giovedì 24 gennaio 2019

KEN Mode – Loved


KEN Mode – Loved
(Season of Mist, 2018)

Il noise rock possiede ancora una spinta provocatoria e destabilizzante? La destrutturazione dell’armonia in schegge dissonanti, e il livello di intensità di suono sempre crescente, riescono ancora a turbare l’ascoltatore, o sono ormai diventati espedienti compositivi convenzionali? L’impatto dei canadesi KEN Mode sui nostri timpani non può certamente essere sconvolgente quanto quello dei gruppi della Amphetamine Reptile sugli adolescenti degli anni '80. Anni e anni di chitarre dissonanti e bassi tonanti lungo ritmi spigolosi ci hanno resi immuni allo stupore. Ma il noise rock può essere ridotto a semplice provocazione? Se così fosse, anche l’impatto di Steve Albini sarebbe stato molto meno consistente di quello che è stato in realtà. Lo shock che il nostro cervello prova di fronte a ciò che mai aveva udito in precedenza è solo il detonatore: l’acido che corrode davvero la staticità è l’utilizzo del rumore come nuova forma di armonia. A seconda dell’utilizzo che viene fatto della dissonanza, i confini della musica rock (perché di quello stiamo parlando, non di avanguardia) sono corrosi e rimodellati. E i KEN Mode plasmano i confini conosciuti con forme personali, attraverso assalti post hardcore di scuola Unsane resi schiaccianti da bordate che odorano di metal meshugghiano e riff spettrali. L’uomo nero che ci osserva ghignante dalla copertina di Loved (settimo disco della band di Winnipeg) è disturbante come la loro musica, sorta di confessione di un serial killer. E quando la violenza lascia spazio a passaggi pacati (echi degli Slint nel sax di This is a Love Test), è bene essere pronti alle aggressioni che ci aspettano dietro l’angolo. Perché l’anormalità è la nuova normalità.
[R.T.]
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KEN Mode – Loved
(Season of Mist, 2018)

Does noise rock still have a provocative and destabilizing push? Do the destructuring of harmony in dissonant splinters, and the ever increasing level of intensity of sound, still disturb the listener, or have they become conventional expedients of musical composition? The impact of Canadians KEN Mode on our eardrums certainly cannot be as much shocking as that of the Amphetamine Reptile bands on 80s teenagers. Years and years of dissonant guitars and thundering basses along angular rhythms have made us immune to amazement. But can noise rock be reduced to a simple provocation? If so, Steve Albini's impact would have been much less substantial than it actually was. The shock that our brain experiences in front of what it had never heard before is only the detonator: the acid that really corrodes the static nature is the use of noise as a new form of harmony. Depending on the way dissonance is used, the boundaries of rock music (because this is what we are talking about, not avant-garde) are corroded and reshaped. And KEN Mode model the known boundaries with personal forms, through post-hardcore assaults of Unsane school made overwhelming by assaults that smell of Meshuggah-like metal and spectral riffs. The black man who looks at us grinning from the cover of Loved (seventh record of the band from Winnipeg) is as disturbing as their music, sort of confession of a serial killer. And when violence leaves room for peaceful passages (Slint echoes in the sax of This is a Love Test), it's good to be ready for the assaults that are waiting for us around the corner. Because abnormality is the new normality.
[R.T.]

sabato 19 gennaio 2019

Behemoth - I Loved You at Your Darkest


Behemoth – I Loved You at Your Darkest
(Nuclear Blast, 2018)

La Polonia è uno dei baluardi della religione cattolica, che in questa nazione ha un peso specifico elevatissimo sia in ambito sociale che politico. Non poteva esserci terreno più fertile di questo per la nascita e lo sviluppo dei Behemoth, band tra le più esplicite nel manifestare la propria reazione al potere della Chiesa. Per far questo il leader del gruppo (Adam Michał “Nergal” Darski) si è avvalso delle stesse armi del suo “nemico”, cioè un tentativo di evangelizzazione costante e crescente del suo pubblico. L’indottrinamento si avvale di un’approfondita operazione di propaganda nonché di cerimonie teatrali - cosa che, per alcuni, ha reso i Behemoth tanto odiosi quanto la Chiesa da loro combattuta. Il confine tra Paradiso e Inferno è quanto mai labile nella musica della band, e spesso i due regni antitetici si sovrappongono. Basta ascoltare l’ultimo disco, I Loved You at Your Darkest, per rendersi conto che la loro è la proposta di una spiritualità alternativa, e non una semplice lotta a quella cristiana. Teatrale e ricca di pathos tanto nelle sfuriate più violente quanto nelle dissonanze più disturbanti, la musica dei Behemoth è una liturgia che sembra attraversare le tenebre alla ricerca della luce. Nel coro dei bambini che introduce il disco (sorta di Another Brick in the Wall in chiave metal) siamo di fronte a voci bianche che sputano nero profondo. Un nero nel quale Nergal ci invita ad entrare, per assistere ad una cerimonia religiosa che si dimostrerà un vero e proprio viaggio spirituale. Saremo battezzati nell’acqua sporca di fango, per poi affrontare gli abissi del black metal in tempesta (Wolves ov Siberia) e i luoghi misteriosi del metal gotico (Bartzabel), fino alla crocifissione degli idoli e alla presa di coscienza della nostra libertà (We Are the Next 1000 Years). L’iconografia e la liturgia cattoliche sono ribaltate in una cerimonia grandiosa, ricca di cori e arrangiamenti complessi, alla fine della quale si può soltanto essere credenti o atei. Non esistono vie di mezzo. 
[R.T.]

Behemoth – I Loved You at Your Darkest
(Nuclear Blast, 2018)

Poland is one of the bastions of the Catholic religion, which in this nation has a very high specific weight from both a social and a political point of view. There could be no more fertile ground than this for the birth and development of Behemoth, one of the most explicit bands in expressing their reaction to the power of the Church. To do this, their leader (Adam Michał "Nergal" Darski) has used the same weapons as his "enemy", namely a constantly and growing attempt to evangelize his audience. The boundary between Heaven and Hell is so evanescent in the band's music, and often the two antithetical kingdoms overlap. Listening to the latest album, I Loved You at Your Darkest, you can realize that theirs is the proposal of an alternative spirituality, and not a simple fight against the Christian one. Theatrical and full of pathos both in the most violent outbursts and in the most disturbing dissonances, Behemoth music is a liturgy that seems to cross the darkness in search of light. In the children's chorus introducing the album (sort of Another Brick in the Wall in metal key) we are faced with white voices that spit deep black. A black into which Nergal invites us to enter, to attend a religious ceremony that will prove to be a real spiritual journey. We will be baptized in the muddy water, and then we will face the abysses of the stormy black metal (Wolves ov Siberia) and the mysterious places of the gothic metal (Bartzabel), until the crucifixion of the idols and the awareness of our freedom (We Are the Next 1000 Years). Catholic iconography and liturgy are overturned in a grand ceremony, full of choruses and complex arrangements, at the end of which one can only be a believer or an atheist. There is no middle way.
[R.T.]

martedì 8 gennaio 2019

Greenkalma - 05.01.2019 - Mister Wine Pub (Marina di Castagneto Carducci, LI)


Greenkalma - 05.01.2019 - Mister Wine Pub (Marina di Castagneto Carducci, LI)

Se l'omonimo EP autoprodotto uscito a fine 2018 aveva fatto drizzare le orecchie agli amanti delle sonorità stoner e anche a quelli che con il grunge ci hanno trascorso l'adolescenza, dal vivo i Greenkalma hanno messo in chiaro che quell'entusiasmo era stato ben riposto e che la parte migliore era fuori dal supporto digitale. E se i 5 pezzi strumentali dell'EP non avevano lasciato la sensazione della mancanza del cantato, va detto che l'ingresso in formazione di Marco Lo Presti alla voce ha segnato senz'altro un'evoluzione interessantissima del sound della band toscana. Nella cornice di un piccolo pub, con gli strumenti e gli ampli letteralmente in braccio al pubblico, i Greenkalma hanno surriscaldato l'atmosfera e han trascinato gli ascoltatori nella Palm Desert a cavallo dei '90 e dei '00. Suoni diretti dagli ampli, e impianto solo per la voce e la cassa della batteria. Tutto usciva potente: dalla robusta sezione ritmica di kyussiana memoria ai riff di chitarra plasmati con la stessa polvere. Incontenibile Marco Lo Presti alla voce, sia per la presenza scenica, sia per le ottime linee vocali, costruite ex novo in breve tempo. Non resta che seguire il nuovo corso a 4 elementi, e attendere il prossimo live!
[E.R.]

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Greenkalma - 01.05.2019 - Mister Wine Pub (Marina di Castagneto Carducci, LI)

If the self-produced, and self-titled, EP released at the end of 2018 had fascinated the ears to the stoner sound lovers and also to those who have spent their adolescence arm in arm with grunge, live Greenkalma have made it clear that the enthusiasm had been well placed and that the best part was out of the digital support. And if the 5 instrumental tracks of the EP did not leave the impression of the lack of vocals, it must be said that the add of Marco Lo Presti to the line-up certainly marked an interesting evolution in the sound of the Tuscan band. In the setting of a small pub, with the instruments and amplifiers literally held in the arms of the audience, Greenkalma overheated the atmosphere and dragged the listeners to Palm Desert at the turn of the '90s and the '00s. Sounds directly from the amps, and system only for the voice and the kick drum. Everything came out powerful: from the robust rhythm section of Kyussian memory to the guitar riffs shaped with the same dust. Irrepressible Marco Lo Presti on the microphone, both for the stage presence, and for the excellent vocal lines, built from scratch in a short time. You just have to follow the new 4-element course, and wait for the next live!
[E.R.]

venerdì 4 gennaio 2019

Monolith Grows! – Black and Supersonic


Monolith Grows! – Black and Supersonic
(Burning Wax, 2018)

C’è stato un tempo in cui il rock pesante, dopo anni di eccessi e ostentata invulnerabilità, si è guardato dentro e, da quell’attimo di introspezione e dalla conseguente accettazione della propria fragilità, è nata una delle correnti musicali più appassionanti, in ambito mainstream. Quel tempo è passato. Fermarsi a guardare dentro di sé e condividere i risultati di questa sorta di psicoanalisi appare oggi, paradossalmente, come un’operazione esibizionistica. Come se chi lo facesse volesse dimostrarsi più profondo e sensibile degli altri. Per questo nessuno ha più avuto il coraggio di farlo. Gli unici che ci hanno provato sono stati i gruppi che avevano fatto la storia di quel tipo di musica e che, a cavallo tra la prima e la seconda decade degli anni 2000, hanno provato ad aggrapparsi al loro nome, ripescando sonorità dei primi anni '90, ma regalando per lo più canzoni che suonavano poco sincere anche alle orecchie di un sordo. Sincere invece sono le (poche) band underground che hanno il coraggio di denudarsi ed esporre la propria sensibilità, come i Monolith Grows! Sotto una corazza di riff pesanti e arpeggi acidi, la band modenese (che in passato si faceva chiamare solo Monolith) mostra melodie malinconiche dal potere magnetico. La forza di gravità alla quale è davvero difficile opporsi è la portentosa voce di Andrea Marzoli (per il quale la morte di Chris Cornell deve esser stata ben più traumatica della semplice scomparsa di un mito), ma ogni membro della band, certamente devoto a divinità quali Soundgarden ed Alice in Chains, ha merito nell’incrementare la forza attrattiva della musica. L'augurio è che la band non perda il coraggio dimostrato con Black and Supersonic, ma anzi, se possibile, riesca a scavare ancor più a fondo dentro il suo lato oscuro, tirando fuori un retrogusto polveroso e psichedelico sempre più stordente e meno appetibile.
[R.T.]
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Monolith Grows! – Black and Supersonic
(Burning Wax, 2018)

There was a time when hard rock, after years of excesses and ostentatious invulnerability, looked inside itself and, from that moment of introspection and the consequent acceptance of its fragility, one of the most exciting (mainstream) musical currents was born. That time has gone. Looking inside ourselves and sharing the results of this sort of psychoanalysis appears today, paradoxically, as an exhibitionistic operation. As if those who did it wanted to prove themselves more sensitive than others. This is the reason why no one has dared to do it anymore. The only ones who tried were those bands that had made the history of that kind of music and who, at the turn of the first and second decade of the 2000s, tried to cling to their name, fetching sounds of the early 90s, but mostly bringing out songs that sounded insincere even to the ears of a deaf. Sincere instead are the (few) underground bands that have the courage to undress and expose their sensitivity, like Monolith Grows! Under a shell of heavy riffs and acid arpeggios, the band from Modena (which in the past was named simply Monolith) shows melancholic melodies with magnetic power. The force of gravity to which it is really difficult to oppose is Andrea Marzoli's extraordinary voice (for him Chris Cornell's death must have been much more traumatic than the simple disappearance of a myth), but each member of the band, certainly devoted to divinity such as Soundgarden and Alice in Chains, has merit in increasing the attractive power of their music. The hope is that the band does not lose the courage shown with Black and Supersonic, but rather, if possible, manages to dig even deeper into its dark side, pulling out a more and more stunning and less palatable dusty and psychedelic aftertaste .
[R.T.]