert in my neighbourhood!).



I arrived at the Freakout a few minutes after the beginning of Wiegedood concert. The Belgian trio (which has members from Oathbreaker and Amenra in its lineup) is an impressive war machine vomiting on me a dirty brutal black metal, characterized by extraordinary riffs - now implacably fast and obsessive, now obscure and sluggish. Compared to the headliner they seem almost old school, as far as they show a veiled doom influence. The first parallel that comes to mind is Ulver, Nattens Madrigal era. High-sounding parallel, I know. But they really did make a great impression!



The venue - absolutely chock-a-block! - will soon reach rain forest temperature and humidity: coming from douglas firs woods in North America, the atmospheric black metal of the Wolves in the Throne Room sounds thus a bit estranging. The first impact is a engulfed gluey sound, in which drums are watered down by mid frequencies of the guitars, as if everything was melting because of the heat. At times you almost get the impression that the drummer is a bit delayed, and all high notes vanish into oblivion. As the minutes pass, the acoustic situation improves (not the breathing one of the packed audience!) and we finally enter the misty woods drawn by the walls of sound of the Seattle band. There are real distortion mountains, whose tops break through the keyboard clouds. Music transmits tangible sensations and creates environments dominated by a wild uncontaminated nature. Incense clouds, soft lights and forest animals drawings emphasize this atmosphere. Initially annoyed by camera flashes and the chatter of the audience, the five musicians do not let themselves go to particular manifestations of empathy towards those present tonight, and they prove to be closer to the most extreme wilderness than to humans (which, well, is perfectly black metal!). With a concert focused on the beautiful Two Hunters, Wolves in the Throne Room overcome the technical problems encountered tonight, proving that they deserve the attention addressed to them by the enthusiasts of the most atmospheric and experimental black metal.
[R.T.]




                                                                     

lunedì 22 maggio 2017

Soundgarden - Badmotorfinger


Soundgarden - Badmotorfinger
(A&M Records, 1991)

Pronti a esplodere. Modellati a Seattle durante gli anni 80, i nuovi suoni furono completamente maturi agli inizi della nuova decade. Fondatori del lato pesante del suono di Seattle, i Soundgarden sganciarono la loro bomba esplosiva nell'autunno del 1991, poco dopo quelle dei Nirvana e dei Pearl Jam. Badmotorfinger non è un ascolto così semplice come Nevermind o Ten, e il suo impatto non fu così impetuoso come quello di Nevermind, ma i suoi riff colossali, le ondulanti melodie psichedeliche e la potenza vocale di Cornell hanno riscritto la storia del rock tanto quanto gli altri capolavori delle band di Seattle. Una reinterpretazione dell'hard rock psichedelico degli anni '70, filtrato attraverso il noise rock indipendente: il risultato è possente, rallentato e dilatato tanto quanto il doom metal, ma elastico e in continuo movimento, grazie anche all'innesto del nuovo bassista (Ben Sheperd). Un passo fondamentale nell'evoluzione della psichedelia pesante.
[R.T.]

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Soundgarden - Badmotorfinger
(A&M Records, 1991)

Ready to explode. Molded in Seattle during the 80s, new sounds were completely mature at the beginning of the new decade. Founders of the heavy side of Seattle sounds, Soundgarden released their explosive bomb in the autumn of 1991, shortly after Nirvana and Pearl Jam ones. Badmotorfinger is not so easy listening as Nevermind or Ten, and its impact was not so impetuous as Nevermind one, but its colossal riffing, undulating psychedelic melodies and Cornell vocal power rewrited rock history as much as other Seattle masterpieces did. A reinterpretation of 70s psychedelic hard rock, filtered through independent noise rock: the result is mighty, slowed and dilated as doom metal is, but supple and in constant motion, also thanks to the new bass player (Ben Shepherd). A fundamental step in heavy psych evolution.
[R.T.]


giovedì 18 maggio 2017

Soundgarden - Superunknown


Soundgarden - Superunknown
(A&M Records, 1994)

Soppiantare gli ideali e le attitudini degli anni '80 per trasportare il rock settantiano nella modernità: forse questo è il più grande successo del movimento grunge. Superunknown rappresenta l'indiscutibile picco di questa ricerca, grazie alla sua capacità di rigenerare un'era che sembrava evaporata via. La personalità dei Soundgarden è così colossale che niente suona nostalgico nonostante le evidenti influenze. La psichedelia è reinventata attraverso le disorientati scale a chiocciola di The Day I Tried to Live, così come l'hard rock è capovolto dalla tempesta ritmica di Spoonman. Ancor più complesso, profondo e sfaccettato del suo meraviglioso predecessore, Superunknown piega la pesantezza al livello massimo di flessibilità psichedelica, e le abilità progressive fino ad apparentemente irraggiungibili ganci melodici. Un disco che merita di essere considerato tanto leggendario quanto le sue fonti di ispirazione.
[R.T.]

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Soundgarden - Superunknown
(A&M Records, 1994)

Supplanting 80s ideals and attitudes to transport 70s rock music into modernity: maybe this is the biggest achievement of grunge rock. Superunknown represents the indisputable peak of this research, thanks to its ability to regenerate an era that seemed to be evaporated away. Soundgarden personality is so colossal that nothing sounds nostalgic despite the obvious influences. Psychedelia is reinvented through the confusing spiral staircase of The Day I Tried to Live, as much as hard rock is capsized by the rhythmic storm of Spoonman. More complex, deep and multifaceted than its wonderful predecessor, Superunknown bends heaviness to the highest point of psychedelic flexibility, and progressive skills to the apparently unattainable melodic hooks. Worth to be considered as much legendary as its sources of inspiration.
[R.T.]

domenica 14 maggio 2017

Roadburn Festival 2017 – Day 4



Roadburn Festival 2017 – Day 4
[Inter Arma + Come to Grief + Ulver + Gong + Pallbearer]

Ultimo giorno, purtroppo. Il grigio cielo olandese e un pubblico non così numeroso come quello dei giorni precedenti (questa è l'unica giornata non andata sold out) trasmettono l'atmosfera dell'afterparty. Anche noi partiamo con il freno a mano tirato, dilungandoci più degli altri giorni nei pub di Tilburg. 

Iniziamo la nostra giornata concertistica con estremo relax, solo alle 16:30. Ma iniziamo con il botto. Pallbearer. Per chi pensa che nella musica pesante si sia detto tutto. Per chi, in particolare, considera il doom un genere morto. I quattro dell'Arkansas ci sbattono in faccia riffoni giganteschi, potenti e massicci, ma - a differenza di tanti colleghi - anche fraseggi dalle melodie affascinanti, di epica malinconia e di vibrante tensione emotiva, senza perdere tiro, energia ed impatto.Una band capace di concepire grandi canzoni (nel senso più classico del termine) e con un cantante dal timbro veramente personale (timbro che, abbinato all'utilizzo di un registro alto e di melodie leggermente dissonanti/stranianti, poteva far temere per una sua non perfetta riuscita, dubbio subito smentito sul campo). Per loro abbiamo escluso il concerto dei Sumac di Aaron Turner, in contemporanea all'Het Patronaat. L'imbarazzo della scelta offerto dal festival impone decisioni dolorose. Ma non ce ne pentiamo. Chi ha sentito dal vivo Worlds Apart si è reso conto del valore di questa band. Una canzone che si erge tra le migliori ascoltate in questo festival. Senza nulla togliere ai brani dell'appena pubblicato Heartless, a primo ascolto decisamente convincenti. Ma Worlds Apart rimane una canzone a parte. E non crediamo solo per noi. Ma anche per tutto il pubblico oggi presente allo 013. Memorabile.

Entriamo all'Het Patronaat con abbondante anticipo per non perderci neanche un minuto dei Gong - o almeno di questa loro nuova incarnazione. Più che una band vera e propria, i Gong sono sempre stati una comune freak, aperta e fluida, sia nello stile musicale, sia nei nomi degli artisti coinvolti. Una comune che ha però, per la maggior parte della sua esistenza, avuto un maestro spirituale preciso: Daevid Allen. Nel 2015, poco prima di morire, Allen ha invitato i membri dell'ultima formazione a proseguire, mantenendo lo spirito esploratore e gioioso della sua musica. Come ampiamente dimostrano sul palco, i Gong attuali sono un'appendice dei folli viaggi intrapresi in quasi 50 anni di esistenza e non un'operazione commerciale di cattivo gusto. Con un concerto incentrato sull'ultimo album (lo splendido Rejoice! I'm Dead! - ovviamente dedicato ad Allen) mantengono vivo lo spirito libero e sognatore della leggendaria band che, più di ogni altra, ha segnato la storia dello space rock progressivo. Il tutto senza un minimo di nostalgia. Siamo praticamente sotto il palco e veniamo inondati da una psichedelia progressiva che è qualcosa di meraviglioso! Ritmi frenetici, riff ipnotici a spirale di scuola King Crimson, pazzoidi fraseggi di fiati e psichedeliche melodie di chitarra, alternate a contemplazioni cosmiche. La voce, la chitarra e la presenza scenica di Kavus Torabi (che avevamo avuto il piacere di ascoltare al Desertfest londinese dello scorso anno con i suoi Guapo) sono quanto di più straordinario potessimo aspettarci. Il pianeta Gong omaggia il suo guru divertendosi e facendo divertire, proprio come avrebbe voluto lui. Senza pescare dal mitico passato, bensì lanciandosi a capofitto in un fantasmagorico presente! Usciamo dall'Het Patronaat con un gran sorriso e tanta energia positiva!

Letteralmente impossibile staccarci con anticipo dal palco dei Gong. E così ci perdiamo i primi 10 minuti del concerto degli Ulver. Entriamo nella sala principale dello 013 mentre i norvegesi stanno già presentando (e per la prima volta dal vivo) l'appena uscito The Assassination of Julius Caesar. La sala è completamente buia, a stento illuminata solo dagli spettacolari giochi di luce che provengono dal palco. Avendo già assistito a 4 loro concerti ed avendoli seguiti in tutte le loro continue metamorfosi, sappiamo che ogni loro live (così come ogni loro disco) fa storia a sé. L'ennesima muta dei lupi ha generato una band dedita ad una "darkwave" elettronica focalizzata sulle melodie (scuola Depeche Mode). I riflettori sono proiettati sulla voce di Garm, la quale spicca - splendida - in un oceano di suoni sintetici, cristallini e perfettamente calibrati (ancora una volta lo 013 conferma la sua acustica straordinaria). A lasciarci perplessi, però, sono proprio le canzoni. La svolta synth-pop si aggrappa a linee melodiche immediate sì, ma non coinvolgenti come quelle della band di Dave Gahan alla quale palesemente si ispirano. E le divagazioni strumentali sono prive di quell'atmosfera e quella fantasia che hanno reso gli Ulver una delle band più coraggiose e affascinanti della musica alternativa degli ultimi tempi. Ogni metamorfosi degli Ulver sorprende. Quest'ultima ci ha lasciato tanti punti interrogativi in testa. Rimandati a settembre. Quando (forse) sarà più chiara la direzione che hanno deciso di seguire.  

Dato che vogliamo a tutti i costi chiudere il nostro Roadburn con il concerto degli Inter Arma, entriamo all'Het Patronaat mentre il concerto del gruppo precedente è ancora in corso. Nella mezz'ora scarsa alla quale assistiamo, i Come to Grief dimostrano di essere putridi e marci fino al midollo. La storica band (Grief) recentemente riformatasi con il nome di un vecchio album pubblicato prima dello scioglimento, è sludge politicamente scorretto e disturbante come quello che si suonava negli anni 90 (vedi Eyehategod). Dissonanze e feedback innalzano il livello di acidità della loro musica, che possiede un carico di marcescenza e feroce potenza da far rabbrividire. Talmente "nauseanti" da esaltarci!

Laddove era cominciato, qui finisce il nostro Roadburn. Het Patronaat. Qui si esibiscono, come ultima band del festival, gli Inter Arma. In un'ora bruciano completamente le nostre energie residue, con un concerto devastante, forse il più potente al quale abbiamo assistito in questi giorni. Mostruosamente pesanti e incazzati, suonano uno sludge metal moderno, profondamente contaminato dal metal estremo. Una frana incontenibile di mazzate mastodontiche sotto la quale rimaniamo schiacciati, per nostra somma gioia. Il tutto senza soluzione di continuità, senza un solo attimo per riprender fiato, e senza il minimo cedimento. Un colosso (sia fisicamente che musicalmente) alla batteria e un cantante micidiale in grado di far scomparire molti suoi colleghi di band metal, per quanto anche lui provenga da quella scuola. La sensazione è quella di venir spazzati via da una furia e una violenza grezza e inumana, che a tratti però si trasforma in ariose aperture progressive, dall'inattesa sensibilità melodica. In un lampo è già finito. E rimaniamo impietriti, in mezzo ad una vecchia chiesa riadattata a sala da concerti, tra centinaia di bicchieri di plastica lasciati a terra, con la sensazione di aver assistito a qualcosa di grandioso. Come aver visto i Sepultura nei tour di Beneath the Remains o Arise, o i Neurosis ai tempi di Through Silver in Blood. Se tutto è destinato a finire (anche il Roadburn, ebbene si, facciamocene una ragione!), è bene che finisca così. 

Quattro giorni di musica che apre il cervello, e che tiene svegli i muscoli. Quattro giorni vissuti nell'atmosfera rilassata che solo un pubblico di veri appassionati può creare. Quattro giorni in cui pubblico e artisti spesso si scambiano i ruoli. Mostre d'arte, incontri con i musicisti, distro della Southern Lord con dischi a 3 euro (!!!) e la libertà di "crearsi il proprio festival" scegliendo a quali concerti assistere. E' duro tornare alla realtà. Ma almeno sappiamo che esistono isole felici dove potersi rifugiare. Conserviamole e valorizziamole come fossero patrimonio dell'umanità. Ne abbiamo bisogno.
[E.R. + R.T.]

 

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Roadburn Festival – Day 4
[Inter Arma + Come to Grief + Ulver + Gong + Pallbearer]

Last day, sadly. The Dutch grey sky and an audience less numerous than the previous days (this is the only day not gone sold out) instill the afterparty atmosphere. We also start our day a bit more relaxed, spending some more time in Tilburg pubs.

First gig of the day only at 4:30 p.m. But what a band! Pallbearer. For those who think that everything has been said in heavy music. For those who consider doom a dead genre. The four from Arkanans banged us with giant, powerful and massive riffs, but they also play fascinating melodies, of epic melancholy and vibrant emotional tensions, without losing groove, energy and impact. A band capable of conceiving great songs (in the most classic sense of the term) and a singer with a truly personal timbre (a timbre that, coupled with the use of a high range and slightly dissonant/estranging melodies, could suffer in the live performance, but it is absolutely not the case!). To listen to them we excluded Aaron Turner's Sumac concert, going on at the same time at Het Patronaat. The plenty of choice offered by the festival imposes painful decisions. But we will not regret it. Listening to Worlds Apart live let everyone realize the value of this band. A song that stands out among the best ones we listened to during this festival. And we have to say that also the new songs from the latest Heartless sound good at first listening. But Worlds Apart remains a separate song. And we do not just think about us. But also for the whole audience today at 013. Memorable.

We enter the Het Patronaat abundantly in advance so that we do not miss a minute of Gong - or at least of their new incarnation. More than a band, Gong have always been a freak community, open and fluid both in the musical style and in the names of the artists involved. However a community with a precise spiritual master for most of its existence: Daevid Allen. In 2015, shortly before his death, Allen invited the members of the latest line up to keep going on with the same exploratory joyful spirit of his music. As widely demonstrated on stage, current Gong are an "appendix" to the crazy journeys undertaken in nearly 50 years of existence and not business of bad taste. With a concert focused on their latest album (the wonderful Rejoice! I'm Dead! - obviously dedicated to Allen) they keep alive the free dreamer spirit of the legendary band that, more than anything else, has marked the story of progressive space rock. All this without a minimum of nostalgia. We are right in front of the stage and we are flooded with wonderful progressive psychedelia! Delirious rhythms, spiral hypnotic riffs à la King Crimson, crazy wind instruments phrasings and psychedelic guitar melodies, alternating with cosmic contemplations. The voice, the guitar and the scenic presence of Kavus Torabi (we had the pleasure of listening to his Guapo last year at Desertfest London) are the most extraordinary we could expect. The Gong planet honours its guru having fun and entertaining the audience, just as he would have liked to do. Without fishing from the mythical past, but throwing itself headlong in a phantasmagoric present! We leave Het Patronaat with a great smile on our faces and a huge amount of positive energy!

Literally impossible to get away from the Gong stage in advance. And so we lose the first 10 minutes of Ulver concert. We enter the 013 Main Stage while the Norwegians are already presenting (and for the first time live) the brand new The Assassination of Julius Caesar. The hall is completely dark, illumined only by the spectacular games of light coming from the stage. Having already attended 4 of their concerts and having followed them in all of their continuous metamorphoses, we know that all their live shows (as well as any of their records) do separate story. The nth moult of the wolves have created a band dedicated to a melodic electronic "darkwave" (Depeche Mode School). The spotlights are on Garm voice, standing out - beautiful - in an ocean of synthetic, crystalline and perfectly calibrated sounds (once again 013 confirms its extraordinary acoustics). Songs, though, are what leave us puzzled. The synth-pop turn is clinging to instant melodic lines, but not as engaging as those of Dave Gahan band to which they are clearly inspired. And instrumental parts are devoid of that atmosphere and imagination that made Ulver one of the bravest and most fascinating bands of alternative music in recent times. Every Ulver metamorphosis surprises us. This latter left us many question marks in the head. Passed, but not with full marks. Waiting to understand their new direction.

Since we want at all costs to close our Roadburn with Inter Arma concert, we go to Het Patronaat while the previous band is still play. In the half-hour we listened to them, Come to Grief show that they are rotten and putrid to the marrow. The historical band (Grief) recently reunited with the name of an old album released before the dissolution, is politically incorrect and disturbing as those that used to play in the 90s (see Eyehategod). Dissonances and feedback raise the level of acidity of their music, which is full in rotteness and fierce power. So "nauseating" to exalt us!

Our Roadburn ends here where it started. Het Patronaat. Here play Inter Arma. In one hour, we completely burn our remaining energies, with a devastating concert, perhaps the most powerful of these days. Monstrously heavy and pissed off, they play a modern metal sludge, deeply contaminated with extreme metal. An uncontrollable landslide of mastodontic bumps under which we remain crushed, for our total joy. The whole thing seamlessly, without a single moment to take breath, and without the slightest fall. A colossus (both physically and musically) on the drums and a killing singer capable of obscuring many of his colleagues singing in metal bands, even as he himself comes from that school. The sensation is to be swept away by a fury and inhuman raw violence, which at times, however, turn into arousing progressive openings, with unexpected melodic sensitivity. In a flash it is already over. And we remain silent, in the midst of an old church now trasformed in concert hall, among hundreds of plastic glasses on the floor, with the feeling of having attended to something really great. Like Sepultura in the Beneath the Remains or Arise tour, or Neurosis at the time of Through Silver in Blood. If everything is going to end (and Roadburn is no exception), this is the most perfect way to end this festival.

Four days of music that opens the brain and keeps the muscles awake. Four days spent in the relaxed atmosphere that only real fans can create. Four days in which audience and artists often exchange their roles. Art exhibitions, meetings with musicians, Southern Lord distro selling cds for 3 euro (!!!) and the freedom to "create your own festival" choosing from an incredible list of bands. It's hard to get back to reality. But at least we know there are happy islands where we can take shelter. Let's preserve and value them as if they were heritage of the humanity. We need it.
[E.R. + R.T.]

 


mercoledì 10 maggio 2017

Roadburn Festival 2017 – Day 3


 

Roadburn Festival 2017 – Day 3
[My Dying Bride + Ahab + Wear Your Wounds + Oranssi Pazuzu + The Bug Vs Dylan Carlson] 

Iniziamo il terzo giorno di Roadburn lasciandoci inondare dai droni di The Bug Vs Dylan Carlson, che ci fanno vibrare stomaco, orecchie e capelli fin dal primo pomeriggio. Le basse frequenze dell’elettronica di The Bug si intrecciano a quelle della chitarra del leader degli Earth, che talvolta libera arpeggi rallentatissimi, oltre i confini conosciuti dallo slowcore. Quando l’elettronica abbandona i muri di suono per cedere il passo ad ipnotici ritmi trip hop in cui si inseriscono i feedback e gli effetti larsen della chitarra, il risultato è davvero ammaliante. Il pubblico (tutto sommato non numerosissimo) è annichilito dall'inondazione dronica e atmosferica ed è ammutolito di fronte a questa strana esperienza di vibrazioni pure. Un silenzio religioso avvolge la sala. Silenzio osservato in ogni concerto del festival e che stupisce chi, come noi, è abituato ad un pubblico solitamente rumoroso e per niente rispettoso. Ulteriore conferma che ci troviamo ad un festival fuori dal comune.  

Svanite le ultime distorsioni i nostri timpani reclamerebbero pò di riposo dal muro di suono che li ha un po' storditi, ma non c’è tempo di rifiatare. Sempre sul Main Stage stanno per suonare gli Oranssi Pazuzu e ci imponiamo di non abbandonare il locale (visto il sold out con coda chilometrica che la band finlandese fece all’Het Patronaat la scorsa edizione). Come previsto, infatti, lo 013 si riempie all’inverosimile. Abbiamo alte, anzi altissime, aspettative. Tutte saranno pienamente ripagate. I 3000 del pubblico che condividono con noi il concerto si ritrovano su un'astronave alla deriva nello spazio profondo. La musica degli Oranssi Pazuzu è una tempesta cosmica che si abbatte con la gelida ferocia del black metal nordeuropeo, ma secondo rotte imposte da un capitano di vascello sotto effetto di LSD. I suoni riverberano nella sala con profondissimi echi, mentre le distorsioni pesanti sono deformate da flanger spinti al massimo. Sembra che gli Hawkwind, in acido, si siano persi in una foresta ghiacciata. La loro musica, dal vivo, accentua gli estremi che la costituiscono, suonando più violenta e feroce di quanto faccia su disco, ma anche più psych e noise. Un'esperienza unica.

Torniamo alla luce, in mezzo alla folla di appassionati provenienti da tutta Europa, prima di entrare nell'Het Patronaat per assistere al concerto dei Wear Your Wounds, progetto parallelo di Jacob Bannon (Converge). Nonostante sia il loro primo concerto in assoluto - e nonostante Bannon sia un nome di richiamo per il pubblico del Roadburn - contro ogni aspettativa il locale è tutt'altro che pieno. Il post rock proposto mostra il lato più romantico di Bannon, che in questa veste suona anche il basso, oltre a cantare anche con voce pulita. Rispetto all'album, in cui la musica suona molto melodica e atmosferica, dal vivo la band aggiunge un carico di distorsione e potenza non indifferente, enfatizzando ancor di più la passionalità delle canzoni. Un peccato che il concerto dei WYW interessi a pochi, perchè la loro musica, per quanto legata al genere di riferimento, è emotivamente davvero coinvolgente.

Il concerto dei Wear Your Wounds termina con 10 minuti di anticipo rispetto al previsto, e questo ci permette di catapultarci nella Green Room dello 013 per assistere all'esecuzione integrale di The Call of the Wretched Sea, disco d'esordio degli Ahab. A pochi minuti dall'inizio la sala è già completamente stivata, e come sardine in una scatoletta di latta riusciamo a sentire il primo brano accalcati lungo il corto corridoio che dà accesso alla sala. Piano piano il flusso di persone scorre e riusciamo a trovarci nelle prime file, dove veniamo travolti da un'onda di doom abissale, proveniente direttamente dalla Fossa delle Marianne. Ondate oceaniche di distorsione si abbattono come tsunami, e il growl profondissimo di Droste evoca mostri dall'oscurità, mentre la batteria di Cornelius Althammer riesce a rendere agitata, imprevedibile e trascinante una musica di per sé basata sulla lentezza estenuante e sulla pesantezza più oppressiva. Merito anche delle melodie, ben più ariose e stratificate di quanto un ascolto superficiale potrebbe far desumere. Il loro concerto (che purtroppo dobbiamo interrompere nel corso dell'ultimo brano per poterci gustare i My Dying Bride sul Main Stage) è uno degli apici della giornata, e supera il già straordinario live di novembre in Italia.

La musica dei My Dying Bride deve essere vissuta dal vivo. Chi ha assistito ad un loro concerto lo sa. Per quanto possano esser coinvolgenti su disco, la dimensione live è in grado di farti innamorare di loro definitivamente. A Firenze, nel 2012, rimanemmo senza parole da tanto suonarono maestosi e possenti. Oggi riescono a superarsi. Un concerto basato sull'esecuzione integrale di Turn Loose the Swans (eccezion fatta per Black God perchè hanno "fallito nel trovare la giusta voce femminile") più 3 classici tratti dai primi album, e tutto lo 013 si strugge di fronte alla perfetta bellezza dell'opera doom di una delle più grandi band del genere, che dimostra davvero di non sentire il peso dei suoi anni. Aaron Stainthorpe è incontenibile, perfetto attore della sofferenza cantata dalla musica teatrale della sua band. Una band che è un meccanismo perfetto, in grado di passare dal nero più profondo a tutte le sfumature del crepuscolo, da un riff mostruosamente pesante ad un fraseggio di violino di toccante sensibilità. Uno dei concerti più intensi di tutto il festival. Indimenticabile.
[E.R. + R.T.]
 
 

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Roadburn Festival 2017 – Day 3
[My Dying Bride + Ahab + Wear Your Wounds + Oranssi Pazuzu + The Bug Vs Dylan Carlson] 

We start our third day of Roadburn flooded by The Bug Vs Dylan Carlson drones, which makes our stomach, ears and hair vibrate from the early afternoon. The low frequencies of The Bug electronics are interwoven with those of the Earth leader guitar, which sometimes unleashes slow-moving arpeggios beyond the boundaries known by slowcore. When electronics abandons the walls of sound in favor of hypnotic trip hop rhythms where guitar feedbacks and larsen effects insert, the result is truly astonishing. The (all in all not so numerous) audience is annihilated by dronical and atmospheric flooding and is silent in front of this strange vibration experience as well. A religious silence surrounds the room. Silence observed during every concert of the festival and which amazes those who, like us, are used to a usuallly loud and a bit annoying audience. Further confirmation that we are at an unusual festival.

As the latest distortions disappear, our eardrums would need some rest from the wall of sound that made them a bit stunned, but there is no time to take breath. On Main Stage are going to play Oranssi Pazuzu and we are forced not to abandon the venue (considering their last year sold out at Het Patronaat). As expected, indeed, the 013 gets packed beyond belief. We have high, indeed very high, expectations. All of them will be totally fullfilled. The 3000 sharing the concert with us are on a spaceship drifting into the deep space. Oranssi Pazuzu music is a cosmic storm crashing with the freexing ferocity of Northern European black metal, but according to routes imposed by a captain of vessel under LSD effect. Sounds reverberate in the hall with deep echoes, while heavy distortions are deformed by flanger pushed to the maximum. it seems that Hawkwind have been lost in an ice forest in acid. Live, their music accentuates its extremes, playing more violent and fierce than on album, but also more psych and noisy. A unique experience.

We go back to daylight, in the midst of the crowd of enthusiasts from all over Europe, before entering the Het Patronaat to attend Wear Your Wounds gig, a parallel project by Jacob Bannon (Converge). Despite being their first concert ever - and despite Bannon being a relevant name for Roadburn audience - against every expectation the venue is far from full. His post rock shows the most romantic side of Bannon - playing the bass as well as singing also with clean vocals. Compared to the album, in which the music plays very melodic and atmospheric, the band adds a load of distortion and power, emphasizing even more the passionate nature of the songs. It is a pity that the WYW concert attracts not so many people, because their music is emotionally truly engaging, though related to its genre.

Wear Your Wounds show ends 10 minutes ahead of schedule, and this allows us to catapult into the Green Room to attend the full performance of The Call of the Wretched Sea, Ahab debut album. Just a few minutes from the beginning the venue is already completely packed, and as sardines in a tin we listened to the first track along the short corridor giving access to the hall. Then flow of people lets us in and we find ourselves in the first rows, where we are overwhelmed by a wave of abysmal doom, coming directly from the Mariana Trench. Ocean waves of distortion knock down like a tsunami and Droste deep growl evokes monsters from the darkness, while Cornelius Althammer drum makes agitating, unpredictable and dragging a music in itself based on exhausting slowness and the most oppressive heaviness. Also thanks to melodies, far more airy and stratified than a superficial listening could let infer. Their concert (which unfortunately we have to abandon during the last song to be able to enjoy My Dying Bride on Main Stage) is one of the greatest moment of this day, and surpasses their already extraordinary live last November in Italy.

My Dying Bride music must be lived live. Whoever attended one of their concert knows it. As far as they can be engaging on album, the live dimension is able to make you definitively fall in love with them. In 2012, in Florence, we were speechless in front of their majestic and mighty sound. Today they manage to outdo themselves. A concert based on the integral performance of Turn Loose the Swans (except for Black God because they "failed to find the right female voice") plus 3 classic songs from the early albums, and all 013 melts in front of the perfect beauty of the doom opera of one of the greatest bands of the genre, which really proves not to feel the weight of its years. Aaron Stainthorpe is uncontrollable, the perfect actor of the suffering sung by the theatrical music of his band. A band that is a perfect mechanism able to move from the deepest black to all twilight shades, from a monstrous heavy riff to a touching violin phrasing. One of the most intense concerts of the whole festival. Unforgettable.
[E.R. + R.T.]
 
 
 
 








domenica 7 maggio 2017

Roadburn Festival 2017 - Day 2


Roadburn Festival 2017 – Day 2
[Harsh Toke + Amenra + Chelsea Wolfe + Oathbreaker + Magma + Schammasch]

Ore 14:30. La campana suona l'inizio della messa. All’Het Patronaat inizia una cerimonia religiosa non convenzionale. La nebbia riempie la sala fino al vertice dell'alto soffitto in legno, mentre delle ombre sul palco danno vita ad un post-black metal dissonante e deviato, dall’architettura complessa e maestosa. Gli Schammasch hanno in programma il concerto più lungo dell’intero festival (1 ora e 50 minuti), interamente dedicato al triplo disco appena pubblicato (Triangle). Dato che sul Main Stage si sta per preparare una delle band da noi più attese, assaporiamo la musica degli svizzeri solo per 40 minuti, corrispondenti alla prima parte (The Process of Dying) della loro ambiziosa opera. Un assaggio decisamente sostanzioso, che dà la misura della straordinarietà di questa band, sorta di Deathspell Omega ancor più concettuali. Marci, cattivi e grandiosi. Da approfondire! 

Le scalinate dietro al mixer del Main Stage sono la nostra scelta per gustare a pieno la musica complicata e assurda proveniente dal pianeta Kobaïa. Dopo un viaggio di svariati anni luce, gli 8 alieni riuniti sotto il nome di Magma sono atterrati nel cuore dell’Olanda per un concerto incentrato sul loro capolavoro del 1973 Mekanïk Destruktïw Kommandöh. Per niente facile descrivere l’evento al quale assistiamo: su di un intreccio musicale fantasioso e folle, strepitosi cori e intrecci vocali (in una lingua completamente inventata) narrano la storia di un profeta giunto ad allertare i terrestri dell'imminente fine del loro pianeta. A tratti sinfonici, in alcuni passaggi cosmici e "mistici", spesso liquidi e cangianti come jazz fusion sotto acido che incanta tutti i presenti con le sue visioni lisergico-progressive. per noi l’apice è l’assolo vocale del batterista Christian Vander, vera e propria anima del gruppo, oltre che musicista fenomenale. Come esser stati rapiti dagli alieni. 

Ancora storditi dal viaggio intergalattico appena concluso, cerchiamo di entrare nell’Extase per tornare sulla terra con i Ruby the Hatchet. Purtroppo non siamo fortunati quanto il giorno prima con i Pinkish Black: il minuscolo locale (capienza massima 250 persone) si riempie proprio di fronte ai nostri occhi, e rimaniamo ad un passo dall’ingresso mentre la band attacca il primo riff. Delusi, ritorniamo nel Main Stage dove si stanno per esibire gli Oathbreaker. Il concerto della band belga, per quanto sia una seconda scelta, si rivela essere una straordinaria sorpresa. Sulle note di apertura, Caro Tanghe ci incanta con la sua voce onirica e sospirata, prima di svelare la sua parte "disperata", con il resto della band che si lancia in un assalto violentissimo di post black metal affine a quello dei Deafheaven, ma ancor più intenso, potente e affascinante. Un muro di suono compattissimo con melodie di stampo post hardcore e post rock, sul quale si erge l’incazzatissima voce della cantante, che a tratti ricorda Julie Christmas. Grande scoperta! 

Scendiamo poi nelle prime file per lasciarci inondare dalle note di Chelsea Wolfe, memori del suo straordinario concerto a Musica W 2016. Nel caldo delle colline toscane, in pieno agosto, aveva incantato. Nel buio del main stage di un festival, nel ventoso nord Europa, conquista nuovamente, e conferma tutto il suo talento. Una voce toccante, di grande intensità, e una musica magistralmente dark, nel quale perdersi. Tra bordate industrial e rocciosi riff post metal scivolano sinuose melodie oscure, tratte principalmente dal bellissimo Abyss. After the Fall e Carrion Flowers letteralmente da brividi. 

Non c’è tempo di respirare. Dopo un grande concerto ce ne è sempre uno più grande. Sul Main Stage salgono gli Amenra. La sala è colma all’inverosimile, l’attesa per il loro concerto è palpabile. La loro apocalisse è catartica e liberatoria. Si dimostrano degni eredi dei Neurosis, lasciando schizzare via la rabbia attraverso la voce graffiante, tipicamente hardcore, di Colin H. van Eeckhout. La band lancia nella sala macigni pesantissimi di distorsione che sollevano onde emotive nel pubblico, con la naturalezza con la quale si gettano i sassi nell’acqua per osservare le onde concentriche sulla superficie. Anche i membri degli Ahab - proprio accanto a noi - sembrano rimanere a bocca aperta tanta è l’intensità generata dalla band belga. In una giornata ricca di concerti memorabili, quello degli Amenra si giocherebbe il ruolo di miglior live anche senza la partecipazione di Scott Kelly e di John Dyer Baizley. Certo che questi special guests tolgono però ogni dubbio. Indimenticabile. 

Appagati dall’assalto degli Amenra, torniamo all’aperto per riprenderci e prendere sempre più coscienza del "paese dei balocchi" in cui ci troviamo. Un intero isolato di una cittadina universitaria completamente invaso da una comunità di capelloni nero vestiti, rilassati al tavolo di un caffè o stipati in un locale buio dove si sta svolgendo uno dei tanti (simultanei) concerti del festival. Mentre i Baroness stanno riempiendo il Main Stage, decidiamo di addentrarci nuovamente nel buio di una sala, convinti che gran parte del pubblico sia al cospetto di John Dyer Baizley e soci. Ci avviciniamo così all’Het Patronaat con 20 minuti di anticipo rispetto all’orario di inizio previsto per il concerto degli Zeal & Ardor. Ma l’hype che anticipa il loro concerto è gigantesco quanto la fila davanti al locale. Trascorsi i 20 minuti, e con la porta d’ingresso ancora distante, decidiamo di desistere - per la seconda volta nella stessa giornata - un po' delusi dal fatto che per mantenere “di culto” il concerto di certe band, si facciano suonare in locali che alla fine risultano sottostimati rispetto al reale interesse da loro generato.

Non ci resta che riposarci in attesa dell’ultima band. Entriamo nella Green Room dello 013 per la prima volta per il concerto degli Harsh Toke, quando la mezzanotte è ormai passata. Dopo una giornata di concerti post apocalittici la chiusura perfetta è lo psych rock sessantiano della band di San Diego, che dedica questo set alla musica di Roky Erickson. Energia incontenibile e irrefrenabile (infatti non solo iniziano il concerto in anticipo, ma continuano anche a suonare ben oltre l'orario previsto!) che ha la forma fluida di una jam lisergica, ricchissima di assoli oltre che di groove. Nuvole di marijuana, sudore, rock n’roll e nessun freno inibitore. Divertentissimi e carichi, consumano le ultime energie del pubblico (non a caso il mio “fattissimo” vicino crolla collassato in un paio di occasioni, e alla terza necessita dell’intervento della sicurezza che se lo porta via “a braccia”). Usciamo dallo 013 con in mente il ritornello di Rock And Roll All Nite: davvero vorremmo che i concerti non finissero mai!
[E.R. + R.T.]


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Roadburn Festival 2017 – Day 2
[Harsh Toke + Amenra + Chelsea Wolfe + Oathbreaker + Magma + Schammasch]

2:30 p.m. The bell rings the beginning of the mass. At Het Patronaat an unconventional religious ceremony takes place. The mist fills the room up to the top of the high wooden ceiling, while the shadows on the stage give rise to a dissonant deviated post-black metal, with a complex majestic architecture. Schammasch will feature the longest concert of the entire festival (1h 50min), entirely dedicated to the just released triple album (Triangle). In the meantine on the Main Stage one of our most awaited bands is about to play, so we only experience 40 minutes of music of the Swiss band, exactly the duration of the first part (The Process of Dying) of their ambitious opera. A really substantial taste, which gives the measure of the extraordinary nature of this band, sort of Deathspell Omega even more conceptual. Rotten, bad and magnificent. To deepen!

The stairs behind the Main Stage mixer are our choice to enjoy the complicated and absurd music coming from the Kobaïa planet. After a journey of several light years, the 8 aliens gathered under the name of Magma landed right in the heart of Holland for a concert focused on their 1973 masterpiece Mekanik Destruktif Kommandöh. It is not easy to describe the event we are witnessing: on a fanciful crazy musical plot, stunning choirs and vocal harmonies (in a completely invented language) tell the story of a prophet come to alert the terrestrials of the imminent end of their planet. At times symphonic, cosmic and "mystic"  in some passages, often liquid and changing as fusion jazz under acid enchanting all the audience with its progressive lysergic visions. For us the apex is the voice solo of drummer Christian Vander, the true soul of the band as well as phenomenal musician. How to be abducted by aliens.

Still stunned by the hust ended intergalactic journey, we try to get into the Extase to return to planet Earth with Ruby the Hatchet. Unfortunately we are not as lucky as the day before with Pinkish Black: the tiny venue (maximum capacity 250 people) gets packed just in front of our eyes, and we remain one step from the entrance while the band attacks the first riff. Deluded, we return to the Main Stage to attend Oathbreakers. The Belgian band concert, although a second choice, turns out to be an extraordinary surprise. On the opening notes, Caro Tanghe enchants us with her dreamlike sighed voice before revealing her "desperate" part, with the rest of the band launching into a violent assault of post black metal similar to Deafheaven but even more intense, powerful and fascinating. A compact wall of post hardcore and post rock melodies on which the ultra pissed off singer voice stands out, at times reminiscent of Julie Christmas. Great discovery!

Then we go down in the first rows to swim through the notes of Chelsea Wolfe, with clear in mind her extraordinary concert at Musica W 2016. In the heat of the Tuscan hills, in August, she enchanted us. In the dark of the main stage of a festival in the windy northern Europe, she conquers our hearts once again, confirming all her talent. A touching voice, of great intensity, and a magically dark music, in which we get lost. Between industrial assaults and post metal riffs, sinuous dark melodies - mainly from the beautiful Abyss. After the Fall and Carrion Flowers literally touching.

No time to breathe. After a great concert there is always a bigger one. Amenra on the Main Stage. The hall is full beyond belief, the expectation for their concert is palpable. Their apocalypse is cathartic and liberating. They prove to be worthy heirs of Neurosis, letting the anger spin away through Colin H. van Eeckhout striking, typically hardcore voice. The band launches heavy boulders of distortion raising emotional waves in the audience, and they do it with the same naturalness of throwing stones into the water to look at the concentric waves on the surface.. Even the Ahab members - right next to us - seem to be amazed by the intensity generated by the Belgian band. On a day full of memorable concerts, Amenra could win the title of best live performance of the day even without the participation of Scott Kelly and John Dyer Baizley. Well, these special guests take away any doubt. Unforgettable.

Fully satisfied by the Amenra assault, we go outdoors to recover and take more and more consciousness of the wonderland in which we are. An entire area of a university town completely invaded by a black-dressed community, relaxed at a coffee table or packed in a dark room where one of the many (simultaneous) concerts of the festival is taking place. While Baroness are playing on the Main Stage, we decide to go back into the darkness of a music hall, thinking that most of the audience is listening to John Dyer Baizley and associates. So we approach Het Patronaat 20 minutes in advance of the scheduled start time for Zeal & Ardor concert. But the hype anticipating their concert is as giant as the row in front of the venue. After 20 minutes and with the front door still far away, we decide to desist - for the second time in the same day - a bit disappointed of the fact that in order to keep the "cult status" of the concert of certain bands, these ones have to play in venues which are ultimately underestimated with respect to the real interest generated by them.

We just have to rest while waiting for the last band. We enter the Green Room (at 013) for the first time for Harsh Toke concert, when midnight is gone. After a day of post-apocalyptic concerts, the perfect closure is the psych rock of the San Diego band, which dedicates this set to Roky Erickson music. Uncontainable and unstoppable energy (not only does the concert begin in advance, but it continues well beyond the expected time!) that has the fluid form of a lysergic jam, rich in solos as well as in groove. Marijuana clouds, sweat, rock n'roll and no restraint. Funny and entertaining, they consume the last energies of the audience (no coincidence that my ultra-doped neighbour collapses on a couple of occasions and on the third one he need for security to brings him out). We leave the 013 with Rock And Roll All Nite refrain in mind: we really would like concerts never end!
[E.R. + R.T.]