Roadburn Festival 2017 – Day 4
[Inter Arma + Come to Grief + Ulver + Gong + Pallbearer]
Ultimo giorno, purtroppo. Il grigio cielo olandese e un pubblico non così numeroso come quello dei giorni precedenti (questa è l'unica giornata non andata sold out) trasmettono l'atmosfera dell'afterparty. Anche noi partiamo con il freno a mano tirato, dilungandoci più degli altri giorni nei pub di Tilburg.
Iniziamo la nostra giornata concertistica con estremo relax, solo alle 16:30. Ma iniziamo con il botto. Pallbearer. Per chi pensa che nella musica pesante si sia detto tutto. Per chi, in particolare, considera il doom un genere morto. I quattro dell'Arkansas ci sbattono in faccia riffoni giganteschi, potenti e massicci, ma - a differenza di tanti colleghi - anche fraseggi dalle melodie affascinanti, di epica malinconia e di vibrante tensione emotiva, senza perdere tiro, energia ed impatto.Una band capace di concepire grandi canzoni (nel senso più classico del termine) e con un cantante dal timbro veramente personale (timbro che, abbinato all'utilizzo di un registro alto e di melodie leggermente dissonanti/stranianti, poteva far temere per una sua non perfetta riuscita, dubbio subito smentito sul campo). Per loro abbiamo escluso il concerto dei Sumac di Aaron Turner, in contemporanea all'Het Patronaat. L'imbarazzo della scelta offerto dal festival impone decisioni dolorose. Ma non ce ne pentiamo. Chi ha sentito dal vivo Worlds Apart si è reso conto del valore di questa band. Una canzone che si erge tra le migliori ascoltate in questo festival. Senza nulla togliere ai brani dell'appena pubblicato Heartless, a primo ascolto decisamente convincenti. Ma Worlds Apart rimane una canzone a parte. E non crediamo solo per noi. Ma anche per tutto il pubblico oggi presente allo 013. Memorabile.
Entriamo all'Het Patronaat con abbondante anticipo per non perderci neanche un minuto dei Gong - o almeno di questa loro nuova incarnazione. Più che una band vera e propria, i Gong sono sempre stati una comune freak, aperta e fluida, sia nello stile musicale, sia nei nomi degli artisti coinvolti. Una comune che ha però, per la maggior parte della sua esistenza, avuto un maestro spirituale preciso: Daevid Allen. Nel 2015, poco prima di morire, Allen ha invitato i membri dell'ultima formazione a proseguire, mantenendo lo spirito esploratore e gioioso della sua musica. Come ampiamente dimostrano sul palco, i Gong attuali sono un'appendice dei folli viaggi intrapresi in quasi 50 anni di esistenza e non un'operazione commerciale di cattivo gusto. Con un concerto incentrato sull'ultimo album (lo splendido Rejoice! I'm Dead! - ovviamente dedicato ad Allen) mantengono vivo lo spirito libero e sognatore della leggendaria band che, più di ogni altra, ha segnato la storia dello space rock progressivo. Il tutto senza un minimo di nostalgia. Siamo praticamente sotto il palco e veniamo inondati da una psichedelia progressiva che è qualcosa di meraviglioso! Ritmi frenetici, riff ipnotici a spirale di scuola King Crimson, pazzoidi fraseggi di fiati e psichedeliche melodie di chitarra, alternate a contemplazioni cosmiche. La voce, la chitarra e la presenza scenica di Kavus Torabi (che avevamo avuto il piacere di ascoltare al Desertfest londinese dello scorso anno con i suoi Guapo) sono quanto di più straordinario potessimo aspettarci. Il pianeta Gong omaggia il suo guru divertendosi e facendo divertire, proprio come avrebbe voluto lui. Senza pescare dal mitico passato, bensì lanciandosi a capofitto in un fantasmagorico presente! Usciamo dall'Het Patronaat con un gran sorriso e tanta energia positiva!
Letteralmente impossibile staccarci con anticipo dal palco dei Gong. E così ci perdiamo i primi 10 minuti del concerto degli Ulver. Entriamo nella sala principale dello 013 mentre i norvegesi stanno già presentando (e per la prima volta dal vivo) l'appena uscito The Assassination of Julius Caesar. La sala è completamente buia, a stento illuminata solo dagli spettacolari giochi di luce che provengono dal palco. Avendo già assistito a 4 loro concerti ed avendoli seguiti in tutte le loro continue metamorfosi, sappiamo che ogni loro live (così come ogni loro disco) fa storia a sé. L'ennesima muta dei lupi ha generato una band dedita ad una "darkwave" elettronica focalizzata sulle melodie (scuola Depeche Mode). I riflettori sono proiettati sulla voce di Garm, la quale spicca - splendida - in un oceano di suoni sintetici, cristallini e perfettamente calibrati (ancora una volta lo 013 conferma la sua acustica straordinaria). A lasciarci perplessi, però, sono proprio le canzoni. La svolta synth-pop si aggrappa a linee melodiche immediate sì, ma non coinvolgenti come quelle della band di Dave Gahan alla quale palesemente si ispirano. E le divagazioni strumentali sono prive di quell'atmosfera e quella fantasia che hanno reso gli Ulver una delle band più coraggiose e affascinanti della musica alternativa degli ultimi tempi. Ogni metamorfosi degli Ulver sorprende. Quest'ultima ci ha lasciato tanti punti interrogativi in testa. Rimandati a settembre. Quando (forse) sarà più chiara la direzione che hanno deciso di seguire.
Dato che vogliamo a tutti i costi chiudere il nostro Roadburn con il concerto degli Inter Arma, entriamo all'Het Patronaat mentre il concerto del gruppo precedente è ancora in corso. Nella mezz'ora scarsa alla quale assistiamo, i Come to Grief dimostrano di essere putridi e marci fino al midollo. La storica band (Grief) recentemente riformatasi con il nome di un vecchio album pubblicato prima dello scioglimento, è sludge politicamente scorretto e disturbante come quello che si suonava negli anni 90 (vedi Eyehategod). Dissonanze e feedback innalzano il livello di acidità della loro musica, che possiede un carico di marcescenza e feroce potenza da far rabbrividire. Talmente "nauseanti" da esaltarci!
Laddove era cominciato, qui finisce il nostro Roadburn. Het Patronaat. Qui si esibiscono, come ultima band del festival, gli Inter Arma. In un'ora bruciano completamente le nostre energie residue, con un concerto devastante, forse il più potente al quale abbiamo assistito in questi giorni. Mostruosamente pesanti e incazzati, suonano uno sludge metal moderno, profondamente contaminato dal metal estremo. Una frana incontenibile di mazzate mastodontiche sotto la quale rimaniamo schiacciati, per nostra somma gioia. Il tutto senza soluzione di continuità, senza un solo attimo per riprender fiato, e senza il minimo cedimento. Un colosso (sia fisicamente che musicalmente) alla batteria e un cantante micidiale in grado di far scomparire molti suoi colleghi di band metal, per quanto anche lui provenga da quella scuola. La sensazione è quella di venir spazzati via da una furia e una violenza grezza e inumana, che a tratti però si trasforma in ariose aperture progressive, dall'inattesa sensibilità melodica. In un lampo è già finito. E rimaniamo impietriti, in mezzo ad una vecchia chiesa riadattata a sala da concerti, tra centinaia di bicchieri di plastica lasciati a terra, con la sensazione di aver assistito a qualcosa di grandioso. Come aver visto i Sepultura nei tour di Beneath the Remains o Arise, o i Neurosis ai tempi di Through Silver in Blood. Se tutto è destinato a finire (anche il Roadburn, ebbene si, facciamocene una ragione!), è bene che finisca così.
Quattro giorni di musica che apre il cervello, e che tiene svegli i muscoli. Quattro giorni vissuti nell'atmosfera rilassata che solo un pubblico di veri appassionati può creare. Quattro giorni in cui pubblico e artisti spesso si scambiano i ruoli. Mostre d'arte, incontri con i musicisti, distro della Southern Lord con dischi a 3 euro (!!!) e la libertà di "crearsi il proprio festival" scegliendo a quali concerti assistere. E' duro tornare alla realtà. Ma almeno sappiamo che esistono isole felici dove potersi rifugiare. Conserviamole e valorizziamole come fossero patrimonio dell'umanità. Ne abbiamo bisogno.
[E.R. + R.T.]
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Roadburn Festival – Day 4
[Inter Arma + Come to Grief + Ulver + Gong + Pallbearer]
Last day, sadly. The Dutch grey sky and an audience less numerous than the previous days (this is the only day not gone sold out) instill the afterparty atmosphere. We also start our day a bit more relaxed, spending some more time in Tilburg pubs.
First gig of the day only at 4:30 p.m. But what a band! Pallbearer. For those who think that everything has been said in heavy music. For those who consider doom a dead genre. The four from Arkanans banged us with giant, powerful and massive riffs, but they also play fascinating melodies, of epic melancholy and vibrant emotional tensions, without losing groove, energy and impact. A band capable of conceiving great songs (in the most classic sense of the term) and a singer with a truly personal timbre (a timbre that, coupled with the use of a high range and slightly dissonant/estranging melodies, could suffer in the live performance, but it is absolutely not the case!). To listen to them we excluded Aaron Turner's Sumac concert, going on at the same time at Het Patronaat. The plenty of choice offered by the festival imposes painful decisions. But we will not regret it. Listening to Worlds Apart live let everyone realize the value of this band. A song that stands out among the best ones we listened to during this festival. And we have to say that also the new songs from the latest Heartless sound good at first listening. But Worlds Apart remains a separate song. And we do not just think about us. But also for the whole audience today at 013. Memorable.
We enter the Het Patronaat abundantly in advance so that we do not miss a minute of Gong - or at least of their new incarnation. More than a band, Gong have always been a freak community, open and fluid both in the musical style and in the names of the artists involved. However a community with a precise spiritual master for most of its existence: Daevid Allen. In 2015, shortly before his death, Allen invited the members of the latest line up to keep going on with the same exploratory joyful spirit of his music. As widely demonstrated on stage, current Gong are an "appendix" to the crazy journeys undertaken in nearly 50 years of existence and not business of bad taste. With a concert focused on their latest album (the wonderful Rejoice! I'm Dead! - obviously dedicated to Allen) they keep alive the free dreamer spirit of the legendary band that, more than anything else, has marked the story of progressive space rock. All this without a minimum of nostalgia. We are right in front of the stage and we are flooded with wonderful progressive psychedelia! Delirious rhythms, spiral hypnotic riffs à la King Crimson, crazy wind instruments phrasings and psychedelic guitar melodies, alternating with cosmic contemplations. The voice, the guitar and the scenic presence of Kavus Torabi (we had the pleasure of listening to his Guapo last year at Desertfest London) are the most extraordinary we could expect. The Gong planet honours its guru having fun and entertaining the audience, just as he would have liked to do. Without fishing from the mythical past, but throwing itself headlong in a phantasmagoric present! We leave Het Patronaat with a great smile on our faces and a huge amount of positive energy!
Literally impossible to get away from the Gong stage in advance. And so we lose the first 10 minutes of Ulver concert. We enter the 013 Main Stage while the Norwegians are already presenting (and for the first time live) the brand new The Assassination of Julius Caesar. The hall is completely dark, illumined only by the spectacular games of light coming from the stage. Having already attended 4 of their concerts and having followed them in all of their continuous metamorphoses, we know that all their live shows (as well as any of their records) do separate story. The nth moult of the wolves have created a band dedicated to a melodic electronic "darkwave" (Depeche Mode School). The spotlights are on Garm voice, standing out - beautiful - in an ocean of synthetic, crystalline and perfectly calibrated sounds (once again 013 confirms its extraordinary acoustics). Songs, though, are what leave us puzzled. The synth-pop turn is clinging to instant melodic lines, but not as engaging as those of Dave Gahan band to which they are clearly inspired. And instrumental parts are devoid of that atmosphere and imagination that made Ulver one of the bravest and most fascinating bands of alternative music in recent times. Every Ulver metamorphosis surprises us. This latter left us many question marks in the head. Passed, but not with full marks. Waiting to understand their new direction.
Since we want at all costs to close our Roadburn with Inter Arma concert, we go to Het Patronaat while the previous band is still play. In the half-hour we listened to them, Come to Grief show that they are rotten and putrid to the marrow. The historical band (Grief) recently reunited with the name of an old album released before the dissolution, is politically incorrect and disturbing as those that used to play in the 90s (see Eyehategod). Dissonances and feedback raise the level of acidity of their music, which is full in rotteness and fierce power. So "nauseating" to exalt us!
Our Roadburn ends here where it started. Het Patronaat. Here play Inter Arma. In one hour, we completely burn our remaining energies, with a devastating concert, perhaps the most powerful of these days. Monstrously heavy and pissed off, they play a modern metal sludge, deeply contaminated with extreme metal. An uncontrollable landslide of mastodontic bumps under which we remain crushed, for our total joy. The whole thing seamlessly, without a single moment to take breath, and without the slightest fall. A colossus (both physically and musically) on the drums and a killing singer capable of obscuring many of his colleagues singing in metal bands, even as he himself comes from that school. The sensation is to be swept away by a fury and inhuman raw violence, which at times, however, turn into arousing progressive openings, with unexpected melodic sensitivity. In a flash it is already over. And we remain silent, in the midst of an old church now trasformed in concert hall, among hundreds of plastic glasses on the floor, with the feeling of having attended to something really great. Like Sepultura in the Beneath the Remains or Arise tour, or Neurosis at the time of Through Silver in Blood. If everything is going to end (and Roadburn is no exception), this is the most perfect way to end this festival.
Four days of music that opens the brain and keeps the muscles awake. Four days spent in the relaxed atmosphere that only real fans can create. Four days in which audience and artists often exchange their roles. Art exhibitions, meetings with musicians, Southern Lord distro selling cds for 3 euro (!!!) and the freedom to "create your own festival" choosing from an incredible list of bands. It's hard to get back to reality. But at least we know there are happy islands where we can take shelter. Let's preserve and value them as if they were heritage of the humanity. We need it.
[E.R. + R.T.]