domenica 28 febbraio 2016

Jefferson Airplane - Surrealistic Pillow


Jefferson Airplane – Surrealistic Pillow
(RCA Victor, 1967)

“Feed your head!” Le pillole che Grace Slick porta in dono ai Jefferson Airplane quando entra a far parte del gruppo nell’autunno del 1966 (e che apriranno le porte dell’esperienza psichedelica e di una nuova visione del mondo ad un’intera generazione) vanno al di là dei due capolavori Somebody to Love e White Rabbit. La cantante porta con sé energia elettrica e senso di libertà, carica erotica e fantasia. Possiede insomma i semi della Summer of Love che il gruppo utilizza - con creatività - per integrare il suo folk rock trasognato. La voce potente, flessibile ed espressiva della Slick si armonizza perfettamente a quelle di Balin e Kantner, generando un rock che non è forza individuale, bensì spirito comunitario. A differenza di altre realtà psichedeliche dell'epoca non ci sono esperimenti in studio, deliri strumentali o atmosfere orientali (a parte i glissando vocali della Slick), ma domina un profondo senso della melodia che trova massima espressione negli intrecci vocali e chitarristici. Tre voci, tre chitarre: ognuna interdipendente dall’altra, ognuna indispensabile nel contesto generale della musica. Un lavoro veramente di gruppo, che segna un’epoca: non solo dal punto di vista musicale, ma anche concettuale. 
[R.T.]

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Jefferson Airplane – Surrealistic Pillow
(RCA Victor, 1967)

“Feed your head!” The pills Grace Slick presents to Jefferson Airplane when she joins the band in the fall of 1966 (and that open the doors of the psychedelic experience and of a new vision of the world to an entire generation) are more important than the two masterpieces Somebody to Love and White Rabbit. The singer brings electric energy and sense of freedom, erotic appeal and fantasy. She owns the seeds of Summer of Love that the band uses - with creativity - to integrate its dreamy folk rock. The powerful, flexible and expressive Slick’s voice harmonizes itself perfectly with Balin and Kantner ones, generating a rock that is not individual strength yet community spirit. Unlike other psychedelic bands of that period, there are no studio experiments, nor instrumental delirium or oriental atmospheres (except vocal glissando by Slick) yet a deep sense of melody that expresses itself at its best in vocal (and guitar) weavings. Three voices, three guitars: each of them interdependent, each of them essential in general contest of the music. A truly teamwork, that marks an era: not only from a musical point of view, but from a conceptual one too.
[R.T.]


venerdì 26 febbraio 2016

Enisum - Arpitanian Lands


Enisum – Arpitanian Lands
(Dusktone, 2015)

Un’ode alla Natura. Alle montagne. Ai boschi. Alle Terre Arpitane - nella loro porzione piemontese. Fin dalle prime note della title-track, ci si trova immersi in vallate, boschi, crinali. Lungo torrenti, sulle rive di piccoli laghetti. Nel fitto del bosco più scuro, così come nella piena, accecante luce delle radure di alta quota. Nella luce rosata delle albe di montagna, nell’infuocato spegnersi del giorno che solo gli skylines alpini sanno regalare. Nel sereno di un giorno luminoso, nella tormenta del temporale più chiuso. Con un andamento e una liricità che rievocano gli Alcest (vedi Écailles de Lune, su tutti) e che si colloca a cavallo fra atmopheric black metal e blackgaze, Lys è riuscito a mettere in musica – e parole – l’amore per i suoi luoghi, da intendersi sia in senso geografico, sia in senso più intimo ed interiore (The Place where you died, Chiusella’s Waters). Ed in alcuni momenti la coralità della composizione è davvero trascinante (Fauna’s Souls). Ispirati riffs di chitarra vengono sorretti da una sessione ritmica sempre serrata al momento giusto, e il growl/scream di Lys viene impreziosito dalla voce di Epheliin. Il tutto valorizzato da un’ottima produzione e mastering (sicuramente prezioso l’apporto di Jack Shirley, produttore dei Deafheaven), perfettamente incorniciato da un artwork davvero evocativo.
[E.R.]

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Enisum – Arpitanian Lands
(Dusktone, 2015)

An ode to Nature. To the mountains. To the woods. To the Arpitanian Lands – in their Piedmont portion. From the very first notes of the title-track, you find yourself surrounded by valleys, forests, ridges. Along creeks, on the banks of small lakes. In the thick of the darker woods, as well as in the dazzling sunlight of the high altitude clearings. In the pinkish light of mountain dawns, in the blazing burning out of the day that only alpine skylines can offer. In the serene of a bright day, in the blizzard of the harshest storm. With a course and lyricism reminiscent of Alcest (Écailles de Lune, above all) and halfway between atmospheric black metal and blackgaze, Lys succeeded in setting to music – and words – the love for his own places, both in a geographical sense and in a more intimate and interior meaning (The Place where you died, Chiusella’s Waters). And at times the chorality of the composition is really enthralling and overwhelming (Fauna’s Souls). Inspired guitar riffs are sustained by a rhythm section always clenched at the right moment, and Lys’ growl/scream is enriched by Epheliin’s voice. The whole enhanced by a great production and mastering (certainly significant Jack Shirley’s - Deafheaven producer- contribution), perfectly framed by a really evocative artwork.
[E.R.]

mercoledì 24 febbraio 2016

Acid King – Middle of Nowhere, Center of Everywhere


Acid King – Middle of Nowhere, Center of Everywhere
(Svart Records, 2015)

Osservare il vinile di Middle of Nowhere, Center of Everywhere mentre ruota inesorabile al di sotto della puntina induce ipnosi e stordimento. Perché la lentezza con la quale il disco ruota sul piatto è nulla al confronto di quella della musica. Dopo una pausa durata 10 anni, le nuove canzoni della band di San Francisco seguono infatti un movimento ellittico estremamente dilatato, paragonabile all’impercettibile rivoluzione terrestre. Come orbite di immensi pianeti, le traiettorie seguite dalle pesantissime canzoni si avventurano nell’infinità dello spazio, tornando ciclicamente al punto di partenza, sempre lungo direttrici ben codificate dal genere, ma mai suonando “già sentite”. Il basso - rotondo, avvolgente e caldo - di Mark Lamb è l’onda gravitazionale che muove i brani. La rocciosa distorsione della chitarra di Lori S è l'energia che li rende solidi e massicci. Inevitabile ritrovarsi sperduti nello spazio profondo, seguendo la voce cantilenante della chitarrista/cantante. Stoner doom cosmico che - come la tamarrissima copertina - non ha alcuna intenzione di ricorrere a mezze misure. Salga a bordo chi ha voglia di fare un divertente viaggio (di sola andata) per gli abissi spaziali.
[R.T.]

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Acid King – Middle of Nowhere, Center of Everywhere
(Svart Records, 2015)

Looking at Middle of Nowhere, Center of Everywhere vinyl, while it inexorably turns under the stylus of the record player, induces hypnosis and daze. The slowness of the vinyl turning on the turntable is minimal in comparison to the one of the music. After a 10 years pause, the new songs of the band from San Francisco follow an extremely dilated, elliptical movement, comparable to the inappreciable revolution of the planet Earth. Like orbits of immense planets, the trajectories followed by the ultra-heavy songs venture in the infinity of the space, coming back, cyclically, to the starting point, always along well defined paths, yet never sounding "already heard". The Mark Lamb bass - plump, enveloping and warm - is the gravitational wave that moves the pieces. The rocky distortion of Lori S guitar is the energy that makes them solid and mighty. While following the singsong of the singer/guitar player, getting lost in the deep space is unavoidable. Cosmic stoner doom that - in the same way as the totally gaudy cover artwork - has no intention to resort to half measures. All the ones willing to make a funny (oneway) trip into the space abyss are warmly invited to get on board.
[R.T.]

domenica 21 febbraio 2016

Isaak + Humulus + Jussipussi – 13.02.2016 – Lo-Fi (Milano)


Isaak + Humulus + Jussipussi – 13.02.2016 – Lo-Fi (Milano)

La Heavy Psych Sounds Records sta diventando una delle etichette italiane più interessanti per quanto riguarda le sonorità stoner rock ed è sostanzialmente una garanzia di qualità per il genere: il concerto di presentazione della loro ultima uscita - Sermonize degli Isaak - è quindi un appuntamento da non perdere.
Sul palco del Lo-Fi la prima scossa elettrica la portano i JussiPussi. Il loro stoner è diretto e senza orpelli, divertente come quello dei Queens of the Stone Age. La band ha carica, tiro, grandi riff ed energia strabordante e - grazie anche a suoni potenti - non può che gasare. Se la voce del cantante - un po’ troppo pulita e a tratti imprecisa - è l’unica pecca del loro concerto, c’è da dire che l’attitudine hardcore e divertita di tutto il gruppo rende questo fattore secondario. Nota della serata: il fatto che aprano agli Isaak, fa sì che propongano Explant con anche Boeddu alla voce come nel loro Greatest Tits...gran finale per il loro set!
Lo stoner degli Humulus è meno diretto e più dilatato, con ampi passaggi strumentali dal sapore psichedelico, ed alcuni spunti dal retrogusto southern. Ma anche loro non si fanno mancare brani immediati e trascinanti, strettamente imparentati (a volte forse un po’ troppo!) con quelli dei Kyuss. Massicci, polverosi, caldi, innestano ottime linee vocali e di chitarra su una solida e groovosa sessione ritmica, mostrando il lato più rock e space del genere - in contrapposizione a quello più alternative/punk dei JussiPussi e a quello metal degli Isaak. Grande scoperta!
La maledizione del terzo gruppo delle serate al Lo-Fi colpisce anche gli Isaak (dopo Mutoid Man e Giöbia): a differenza degli ottimi suoni dei primi due gruppi, durante la prima metà del concerto la band genovese soffre di ripetuti problemi con l'amplificazione del basso (dapprima assente, poi talmente alto da fagocitare tutto il resto). Superato il problema e calibrati a puntino i suoni, il valore del gruppo emerge appieno e si impone su tutti i presenti. Pesanti e compatti, a metà strada tra Red Fang e Torche, i genovesi hanno il loro asso nella manica nella straordinariamente potente - ed espressiva - voce di Giacomo Boeddu: un’arma in più, che per certi versi li accomuna agli Zippo (altra band italiana di valore assoluto). Un gruppo che pesta davvero pesante, e che si colloca nella rosa delle bands italiche più interessanti nell'ambito di queste sonorità. Perfetto per chiudere alla grande una serata all’insegna del rock più grasso e carico. 
[E.R. + R.T.]
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Isaak + Humulus + Jussipussi – 02.13.2016 – Lo-Fi (Milano)

Heavy Psych Sounds Records is becoming one of the most interesting stoner rock Italian labels and it can be considered a quality guarantee for the genre: this is the reason why the release party of Sermonize, by Isaak, cannot be missed.
The first electric shock on Lo-Fi stage is generated by JussiPussi. Their stoner rock is direct and funny as Queens of the Stone Age one. The band owns groove, great riffs and an overflowing energy, and – thanks to the powerful sounds too – it cannot do other than excite the audience. If the singer voice – a little too clean and sometimes inaccurate – is the only flaw of their concert, the hardcore and amused attitude of the band in its entirety makes this aspect definitely not so relevant. Note of the evening: opening for Isaak, they play Explant with Boeddu at the voice as in their Greatest Tits…grand finale for their show!
Humulus stoner rock is not so direct, yet it is more dilated, with wide instrumental openings with psychedelic taste and some hints with southern aftertaste. But even in their setlist there are immediate and enthralling songs, closely related with Kyuss ones (sometimes maybe a little too much!). Mighty, dusty, hot, they insert great vocal and guitar melodies in a solid and groovy rhythmic session, showing the most rock and space side of the genre – in opposition to the alternative/punk side of JussiPussi and the metal one of Isaak. Great discovery!
The curse of the third band in Lo-Fi evenings affects also Isaak (after Mutoid Man and Giöbia): while the first two bands benefit from great sounds, during the first half of the show the band from Genova suffers a lot of problems with bass amp (at first absent, then so loud to engulf all the rest). Overcome the technical difficulties and calibrated the sounds to perfection, the band’s value fully emerges and imposes itself on everyone. Heavy and compact, halfway between Red Fang and Torche, Isaak have got their ace up in the sleeve in the extraordinary powerful – and expressive – voice of Giacomo Boeddu: a great weapon that in some ways makes them comparable to Zippo (another Italian band of absolute value). They beat really heavy and can be considered as one of the most interesting Italian bands in this genre. Perfect to excellently close an evening dedicated to the fattest and mighty rock.
[E.R. + R.T.]


giovedì 18 febbraio 2016

Eternal Tapestry - Wild Strawberries


Eternal Tapestry - Wild Strawberries
(Thrill Jockey, 2015)

A seguire gli Eternal Tapestry nella ricerca di fragole selvatiche si corre davvero il rischio di perdersi. I cinque faranno di tutto per farvi smarrire l’orientamento lungo i sentieri dello space rock più dilatato, facendovi assaggiare ogni sorta di pianta allucinogena. Partiti da una baita sperduta sulle montagne dell’Oregon - dove la band ha liberato le liquide improvvisazioni che poi hanno trovato maturazione in questo album - vi ritroverete a vagare nelle fitte foreste avvolte dall’umidità, senza capire come ci siete arrivati né come fare per uscirne. Wild Strawberries è un disco di fluttuanti jam sessions per lo più strumentali che hanno nella Natura selvaggia la propria musa. Otto brani sterminati (ognuno con il nome di una pianta come titolo) illuminati da raggi psichedelici di tastiera, talmente accecanti da rendere impossibile la distinzione tra sonno e veglia. Su questi tappeti (a volte sospesi come droni cosmici, a volte ondulanti a ritmi ipnotici come spirali kraut rock) liane di chitarra si attorcigliano senza fine e senza meta. Nei solchi di questo doppio vinile - che si distacca dalla razionalità e dai ritmi umani per immergersi con leggerezza nella spiritualità della Natura - c’è lo scorrere incessante dell’acqua verso valle ed il soffio del vento tra gli alberi. Musica cosmica e spaziale, ma suonata sul Pianeta Terra, per il Pianeta Terra. Per tutti i viaggiatori e gli esploratori (mentali, ovviamente!) che non hanno paura di spingersi “oltre”.
[R.T.]
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Eternal Tapestry - Wild Strawberries
(Thrill Jockey, 2015)

Following Eternal Tapestry in search of wild strawberries, there is the real risk of getting lost. The five musicians actually do anything to make you lose orientation along the paths of the most dilated space rock, letting you taste every kind of hallucinogenic plant. From a remote hut on the Oregon mountains - where the band released the liquid improvisations matured in this album - you will find yourself wandering in dense forests enveloped by moisture, without understanding how you got there or how to get out of it. Wild Strawberries is an album of fluctuant jam sessions, mostly instrumental, that has its muse in the wild Nature. Eight endless songs (each one with the name of a plant as title) enlightened by psychedelic rays of keyboards, so much dazzling to make it impossible to distinguish between sleep and wakefulness. On these carpets (sometimes suspended as cosmic drone, sometimes undulant with hypnotic rhythmic as kraut rock spirals) guitar lianas twist without end and without destination. In the grooves of this double vinyl - separated from rationality and human rhythms, plunging lightly into the spirituality of Nature - there is the incessant downstream water flow and the blow of the wind through the trees. Cosmic and space music, yet played on Planet Earth, for Planet Earth. For all (mental!) travellers and explorers who do not fear to venture in the “beyond”.
[R.T.]

martedì 16 febbraio 2016

O.R.k. – 12.02.2016 – The Cage Theatre (Livorno)



O.R.k. – 12.02.2016 – The Cage Theatre (Livorno)

Il supergruppo è un’arma a doppio taglio: da una parte incuriosisce per i nomi coinvolti, dall’altra genera delle aspettative spesso difficili da soddisfare. Questo è proprio quello che accade con la musica degli O.R.k. e il loro concerto al The Cage.

Il progetto di metal alternativo di ispirazione progressiva ideato da Lorenzo Esposito Fornasari (aka LEF, polistrumentista e cantante che vanta collaborazioni con i nomi più in vista del panorama sperimentale) e  Carmelo Pipitone (chitarrista dei Marta sui Tubi), si avvale del supporto di Colin Edwin dei Porcupine Tree al basso e Pat Mastellotto dei King Crimson alla batteria. Il risultato finale non raggiunge però la somma delle singole parti. In poco più di un’ora la band genera un vorticoso metal progressivo che non riesce a decollare nonostante la grandiosa capacità tecnica dei musicisti coinvolti. Di idee ottime ce ne sono a bizzeffe, e vedere questi musicisti destreggiarsi con lo strumento è comunque un piacere, ma quello che non convince sono proprio le canzoni, che alla fine risultano poco incisive e fluide. Attraversando attimi di delirio, esplosioni di trascinante potenza si alternano a momenti riflessivi, ma l’impressione è che non ci sia un disegno complessivo - e neanche un caos tanto disorientante da lasciare comunque una sensazione forte. La voce di LEF è assolutamente magistrale, con una profondità, una potenza e una versatilità che hanno pochi pari in Italia, ma l’atteggiamento da star, la mancanza di autoironia e la convinzione di essere un nuovo Mike Patton non lo rendono certo simpatico. Se Pipitone sulla carta potrebbe sembrare il nome meno appariscente, è invece proprio la sua chitarra estremamente rock a mantenere sulla terra una musica che spesso si perde e si sfilaccia. Un vero peccato: perché se questa band riuscisse a mirare un obiettivo, non ci sono dubbi che lo centrerebbe in pieno.
[R.T.]
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O.R.k. – 02.12.2016 – The Cage Theatre (Livorno)

The all-stars band is a double-edged weapon: if it excites curiosity because of the musicians involved in the project, it also generates expectations often difficult to satisfy. This is what happens with O.R.k. music and their gig at The Cage.

The progressive alternative metal project conceived by Lorenzo Esposito Fornasari (aka LEF, multi-instrumentalist and singer with a million of collaborations with the most important musicians in experimental circle) and Carmelo Pipitone (guitar player of Marta sui Tubi) relies on the support of Colin Edwin of Porcupine Tree at the bass guitar and Pat Mastellotto of King Crimson at the drums. Yet the final result does not reach the sum of the single parts. In just over an hour the band generates a whirling progressive metal that is not able to take off despite the great technical capability of the single musicians. There are a lot of excellent ideas, and it is a real pleasure to see these musicians juggling with their instrument, yet what is unconvincing are songs themselves, resulting a bit ineffective and not too fluid. Crossing istants of delirium, explosions of enthralling energy alternate with reflexive moments: yet the impression is that there is no overall design - neither a chaos so confusing to convey a strong feeling, anyway. LEF voice is absolutely masterly, with such a depth, a power and a versatility that it has few equals in Italy. Yet the star-like attitude, the lack of self-irony and the complacency in the belief of being a sort of new Mike Patton do not make him really pleasant. One should think of Pipitone as the less striking name: on the contrary, his extremely rock guitar maintains on the Earth a music often raveling and losing itself. What a pity: because if this band would be able to aim for a target, there is no doubt it would hit it.
[R.T.]



venerdì 12 febbraio 2016

Coroner + Acid Death + Sofisticator - 07.02.2016 - The Cage Theatre (Livorno)



Coroner + Acid Death + Sofisticator - 07.02.2016 -  The Cage Theatre (Livorno)

Corso base in 3 lezioni sulle evoluzioni del thrash metal, da sound grezzo e festaiolo per nerd brufolosi e ubriachi a musica strutturalmente complessa e concettualmente fantascientifica/distopica per nerd brufolosi fissati con il Commodore 64 e i b-movie post apocalittici.
1^ lezione: Voivod (Estragon, Bologna – 17/11/2015)
2^ lezione: Vektor (Exenzia, Prato - 27/11/2015)
3^ lezione: Coroner (The Cage Theatre, Livorno – 07/02/2016)

La serata del Cage viene aperta da un classico assalto thrash metal old school, operato dai Sofisticator. Sporchi e veloci come il genere richiede, la band scioglie i muscoli del collo a tutti i metallari capelloni presenti. Pur senza apportare particolari novità al genere, il gruppo fiorentino (nel quale militano alcuni membri dei Sulphur) convince e diverte. Consigliatissimi agli amanti di queste sonorità.

Seguono gli Acid Death, che fin dal primo accordo saturano i timpani dei presenti con suoni troppo compressi e con distorsioni troppo digitali per il thrash/death da loro proposto. Meglio quando si spostano su composizioni futuribili e post industriali alla Meshuggah/Fear Factory, dove, pur senza offrire idee particolarmente interessanti, almeno non danneggiano le canzoni.

Inizia poi la lezione vera e propria. I Coroner sono tra le massime autorità in materia, e lo dimostrano con un concerto in cui l'impatto e l'energia non sono mai soffocati dalla complessità tecnica dei brani. Come narra il luogo comune sugli svizzeri, anche i Coroner sono precisissimi, ma ancor di più mostrano potenza, dinamismo e infinita fantasia. A veloci sfuriate alternano mid tempo carichi di groove, dal sapore meccanico e industriale, collegando i diversi passaggi con arzigogolati, ma sempre convolgenti, labirinti ritmici. Gli assoli di Tommy T. Baron e la mentalità esplicitamente progressiva e sperimentatrice delle melodie, dimostrano quanto questa band sia stata fondamentale nel piegare il thrash metal in forme inedite, che dalla seconda metà degli anni 90 in poi, diventeranno quasi usuali grazie a band come i Meshuggah. Il fatto che in certi frangenti sprigionino un'incontenibile energia assimilabile a quella degli Helmet, band neanche lontanamente assimilabile al classico ambiente metal, la dice lunga su quanto questi svizzeri abbiano abbattuto i confini del genere. Riunitisi nel 2010, la band non ha ancora pubblicato il seguito di Grin (1993) e si è per ora "limitata" a concerti memorabili, come quello del Cage. Visti i risultati, la speranza per un nuovo lavoro diventa quasi un'esigenza.

Speriamo che questo corso sul thrash metal progressivo e fantascientifico preveda un secondo modulo (magari con una bella lezione tenuta dai Meshuggah) dello stesso livello del primo!
[R.T.]
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Coroner + Acid Death + Sofisticator - 02.07.2016 -  The Cage Theatre (Livorno)

Basic course in 3 lessons on the evolution of thrash metal, from raw, funny sound for pimply, drunk nerds to dystopian, sci-fi, complex music for pimply nerds addicted to Commodore-64 and post apocalyptic b-movies.
Lesson #1: Voivod (Estragon, Bologna – 11/17/2015)
Lesson #2: Vektor (Exenzia, Prato - 11/27/2015)
Lesson #3: Coroner (The Cage Theatre, Livorno – 02/07/2016)

The evening at The Cage is opened by Sofisticator and their old school thrash metal assault. Filthy and fast as the genre needs, their songs introduce the headbanging ritual for all the longhaired metalheads. Even though they do not revolutionize the genre, the band from Firenze (featuring some members of Sulphur) impresses and entertains. Heartly reccomended to lovers of these sounds.

Then Acid Death – and from their very first chord they saturate the eardrums with too compressed sounds and too digital distorsions for their thrash/death setlist. Things go better when they play their Meshuggah/Fear Factory-like futuristic, post-industrial songs: nothing new on the horizon, yet at least songs are non damaged by poor sounds.

Finally the actual lesson. Coroner are one of the leading authorities in this field, and they offer clear evidence of this with a great show in which impact and energy are never choked by the technical complexity of the songs. In full respect of the commonplace on Swiss, Coroner are really extremely precise: yet above all they show power, dynamism and infinite creativity. Fast oubursts, mechanical/industrial groovy mid tempo, convoluted – yet enthrolling – rhythmic mazes. Tommy T. Baron solos and the prog, experimetal attitude of melodies are evidence of how influential Coroner were in giving new shapes to thrash metal (new shapes that have become almost usual from the second half of 90s, thanks to bands such as Meshuggah). The uncontainable, Helmet-like energy of some passages tells us how far they went from the boundaries of the genre. After their reunion in 2010 they have not yet released the sequel of Grin (1993) and they are “simply” playing memorable concerts, like this one at The Cage. Considering the high quality of their music and performance, the hope for a new album becomes almost a need.

I really hope that this mini-course on prog, sci-fi thrash metal will be followed by a second level of the same great quality of the first (hopefully with a beautiful lesson by Meshuggah)!
[R.T.]


mercoledì 10 febbraio 2016

David Bowie - "Heroes"



David Bowie –“Heroes”
(RCA, 1977)

Nel cuore di un mondo diviso in due blocchi contrapposti, dove le speranze sono affidate a tiepidi raggi di luce che filtrano tra la nebbia, Bowie genera un'opera onirica e decadente che non solo è specchio dell'epoca in cui è stata concepita, ma è anche riflesso dell'intimità del suo autore.
Mentre nella sua Londra il fenomeno punk sta corrodendo il rock per riportarlo alla sua essenza più grezza e primordiale, priva dei barocchismi che lo avevano soffocato nella prima metà degli anni 70, David Bowie - trasferitosi a Berlino Ovest - scava un tunnel personale posizionandosi come al solito "oltre" le tendenze del momento, e qui fa convivere immediatezza melodica, ricercatezza stilistica e sperimentazione. Innamorato delle esplorazioni cosmiche tedesche, Bowie modella la materia sonora fino a rendere impercettibile il divario tra musica rock e sperimentale. Bowie conferma la struttura dell’album precedente (Low), suddividendo "Heroes" in un lato A caratterizzato da canzoni e un lato B costituito da frammenti atmosferici. Al tempo stesso, però, avvicina i due estremi fino a rendere la prima metà un esempio di pop d’avanguardia e la seconda metà un esempio di avanguardia pop. Tematicamente non così astratto e paranoico come Low, ma musicalmente ancor più surreale e oscuro, "Heroes" vede ancora una volta il talento di Brian Eno affiancare quello di Bowie nella modulazione armonica dei brani. Ai due si aggiunge la fondamentale partecipazione di Robert Fripp alla chitarra, il quale contribuisce al sound futuristico e onirico del disco grazie alle sue melodie sghembe e gelide. Il perfetto equilibrio tra le visioni strumentali del duo Fripp & Eno - che aveva già avuto modo di manifestarsi con i droni cosmici del meraviglioso (No Pussyfooting) - e la capacità melodica di Bowie raggiunge l’apice nella splendida title-track, a ragione considerata uno dei massimi capolavori del Duca Bianco. Ma dalle devianti melodie di Sons of the Silent Age all'oscurità di Sense of Doubt, passando per i bagliori luminosi di Moss Garden, "Heroes" è nella sua interezza un disco memorabile che fungerà da pietra angolare per tutta la darkwave a venire - e non solo.
[R.T.]

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David Bowie –“Heroes”
(RCA, 1977)

In a world split into two opposing blocs, where hopes are lukewarm rays of lights submerged in the fog, Bowie creates a dreamlike, decadent album which is both a mirror of its time and a reflex of the innermost world of its author.
While in London punk is corroding rock music to bring it back to its raw, primordial essence, free of all the baroque mannerism of the early 70s, in West Berlin David Bowie is digging a personal tunnel beyond the trends of those years and succeeds in combining melodic directness, sophisticated style and experimentation. In love with German cosmic explorations, Bowie shapes the sound up to the point of making the gap between rock and experimental music almost imperceptible. Bowie confirms the structure of the previous album (Low), dividing “Heroes” in a Side A made of songs and a Side B made of atmospheric fragments. Yet, at the same time, he brings the two extremes so much close that the first half is a perfect example of avant-garde pop and the second one a perfect example of pop avant-garde. Thematically not so much abstract and paranoid as Low, but musically much more surreal and dark, "Heroes" is the result of the talented collaboration of Brian Eno and David Bowie in harmonic modulation of songs. And Robert Fripp contributes to the oneiric, futuristic sound of the album thanks to the crooked, icy melodies of his guitar. The perfect balance of the instrumental visions of Fripp & Eno – already manifested in the cosmic drones of the amazing (No Pussyfooting) – and the melodic sensitivity of Bowie reaches its peak in the fantastic title-track – one of the most loved masterpieces of the White Duke. From the deviant melodies of Sons of the Silent Age, to the darkness of Sense of Doubt, through the luminous glows of Moss Garden, "Heroes" is in its entirety a memorable album, which is also a cornerstone for the darkwave to come - and not only for it.
[R.T.]

domenica 7 febbraio 2016

Goatsnake – Black Age Blues


Goatsnake – Black Age Blues
(Southern Lord, 2015)

Il sound torbato e strutturato dei Goatsnake ha necessitato di 15 anni di maturazione prima di poter essere assaggiato dai cultori dello stoner doom più muscolare. Quindici anni durante i quali i suoi componenti hanno fermentato esperienze di altissimo livello e il doom è diventato un genere di punta nell’ambito del rock alternativo, a tal punto da trasformare i Goatsnake da band di culto per pochi appassionati ad uno dei ritorni più attesi nell’ambito della musica pesante. Le attese sono ampiamente ripagate dal poderoso Black Age Blues: disco che - come una buona bottiglia di whisky - libera aromi decisi e penetranti con i suoi riff massicci e scalda il palato degli amanti delle sensazioni intense grazie alla passionale voce di Pete Stahl. Il terzo disco della band di Los Angeles pare distillato in presenza di un immenso deposito di torba, da tanto risulta affumicato - a tratti perfino bruciato - ma possiede anche una rotondità ed una profondità stupefacenti, grazie ai suoni poderosi delle distorsioni della chitarra di Greg Anderson. Quello che rende Black Age Blues uno dei più convincenti lavori di quel southern stoner che dai Corrosion of Conformity porta fino ai Down, è l’armonia che la band riesce a creare tra travolgente energia rock ed equilibrata spiritualità gospel. Inaspettatamente i Goatsnake entrano in una sperduta chiesa di provincia degli stati del Sud e miscelano gli aromi delle chitarre alle voci di un coro gospel, ottenendo un risultato che riconduce alle radici blues dalle quali tutta la musica pesante è nata. I sentori di Alice in Chains non fanno che arricchire uno dei più pregiati whisky dell’annata 2015. Imperdibile.
[R.T.]

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Goatsnake – Black Age Blues
(Southern Lord, 2015)

Peaty and well structured Goatsnake sound needed fifteen years of maturation before it could be tasted by fans of the most muscular stoner doom. Fifteen years during which the members of the band have fermented experiences of the highest level and doom has become a prominent genre in alternative rock area, up to the point that Goatsnake transformed themselves from a cult band for few fans into one of the most awaited returns in heavy music. The expectations are fully rewarded by the mighty Black Age Blues. Like a good whisky bottle, with its massive riffs it releases penetrating, well-defined aromas and it warms the palate of lovers of intense sensations thanks to the passionate Pete Stahl voice. The third album of the L.A. band sounds so much smoked – sometimes even burnt – that it seems to have been distilled near a huge peat deposit. Yet it owns an amazing depth and roundness, thanks to the powerful sounds of distortions of Greg Anderson guitar. The harmony between overwhelming rock energy and balanced gospel spirituality is what makes Black Age Blues one of the most convincing works of that southern stoner that connects Corrosion of Conformity to Down. Unexpectedly, entering a lonely church in the suburbs of the South of USA and mixing the guitar aromas with the voices of a gospel choir, Goatsnake achieve a result that brings the listener back to the blues roots from which all the heavy music was born. Scents of Alice in Chains enrich one of the finest whiskies of the 2015 vintage. Unmissable.
[R.T.]



mercoledì 3 febbraio 2016

Mutoid Man - Bleeder



Mutoid Man – Bleeder
(Sargent House, 2015)

Chi è innamorato del lato violento della musica non può non aver apprezzato, almeno in passato, l’heavy metal: anche se ora è un fervente sostenitore della spontaneità hardcore. Questo è certamente vero per Steve Brodsky e Ben Koller, rispettivamente cantante/chitarrista dei Cave In e batterista dei Converge. Che la loro passione per le folte chiome degli anni 80 fosse parte fondamentale della loro crescita musicale era evidente già dalla musica delle loro band principali, ma per fugare ogni dubbio hanno omaggiato i loro idoli con il progetto Mutoid Man. Esaltazione di tutto ciò che vi è di esagerato nella musica pesante, i Mutoid Man sono una parodia e al tempo stesso un omaggio all’heavy metal dei primi anni 80. Tutti i cliché del metal sono ripresi e omaggiati con occhio ironico: riff adrenalinici a velocità stratosferica che richiamano Rust in Peace, fraseggi melodici in puro stile New Wave of British Heavy Metal, sfuriate di doppia cassa e una voce talvolta acuta e epica, talvolta rigurgitante. Bleeder, loro secondo album, rivolta il metal classico nell’ottica del post hardcore e del crossover più divertente e divertito, risultando schizofrenico, imprevedibile, esplosivo. Tutt’altro che classico! Come se Mike Patton giocasse a dare una propria interpretazione del thrash metal! La musica pesante è puro divertimento ed energia, e i Mutoid Man hanno creato un eccezionale ed originale omaggio a questi aspetti dell’heavy metal, troppo spesso trascurati.
[R.T.]
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Mutoid Man - Bleeder
(Sargent House, 2015)

Everyone in love with the violent side of music has to be (or, at least, used to be!) in love with heavy metal: even if now he is a fervent supporter of hardcore spontaneity. Without any doubt, this is true for Steve Brodsky and Ben Koller - respectively singer/guitar player of Cave In and drummer of Converge. The fact that their passion for the longhaired musicians of the 80s was a fundamental part of their musical growth is evident even if one thinks about the music of their main bands: yet, to dispel any doubt, they honore their idols with Mutoid Man project. Exaltation of every exaggeration in heavy music, Mutoid Man are a parody and at the same time a tribute to early 80s heavy metal. Every metal cliché is recalled and honored with ironic taste: adrenaline riffs with supersonic speed reminiscent of Rust in Piece, melodic phrasings in pure New Wave of British Heavy Metal style, fits of anger by the double bass drum, a voice which sounds sometimes high and epic, sometimes regurgitating. Their second album, Bleeder, turns upside down the classical heavy metal thanks to the injections of post hardcore and funny and amused crossover sensibility: the result is schizophrenic, unpredictable and explosive. Anything but classic! As if Mike Patton was playing his own reinterpretation of thrash metal! Heavy music is pure fun and energy, and Mutoid Man create an exceptional tribute to these - too often neglected - aspects of this musical genre.
[R.T.]