mercoledì 13 settembre 2017

The Black Angels – Death Song


The Black Angels – Death Song
(Partisan Records, 2017)

Sono trascorsi 50 anni dalla pubblicazione di Velvet Underground & Nico e dai feedback tenebrosi di The Black Angel’s Death Song. Mezzo secolo dopo i Black Angels rendono esplicito omaggio ad una delle loro principali fonti di ispirazione, intitolando il loro quinto disco Death Song. La band di Austin ha da sempre nutrito la propria musica di citazioni e richiami all’epoca d’oro della psichedelia (oltre alla band di Lou Reed, anche 13th Floor Elevators, The Doors e primi Pink Floyd) aggiungendovi però contorni neopsichedelici, capaci di renderla moderna e contemporanea, fino a diventare, lei stessa, uno dei principali punti di riferimento per gli amanti delle sonorità lisergiche del nuovo millennio.
Ormai matura, la creatura di Alex Maas tratteggia un disegno che non possiede più i colori roventi del mezzogiorno di fuoco di alcuni dischi del passato, bensì i colori caldi e avvolgenti del tramonto. Nuove sfumature, più tenui rispetto al passato, ma non per questo meno affascinanti. Le cattive vibrazioni generate dal gruppo in quest'ultimo disco assumono le forme di canzoni immediate e lineari, ma al tempo stesso emanano atmosfere desolate e desertiche, per niente “facili” o “piacevoli”. Nelle malinconiche e toccanti ballate (Half Believing, Life Song) la band evidenzia quanta disillusione e sconforto abbia colto quell'aspide che prima scivolava combattivo tra le rocce del deserto texano. Il groove ipnotico di Phosphene Dream appare solo a tratti, come un fantasma in un vecchio paese del selvaggio west abbandonato a sé stesso. Eppure, in alcune  cavalcate elettriche (I’d Kill For Her, I Dreamt), il vecchio fantasma viene evocato in tutta la sua forza. Ma forse è proprio nei contorni sfumati dei brani più introspettivi, e nella loro capacità di tracciare nuovi sentieri nella carriera della band, che Death Song si conferma l'ennesima avvincente prova dei Black Angels. Crepuscolare e disincantato, ma mai stanco, questo è il disco di una band la cui maturità non consente più atti di rivolta, bensì meditazioni adulte e riflessive. 
[R.T.]
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The Black Angels – Death Song
(Partisan Records, 2017)

It's been 50 years since the release of Velvet Underground & Nico and the dark feedbacks of The Black Angel's Death Song. After half a century The Black Angels pay an explicit tribute to one of their main sources of inspiration, giving the name Death Song to their fifth record. The band from Austin has always nourished its music with mentions and references to the golden age of psychedelic rock (in addition to Lou Reed band, also The 13th Floor Elevators, The Doors and the first Pink Floyd), adding to it neopsichedelic contours capable of making it modern and contemporary, becoming itself one of the main landmarks for lysergic sounds lovers of the new millennium. 
By now mature, Alex Maas creature sketches a drawing that no longer has the hot midday colours of some records of the past, but the warm and enchanting colours of the sunset. New shades, more subtle than in the past, but no less fascinating. The bad vibrations generated by the band on this last record take on the forms of immediate and linear songs, but at the same time emanate desolate and deserted atmospheres, no at all "easy" or "enjoyable". In the melancholy and touching ballads (Half Believing, Life Song) the band highlights how much disillusionment and discomfort have seized the asp that, combative, used to sneak among the rocks of the Texas desert. The hypnotic groove of Phosphene Dream appears only at times, like a ghost in an old wild west village abandoned to itself. Yet, in some electric rides (I'd Kill For Her, I Dreamt), the old ghost is evoked in all its strength. But maybe it's exactly in the more veiled contours of the most introspective songs, and in their ability to trace new paths in the career of the band, that Death Song proves to be another Black Angels compelling work. Crepuscular and disenchanted, but never worn out, Death Song is the album of a band whose maturity does not allow riot acts anymore, yet adult and reflexive meditations.
[R.T.]

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