martedì 31 luglio 2018

Mark Lanegan Band + Supersonic Blues Machine feat. Billy Gibbons - 15.07.2018 - Pistoia Blues


Mark Lanegan Band + Supersonic Blues Machine feat. Billy Gibbons - 15.07.2018 - Pistoia Blues

Mark Lanegan è un reduce. Lo si capisce da come si tiene aggrappato all’asta del microfono. Stanco, sfibrato, prosciugato, ma saldamente ancorato a quella voce che pare provenire dalle viscere della Terra. Un reduce che è sopravvissuto alla Seattle degli anni '90, e a tutte le rivoluzioni musicali degli anni successivi, a differenza di gran parte dei suoi coetanei dell’epoca grunge. Stasera, dopo molti appuntamenti mancati, riesco finalmente a trovarmelo di fronte. Basta un sussurro per rimanere impressionati. Un sussurro che sa di terra arida, secca, profonda, come il solco tracciato, nel corso dei millenni, da un fiume ormai prosciugato. Una voce forte e avvolgente, ma che, al tempo stesso, si sbriciola tra le mani da tanto pare fragile. Stasera Lanegan non riesce a liberarla completamente e a spingerla con il massimo della forza (il continuo ricorso alle tisane, tra una canzone e l’altra, è la dimostrazione che le corde vocali di Lanegan forse sono al limite), ma il calore che riesce a trasmettere brucia comunque la pelle. Una patina darkwave copre gran parte delle canzoni di stasera, e a tratti sono davvero ipnotizzato da questa oscurità che si nutre di tastiere elettroniche e di voce che puzza di whiskey, legno e tabacco. Un contrasto che avrebbe potuto essere più affascinante con una band più robusta e imprevedibile, e con suoni più avvolgenti, ma che comunque convince chi, come me, è al primo impatto con la voce di Lanegan dal vivo. Fare la conoscenza, di persona, con una voce del genere, è un’esperienza notevole.

La mia serata nella bellissima Piazza del Duomo di Pistoia potrebbe concludersi qui, ma per curiosità rimango in attesa della barba di Billy Gibbons degli ZZ Top, ospite speciale dei Supersonic Blues Machine. Per un’ora e dieci di Gibbons neanche l’ombra, e io, fiero sostenitore della depressione grunge, mi sento fuori luogo come se avessi addosso il camincione di flanella, e mi trovassi su una spiaggia di Los Angeles, in pieno agosto, con tutti i bagnanti in costume, perfettamente abbronzati. Musica per parrucche cotonate, alla Bon Jovi, con tanto di coriste che ballano. Ritornelli zuccherosi, hard rock poco hard (eccezion fatta per qualche bel riff), assoli blues fluidi, cristallini, veloci, sostanzialmente soporiferi. Proprio mentre inizio a comprendere come mai negli anni '90 c’è chi ha iniziato a farsi di eroina e a meditare il suicidio pur di sfuggire da questa musica, appare la tanto attesa barba di Gibbons. Grezzo e sporco sia per la ruvidissima voce che per il suo stile da “zappatore” della sei corde, Gibbons fa respirare l’anima del profondo Texas, abitato da redneck ubriachi, agli altri membri della band, che in un attimo scompaiono dagli amplificatori. Anche se i brani degli ZZ Top suonano ammorbiditi dalla patina glam dei Supersonic Blues Machine, è un piacere concludere la serata con un po’ di blues ignorante e - finalmente! - sporco e vissuto.
[R.T.]

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Mark Lanegan Band + Supersonic Blues Machine feat. Billy Gibbons - 07.15.2018 - Pistoia Blues

Mark Lanegan is a veteran. It is clear by the way he hold on to the microphone stand. Tired, worn out, drained, but firmly anchored to that voice that seems to come from the bowels of the Earth. A veteran who survived 90s Seattle, and all the musical revolutions of the following years, unlike most of his peers of the grunge era. Tonight, after many missed appointments, I can finally be in front of him. A whisper is enough to remain impressed. A whisper that tastes of dry earth, as deep as the furrow traced over the millennia by a now dried up river. A strong and enveloping voice, that at the same time crumbles in his hands so delicate it seems. Tonight Lanegan cannot free it completely and he doesn't push it with the utmost strength (the continuous seeping of infusions, between one song and another, is the proof that Lanegan's vocal cords perhaps are at their limit), but the warmth he manages to transmit however burns the skin. A darkwave patina covers most of the songs tonight, and at times I'm really mesmerized by this darkness that feeds both on electronic keyboards and on a voice that smells like whiskey, wood and tobacco. A contrast that could have been more fascinating with a more robust and unpredictable band, and with more enveloping sounds, but that still convinces those who, like me, are at the first impact with live Lanegan's voice. Being acquainted, in person, with a voice like that, is a remarkable experience.

My evening in the beautiful Piazza del Duomo in Pistoia could end here, but out of curiosity I am waiting for ZZ Top Billy Gibbons' beard, special guest of the Supersonic Blues Machine. For more than an hour no trace of Gibbons, and - proud supporter of the grunge depression - I feel out of place as if I was wearing flannel shirt on a beach in Los Angeles, in August, with all the bathers perfectly tanned in their swimsuit. Music for backcombed hair, in Bon Jovi style, with dancing choristers. Mushy refrains, not so hard hard rock (except for some nice riffs), fluid, crystalline, fast, basically soporific, blues solos. As I begin to understand why in the 90s there were those who became heroin addicts and began to meditate suicide in order to escape from this music, the long-awaited Gibbons' beard appears. Raw and dirty both for his rough voice and his "hoer-of-the-six-strings" style, Gibbons makes breathe to the other members of the band (who in a moment disappear from the amplifiers) the soul of the deep Texas, inhabited by drunken rednecks. Although ZZ Top songs sound softened by the glam patina of the Supersonic Blues Machine, it's a pleasure to end the evening with some raw and - finally! - dirty and seasoned blues.
[R.T.]

domenica 29 luglio 2018

Andrea Carboni feat. Daniela Savoldi - 07.07.2018 - Pisa (Secret Show)


Andrea Carboni feat. Daniela Savoldi - 07.07.2018 - Pisa (Secret Show)

Metti una sera d'estate, in cui l'afa ti spinge fuori dalla città e ti ritrovi in un "giardino segreto" per un concerto solo su invito, solo per pochi ascoltatori. La leggera brezza dell'ora del tramonto e tante piccole candele pronte ad accogliere la notte. Una cornice come questa non può che esaltare il concerto di stasera in cui, ad impreziosire le canzoni di Andrea Carboni, c'è il violoncello di Daniela Savoldi. Molto più che un semplice accompagnamento o riarrangiamento dei pezzi del cantautore pisano, le trame ordite dalla musicista italo-brasiliana aggiungono un'atmosfera rarefatta e a tratti onirica e malinconica a brani già carichi di pathos emotivo, sia a livello musicale, sia soprattuto a livello di testi. L'impronta acustica del set di stasera ben sottolinea la matrice indie-pop delle canzoni di Andrea Carboni, mettendone in risalto la continua ricerca per melodie cariche di fragilità ed emotività. C'è anche spazio per un paio di azzeccate cover, come Bye Bye Bombay degli Afterhours e soprattutto Io Sono Uno di Luigi Tenco, che vanno ad incastonarsi perfettamente nella scaletta e nelle vibrazioni di questo set. L'incontro artistico di Andrea Carboni e Daniela Savoldi è una collaborazione davvero riuscita, un'esperienza live che merita di essere riproposta e coltivata.
[E.R.]
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Andrea Carboni feat. Daniela Savoldi - 07.07.2018 - Pisa (Secret Show)

A summer evening, the hot gets you out of the city and you find yourself in a "secret garden" for a concert only by invitation, only for a small audience. The light breeze at sunset and lots of small candles ready to welcome the night. A frame like this can not but enhance tonight concert with Daniela Savoldi's cello to embellish Andrea Carboni's songs. Much more than a simple accompaniment or rearrangement of the pieces by the Pisan singer-songwriter, the plots hatched by the Italian-Brazilian musician add a rarefied and sometimes dreamy melancholic atmosphere to songs which are already full of emotional pathos, both on the musical side, and above all on that of lyrics. The acoustic imprint of tonight's set highlights the indie-pop matrix of Andrea Carboni's songs, emphasizing the continuous search for melodies full of fragility and emotionality. There is also time for a couple of inspired covers - Bye Bye Bombay (Afterhours) and above all Io Sono Uno (Luigi Tenco) - which perfectly fit into the setlist and the vibrations of this set. The artistic meeting of Andrea Carboni and Daniela Savoldi is a truly successful collaboration, a live experience that deserves to be proposed again and cultivated.
[E.R.]

martedì 24 luglio 2018

The Freeks - Crazy World


The Freeks - Crazy World
(Heavy Psych Sounds, 2018)

Se Ruben Romano si fosse unito a Eddie Glass nella resurrezione del nucleo storico dei Nebula (magari per comporre nuove canzoni), sarebbe stato difficile contenere l’estasi cosmica di tutti i nostalgici dello stoner rock di fine anni 90. Ma probabilmente avremmo dovuto rinunciare alla nuova anima di Romano che - senza alcun senso di nostalgia - ripesca con i suoi Freeks il garage rock detroitiano e lo proietta nelle galassie più remote. Il quarto disco della band di Los Angeles nasce infatti dal proto punk del disco precedente (Shattered) ma, spalancata la saracinesca del garage, rivela di aver qui parcheggiata un’astronave (arrugginita, sporca e ammaccata) pronta al decollo. Crazy World parte dalla terra polverosa di una cantina (American Lightning, che vede la partecipazione di Ray Hanson dei Thee Hypnotics) e flirta morbosamente con una cover di Pj Harvey (This is Love) trasformandola in una canzone che puzza di alcool e sigarette. Accende poi i motori della vecchia carretta spaziale per lasciarla fluttuare in un cielo di jam psichedeliche (Take 9) prima di lanciarla in viaggi intergalattici carichi di esplosioni e bagliori luminosi (Chronic Abduction) ed infine farla atterrare con una maestosa ballata (Mothership to Mother Earth). Nonostante il retrogusto vintage (che richiama i b-movie sci-fi anni '60, con riferimenti a rapimenti alieni e strani esperimenti sugli esseri umani) non c'è però spazio per nessuna retromania revivalistica, perché Romano e la sua band possiedono un’energia ed una fantasia dirompenti ed incontenibili, indispensabili per rimettere in moto e far viaggiare lungo nuove traiettorie un’astronave "fuori moda" come la loro.
[R.T.]
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The Freeks - Crazy World
(Heavy Psych Sounds, 2018)

If Ruben Romano had joined Eddie Glass in the resurrection of the historical core of Nebula (hopefully to compose new songs), it would have been difficult to contain the cosmic ecstasy of all those nostalgic of late 90s stoner rock. But we probably would have lost the chance to discover Romano's new soul which with his Freeks - without any sense of nostalgia - digs out Detroit garage rock, projecting it in the most remote galaxies. The fourth album of the L.A. band was born from the proto punk of the previous record (Shattered) but, wide open the garage door, it reveals to have parked here a (rusty, dirty, dented) spaceship ready to take off. Crazy World leaves from the dusty soil of a cellar (American Lightning, featuring Ray Hanson of Thee Hypnotics) and morbidly flirts with a cover of a Pj Harvey's song (This is Love) turning it into a track smelling like alcohol and cigarettes. Then he turns on the engines of the old space wreck to let it float in a sky of psychedelic jam (Take 9) before launching it on intergalactic journeys full of explosions and bright flashes (Chronic Abduction) and finally let it land with a majestic ballad (Mothership to Mother Earth). Despite the vintage aftertaste (reminiscet of 60s sci-fi b-movies, with references to alien abductions and strange experiments on human beings) there is no room for any revivalist retromania, because Romano and his band have got disruptive and irrepressible energy and fantasy, essential to restart an "out of fashion" spaceship like theirs, letting it travel along new trajectories.
[R.T.]

mercoledì 18 luglio 2018

The Lords of Altamont - The Wild Sounds of the Lords of Alta­mont


The Lords of Altamont - The Wild Sounds of the Lords of Alta­mont
(Heavy Psych Sounds, 2017)

6 dicembre 1969. Il giorno in cui muore la Summer of Love. L’utopia “peace & lov­e” si frantuma simbo­licamente sotto il palco dei Rolling Sto­nes, dove pistole e coltelli rubano la scena alle chitarre. Da quel risveglio im­provviso e scioccant­e, e dal conseguente ritorno alla cruda realtà, nasce il nome della band di Jake Cavaliere. Un perso­naggio che ha da sem­pre inzuppato il flo­wer power nel nero dei gas di scarico di una Harley, cavalca­ndo l’energia “per niente positiva” del proto punk primordia­le fin dai tempi del­le sue collaborazioni con i Fuzztones e con i Cramps (dei pr­imi è stato cantante su Monster a Go-go, dei secondi roadie e tecnico delle chit­arre). Con il sesto disco della sua band (The Wild Sounds of the Lords of Altamo­nt) Cavaliere dimost­ra di non aver mai parcheggiato la moto in garage, ma anzi si lascia andare ad impennate in puro sti­le Stooges (Going Downtown), acce­lerazioni punk (Death on the Highway) e sgommate con fumata delle gomme sull’as­falto (la stonerosis­sima cover di Evil di Howling Wolf). Nie­nte casco ben allacc­iato in testa, la lo­ro è una corsa sfren­ata in fuga dalla po­lizia. Teppisti del rock n’ roll alla ri­cerca di divertimento puro e semplice. Frequentare certe com­pagnie potrebbe esse­re molto pericoloso, ma anche incredibil­mente eccitante!
[R.T.]
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The Lords of Altamont - The Wild Sounds of the Lords of Alta­mont
(Heavy Psych Sounds, 2017)

December 6, 1969. The day the Summer of Love dies. The "peace & love" utopia is symbolically shattered under The Rolling Stones stage, where guns and knives take the thunder away from guitars. From that sudden and shocking awakening, and from the consequent return to raw reality, it comes the name of Jake Cavaliere's band. A character who has always drenched flower power into the black exhaust of a Harley, riding the "not at all positive" energy of the primordial proto punk since the time of his collaborations with The Fuzztones and with The Cramps (singer on Monster at Go-go for the first ones, roadie and guitar technician for the second ones). With the sixth record of his band (The Wild Sounds of the Lords of Altamont) Cavaliere proves he has never parked his motorcycle in the garage, but he rather lets himself go to wheelies in pure Stooges style (Going Downtown), punk acceleration (Death on the Highway) and screechs of tires on the asphalt (the super-stoner cover of Evil by Howling Wolf). No helmet well tied on the head, their is a wild ride fleeing from the police. Rock n 'roll thugs looking for pure and simple fun. Attending certain companies could be very dangerous, yet also incredibly exciting!
[R.T.]

lunedì 9 luglio 2018

Calibro 35 – Decade


Calibro 35 – Decade
(Record Kicks, 2018)

Uno studio di giovani architetti con base a Firenze, il Superstudio, immaginò e progettò nei primi anni ‘70 Dodici città ideali, una visione distopica in cui l’urbanizzazione moderna raggiungeva i livelli più surreali e alienanti. In questi intrecci di strutture geometriche fantascientifiche atterra oggi l’astronave dei Calibro 35. Dopo esser decollata dai bassifondi nebbiosi della Milano anni ‘70, e dopo aver intrapreso un viaggio intergalattico con l’album del 2015 (S.P.A.C.E.), la navicella raggiunge questa nuova metropoli, che potrebbe trovarsi su un pianeta sconosciuto, in una realtà parallela o nella mente di un architetto visionario di 50 anni fa. Per costruire questa città la band milanese ha concepito il suo progetto più ambizioso, facendosi aiutare dai fiati, dalle percussioni e dagli archi degli Esecutori di metallo su carta - un ensemble orchestrale che non si limita ad accompagnare la band, ma contribuisce a dare forma alla struttura profonda dei brani, fin dalle fondamenta. Ci ritroviamo in spazi inediti nei quali, libere da vincoli, le linee dell’architettura radicale italiana degli anni ‘60/’70 si trasformano in musica. I Calibro 35 scrivono una colonna sonora per ambienti di una città immaginaria, contaminando linguaggi diversi (funk, afro psichedelia, jazz, prog di Canterbury…) con fortissima personalità. Anche gli elementi meno appariscenti che colorano questa città non possono mai essere definiti arredamento, bensì design. Decade è un album sinuoso come le poltrone progettate dallo studio Archizoom, ma al tempo stesso geometrico come la teoria Modulor di Le Corbusier. Utopia e irrazionalità per una città concreta e reale, probabilmente la più affascinante progettata dalla band fino ad oggi.
[R.T.]
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Calibro 35 – Decade
(Record Kicks, 2018)

In the early 70s Superstudio (an atelier of young architects based in Florence) imagined and designed Twelve Ideal Cities, a dystopian vision in which modern urbanization reached the most surreal and alienating levels. Calibro 35 spaceship now lands in these interweaving of geometric sci-fi structures. After taking off from the foggy slums of Milan in the 70s, and after having gone on an intergalactic journey with their 2015 album (S.P.A.C.E.), their spacecraft reaches this new metropolis, which could be on an unknown planet, in a parallel reality or in the mind of a visionary architect 50 years ago. To build this city the band from Milan has conceived its most ambitious project, being helped by the winds instruments, percussions and strings of the Esecutori di metallo su carta - an orchestral ensemble that not only play together with the band, but that also contributes to shape the deep structure of the songs, from their foundations. We find ourselves in unprecedented spaces in which, free from constraints, the lines of 60s/70s Italian radical architecture are transformed into music. Calibro 35 write a soundtrack for environments of an imaginary city, contaminating different languages (funk, afro psychedelia, jazz, Canterbury prog ...) with strong personality. Even the less ostentatious elements colouring this city can never be called furniture, yet design. Decade is a sinuous album like the armchairs designed by the Archizoom studio, but at the same time geometric as Le Corbusier's Modulor theory. Utopia and irrationality for a concrete and real city, probably the most fascinating designed by the band until today.
[R.T.]

venerdì 6 luglio 2018

Neurosis + Converge + Deaf Kids - 17.06.2018 - Zona Roveri (Bologna)


Neurosis + Converge + Deaf Kids - 17.06.2018 - Zona Roveri (Bologna)

Inizia l’estate, stagione di festival all’aperto e megaeventi rock, con canzoni che hanno fatto la storia della mia adolescenza, da cantare a squarciagola in mezzo ad un oceano di 60.000 persone. Eppure c’è chi come me si ostina a rifugiarsi nel buio di un locale al chiuso, come se fosse sempre gennaio, per ascoltare musica devastante ed uscirne devastato. C’è qualcosa di mistico e spirituale in tanto masochismo. Sofferenza catartica. 

Appena messo piede all’interno del locale, sulle prime allucinanti note dei Deaf Kids, intuisco che saranno confermate le aspettative. Perderò litri di sudore ed evaporerà ogni energia, mentre schiena e piedi saranno presto a brandelli. La musica dei Deaf Kids non aiuta a rinfrescare e ossigenare la sala. Un assalto in cui un riff alla Motorhead si ripete ossessivo (come se fosse stato messo in loop da una band math rock), mentre una voce “berciata” viene manipolata da delay infiniti e cascate di effetti. Accartocciamenti noise e sfuriate proto-metal talmente deviate da sembrare industrial, per un concerto interessante, ma alla lunga difficile da sostenere. Mentre Dave Edwardson dei Neurosis si dimena sotto il palco, io esco a prendere una boccata di ossigeno. Perché tra poco non ci sarà davvero più tempo per respirare.

Per la terza volta in due mesi vengo travolto dai Converge. Ma, a differenza del Roadburn, stasera non ci sono suoni calibrati al millimetro, band quadrata e impeccabile (ricordando soprattutto il set dedicato a You Fail Me), né pubblico esaltato ma contenuto. Stasera è il massacro. Bastano pochi secondi e le prime file si trasformano in un carnaio. In questo degenero di corpi sudati che si scontrano da ogni angolazione, la band di Salem trae un insano godimento e pesta sempre più pesante, via via che scorrono i minuti. Bannon non calibra la forza e la libera come le esplosioni richiedono, suonando talvolta un po’ sfiatato e rischiando di sgretolarsi contro il muro di suono. Ma l’energia che riesce a sprigionare è comunque dirompente, e l’emotività che trasmette ti penetra dentro. Ogni canzone suona meglio, e più devastante, della precedente (sia dal punto di vista fisico che emotivo). Il loro set - un’ora secca incentrata soprattutto sull’ultimo, bellissimo, The Dusk in Us - è un uragano che ripulisce la mente.

Dopo la tempesta, sudati fradici e spossati, mi ritrovo nell’occhio del ciclone con i Neurosis. In uno stato di calma apparente, tra arpeggi post rock e flussi ambient di synth, ma con l’apocalisse che incombe minacciosa all’orizzonte, sotto forma di riff mastodontici e pesantezza insostenibile. La band di Oakland ha suoni impeccabili e l’impatto delle sue bordate spettina le lunghe barbe presenti tra il pubblico. Dal primo riff che apre il loro concerto (quello di Given to the Rising), all’ultima rullata di quel trip industrial/postmoderno che è Through Silver in Blood (perfetta chiusura di serata), rimango in estasi mistica, assaporando la sofferenza fisica dovuta al caldo soffocante, e trasformandola in visioni celestiali di galassie che collassano ed eruzioni vulcaniche preistoriche. Nel mezzo a tutto questo c’è Burn, cioè la canzone dalla quale il mio amore per questa band è nato, quasi quindici anni fa. Nella sua intimità rovente, nei suoi glaciali momenti di solitudine cosmica, e nelle sue aperture distorte, ringiovanisco di una quindicina di anni. Catarsi completata.
[R.T.]

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Neurosis + Converge + Deaf Kids - 06.17.2018 - Zona Roveri (Bologna)

Summer begins. Season of outdoor festivals and mega-rock-events, with songs that made the history of my adolescence, to be sung loudly in the middle of an ocean of 60,000 people. Yet there are those like me who keep on sheltering in the darkness of an indoor venue, as in an eternal January, to listen to devastating music and get out of it devastated. There is something mystical and spiritual in all this masochism. Cathartic suffering.

As soon as I enter the club, on the first hallucinatory notes of Deaf Kids, I feel that my expectations will be confirmed. I will lose liters of sweat and I will evaporate all my energy, while my back and feet will soon be shredded. Deaf Kids music does not help to refresh and oxygenate the room. An assault in which a Motorhead riff repeats itself obsessively (as if it had been looped by a math rock band), while a screaming voice is manipulated by infinite delays and cascades of effects. Noise crumplings and proto-metal outbursts so devious as to seem industrial, for an interesting concert, but in the long run a bit difficult to sustain. While Dave Edwardson (Neurosis) follows the gig under the stage, I go out for a breath of oxygen. Because soon there will not really be more time to breathe.

For the third time in two months I am overwhelmed by Converge. But, unlike at Roadburn, tonight there are no sounds calibrated to the millimeter, nor an impeccable band (remembering above all the set dedicated to You Fail Me), neither an exalted yet contenaid audience. Tonight it is a massacre. Just a few seconds and the first rows are transformed into a havoc. In this chaos of sweaty bodies colliding from every angle, the band of Salem draws an insane enjoyment and beats heavier and heavier, as the minutes run. Bannon does not calibrate his force and he frees it as the explosions require, sometimes sounding a little out of breath and risking to crumble against the sound wall. But the energy that he manages to unleash is still disruptive, and the emotionality he transmits penetrates you inside. Each song sounds better and more devastating than the previous one (both physically and emotionally). Their set - an exact hour mainly focused on the latest, amazing, The Dusk in Us - is a hurricane that cleanses the mind.

After the storm, sweaty and exhausted, I find myself in the eye of the storm with Neurosis. In a state of apparent calm, between post rock arpeggios and ambient synth fluxes, yet with the apocalypse looming menacingly to the horizon, in the form of mammoth riffs and unbearable heaviness. The band from Oakland has got flawless sounds and the impact of its attacks shakes the many long beards of the audience. From the first riff opening their set (that of Given to the Rising), to the last drum roll of that industrial/post-modern trip that is Through Silver in Blood (perfect closing of the evening), I remain in mystical ecstasy, savouring the physical suffering due to the suffocating heat, and transforming it into celestial visions of collapsing galaxies and prehistoric volcanic eruptions. In the middle of all this there is Burn, the song from which almost fifteen years ago my love for this band was born. In its hot intimacy, in its icy moments of cosmic solitude, and in its distorted openings, I rejuvenate about fifteen years. Catharsis completed.
[R.T.]

lunedì 2 luglio 2018

Black Rainbows – Pandaemonium


Black Rainbows – Pandaemonium
(Heavy Psych Sounds, 2018)

Per passare dal bidone della spazzatura reazionaria allo scaffale dei DVD di culto assolutamente imperdibili, i b-movie italiani degli anni '60/'70 hanno avuto bisogno della passerella offerta loro da autori americani come Quentin Tarantino. Umorismo nero, gusto per l’eccesso, desiderio di scioccare, sesso, violenza e volgarità spicciola: tutto questo per anni, nel nostro paese, è stato un tabu culturale di cui vergognarsi. Per non parlare degli espliciti riferimenti a generi nati all’estero, e riproposti in Italia con mezzi ridotti. Finché qualche nome di spicco (americano) non ci ha fatto capire quanto fosse straordinaria la creatività artigianale dei nostri autori. In ambito musicale, tutto questo è perfettamente rappresentato dai romani Black Rainbows. Non adeguatamente considerati in patria, raccolgono la meritata attenzione all’estero, dove sono ospiti fissi nei festival di genere, e vengono annoverati tra i nomi di punta della scena stoner degli ultimi anni. Mettere nello stereo il loro ultimo disco è straordinariamente divertente quanto imbattersi nel cuore della notte nella proiezione di un film di Antonio Margheriti. Il groove funkeggiante da inseguimento sulla tangenziale di alcuni dischi del passato, pur mantenendo alcune accelerazioni a tutto gas in stile Fu Manchu (High to Hell, Sacrifice) è proiettato sempre più in profondità nello spazio, e spesso si trasforma in uno schiacciasassi che stritola le astronavi in coda al semaforo (Grindstone) o in coloratissimi dischi volanti in orbita nella galassia Hawkwind (13th Step of the Pyramid). L’ultima pellicola diretta da Gabriele Fiori, grazie anche al tocco robusto e potente di Filippo Ragazzoni (che ha sostituito Al Croce alla batteria), ha la forza inarrestabile di un film che non teme la censura, e la maturità di chi sa espandere la propria personalità senza mai snaturarla. Un film che potrebbe parlare di rapimenti alieni e inseguimenti interstellari, senza mai rinnegare il genere di riferimento, ma ampliandone continuamente i confini. Un vinile da conservare nello scaffale dei dischi di culto assolutamente imperdibili.
[R.T.]
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Black Rainbows – Pandaemonium
(Heavy Psych Sounds, 2018)

To pass from the reactionary garbage dustbin to the shelves of absolutely unmissable cult DVDs, 60s/70s Italian b-movies needed the catwalk offered by American authors like Quentin Tarantino. Black humor, taste for excess, desire to shock, sex, violence and vulgarity: all this for years, in our country, has been a cultural taboo to be ashamed of. Not to mention the explicit references to genres born abroad and re-proposed in Italy with reduced means. As long as some prominent (American) name did not make us realize how extraordinary the craft creativity of our authors was. In music, all this is perfectly represented by Black Rainbows. Not adequately considered in their homeland, they collect deserved attention abroad, where they are regular guests in genre festivals, and they are counted among the leading names in the stoner scene of recent years. Putting their last record into the stereo is astonishingly entertaining as bumping into the heart of the night into a movie by Antonio Margheriti. While maintaining some high-speed accelerations in Fu Manchu style (High to Hell, Sacrifice), the funky groove of a chase on a bypass typical of some albums of the past is now projected more and more deeply into space, and it often turns into a steamroller crushing spaceships queueing at the traffic lights (Grindstone) or in colorful flying saucers in orbit in the Hawkwind galaxy (13th Step of the Pyramid). Thanks to the strong and powerful touch of Filippo Ragazzoni (who replaced Al Croce on drums), the latest film directed by Gabriele Fiori has got the unstoppable strenght of a movie that does not fear the censorship, and the maturity of those who know how to expand their own personality without ever distorting it. A film that could talk about alien abductions and interstellar chases, without ever denying its genre of reference, yet constantly extending its boundaries. A vinyl to be kept on the shelf of absolutely unmissable cult records.
[R.T.]