giovedì 28 marzo 2019

OvO sonorizzano Frankenstein (J. Whale, 1931) - 21.03.2019 - Ex Cinema Aurora (Livorno)


OvO sonorizzano Frankenstein (J. Whale, 1931) - 21.03.2019 - Ex Cinema Aurora (Livorno)

In passato mi era già capitato di assistere alla proiezione di film degli anni '20 e '30 sonorizzati dal vivo. Per lo più si trattava di un trio jazz che faceva da narrazione in musica a pietre miliari dell'espressionismo tedesco.

Quello di stasera però è un evento che va oltre. Infatti la colonna sonora live del Frankenstein di James Whale è affidata ad una vera e propria band, e di quelle che sicuramente lasciano il segno e l'impronta della loro (spiccata) personalità: gli OvO.

Se il film di Whale, del 1931, è narrazione cinematografica di una modernità ed attualità sconcertante, la musica degli OvO è il "canto" post-moderno che spinge ancora più in alto l'asticella dell'espressività e della distorta - ed al tempo stesso centratissima - visionarietà di questa pellicola. Alla crudeltà dei fotogrammi ed del loro nudo racconto, la musica degli OvO aggiunge un carico da 100 di delirio e turbamento. E nelle parti in cui la musica si fa più pesante e distorta, più noise e più marcia (quando il Dr. Frankestein dà vita alla sua creatura durante il temporale e quando il popolino cieco ed inferocito bracca e manda al rogo il "mostro" generato dagli esperimenti del giovane spregiudicato dottore), la fusione fra immagine e suono trova il suo perfetto compimento. Si ha quasi l'impressione di non poter più vedere la pellicola di Whale senza la musica degli OvO.

Abbinamento di immagini e musica perfetto, perfettamente inserito nella cornice dell'Ex Cinema Aurora, che sembrava davvero esserne il naturale palcoscenico, la naturale scenografia di contorno.
[E.R.]
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OvO adding sound to Frankenstein (J. Whale, 1931) - 03.21.2019 - Ex Cinema Aurora (Livorno)

In the past I had already attended to 20s/30s movies with live soundtracks. Mostly it was a jazz trio acting as a narration in music of milestones of German expressionism.

But tonight's one is an event that goes further. In fact the live soundtrack of James Whale's Frankenstein is entrusted to a real band, and of those that surely leave the mark and the sign of their (distinct) personality: OvO.

If Whale's movie (directed in 1931) is a cinematographic narration of a disconcerting modernity and newness, OvO's music is the post-modern "chant" that pushes even higher the bar of expressiveness and of the distorted - and at the time same extremely centered - visionary nature of this film. To the cruelty of the frames and their naked story, OvO's music adds a extra load of delirium and disturbance. And in those parts where music becomes heavier and more distorted, more noisy and more rotten (when Dr. Frankestein gives life to his creature during the storm and when the blind angry rabble hunts and sends to the stake the "monster" generated by the experiments of the young unscrupulous doctor), the fusion between image and sound finds its perfect fulfillment. One almost has the impression of not being able to watch Whale's movie without OvO's music.

Pefect matching of images and music, perfectly inserted in the setting of the Ex Aurora Cinema, which really seemed to be its natural stage, the natural contour scenery.
[E.R.]

lunedì 25 marzo 2019

Deville - 16.03.2019 - Cafè Albatross (Pisa)


Deville - 16.03.2019 - Cafè Albatross (Pisa)

Ci sono gruppi che scopri per la prima volta dal vivo ad un festival e che ti convincono al punto da andarli a risentire la sera dopo in un locale non molto lontano dalla tua città. Non succede spesso che questi elementi si coordino così bene, ma nell'ottobre 2016 è successo con i Deville. E quando dopo poco più di due anni tornano in Italia e passano proprio sotto casa tua, questo è uno di quei concerti che non puoi proprio perderti.
Il bello di una band come i Deville è che arrivi in fondo al concerto e non te ne rendi nemmeno conto. La loro miscela di stoner rock ed heavy metal mantiene il livello di tiro della scaletta settato sempre sulla massima potenza: si passa da una canzone alla successiva e si ha l'impressione di non scalare mai le marce, bensì di ingranarne sempre di più alte. Se le canzoni di Make It Belong To Us sono una certezza ed è bello ritrovarle dal vivo, le canzoni dal nuovo Pigs With Dogs sono una conferma della qualità del quartetto svedese e sul palco guadagnano in potenza ed impatto. Il resto lo fanno proprio loro, i Deville, che sul piccolo palco del Cafè Albatross non risparmiamo una goccia di sudore e suonano come davanti al pubblico delle grande occasioni. Al prossimo incontro con gli svedesi, per una nuova dose massiccia di riff stoner metal.
[E.R.]
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Deville - 03.16.2019 - Cafè Albatross (Pisa)

There are bands you discover for the first time live at a festival and they convince you to the point of going to listen to them the next night in a venue not far from your home town. It doesn't often happen that these elements coordinate so well, but in October 2016 it happened with Deville. And when they come back to Italy after just over two years and play exactly in your town, this is one of those concerts that you can't really miss.
The amazing thing of a band like Deville is that you get to the end of the concert and you don't even realize it. Their mixture of stoner rock and heavy metal keeps the level of groove of the setlist always on the maximum power: they pass from one song to the next and you have the impression of never scaling the gears, yet of getting always higher. If the songs from Make It Belong To Us are a certainty and it's cool to find them live, the songs from the brand new Pigs With Dogs are a confirmation of the quality of the Swedish quartet and on stage they gain in power and impact. The other added value are Deville themselves, who on the small stage of the Café Albatross do not save a drop of sweat and sound like in front of the audience of great occasions. At the next meeting with the Swedes, for a new massive dose of stoner metal riffs.
[E.R.]

martedì 19 marzo 2019

Anna Von Hausswolff – Dead Magic


Anna Von Hausswolff – Dead Magic
(2018, City Slang)

Tende rosse, come quelle di un sipario, e un pavimento dove linee bianche e nere si inseguono a zigzag. In questo luogo metafisico, sorta di sala di attesa, risuona Dead Magic. Tutto nasce sui tasti di un grande organo a canne, in una chiesa di marmo nel cuore di Copenaghen, ma prende vita nel silenzio infinito e sconosciuto delle poesie di Walter Ljungquist e dei film di David Lynch. Laddove i sogni collegano dimensioni diverse della nostra esistenza, lì si sviluppa la musica onirica di Anna Von Hausswolff. Se musiciste a lei contemporanee, come Chelsea Wolfe e Myrkur, indagano la fragile fase transitoria tra sonno e veglia, Anna entra direttamente nella fase del sogno e cerca una strada nel suo surrealismo. Nonostante l’apparenza, l'atmosfera non è esclusivamente quella oscura degli incubi, ma piuttosto quella misteriosa e nebbiosa di un mondo che non conosciamo e che facciamo fatica a comprendere. Nelle lunghe composizioni di Anna si perde l’orientamento e questo genera smarrimento, disagio, tensione, a tratti perfino paura. Tutto questo è inevitabile. Lunghe e soffocanti note di organo e synth, ai limiti del drone (non a caso è Randall Dunn ad aver prodotto il disco), e perfino qualche accenno all’angoscia con la quale i Goblin coloravano i film di Dario Argento. Ma ciò che ci fa paura è l’oscurità in sé o l’idea che qualcosa di malvagio possa nascondersi in essa? Guidandoci attraverso sentieri inusuali, seguendo qualche traccia lasciata lungo la strada da esploratrici dell’aldilà come Lisa Gerrard, Anna Von Hausswolff sembra suggerirci che l’oscurità è spaventosa in quanto a noi ignota, ma che una sensibilità più profonda e sviluppata potrebbe mostrarci inedite realtà al di là della tenda rossa, e non necessariamente terrificanti.
[R.T.]
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Anna Von Hausswolff – Dead Magic
(2018, City Slang)

Red curtains, like those of a theatre, and a floor where black and white lines follow each other like a zigzag. Dead Magic resounds in this metaphysical place, sort of waiting room. It all starts on the keys of a large pipe organ, in a marble church in the heart of Copenhagen, but it comes to life in the infinite and unknown silence of Walter Ljungquist's poems and David Lynch's movies. Where dreams connect different dimensions of our existence, there Anna Von Hausswolff's oneiric music develops itself. If contemporary musicians, like Chelsea Wolfe and Myrkur, investigate the fragile transitional phase between sleep and wakefulness, Anna enters directly into the phase of dream and looks for a way in its surrealism. Despite the appearance, the atmosphere is not exclusively the obscure one of nightmares, but rather the mysterious and foggy one of a world that we do not know and that we find it hard to understand. In Anna's long compositions the orientation is lost and this generates loss, discomfort, tension, at times even fear. All this is unavoidable. Long and suffocating notes of organ and synth, at the limits of drone (not surprisingly it is Randall Dunn who produced the album), and even some hints of the anguish with which Goblins used to colour Dario Argento's movies. But what scares us is the darkness itself or the idea that something evil can hide in it? Leading us through unusual paths, following some trails left along the way by explorers of the afterlife like Lisa Gerrard, Anna Von Hausswolff seems to suggest that darkness is frightening because we do not know it, but that a deeper and more developed sensibility could show us new realities beyond the red curtain, and not necessarily terrifying.
[R.T.]

giovedì 14 marzo 2019

Pontiak – 09.03.2019 – Colorificio Kroen (Verona)


Pontiak – 09.03.2019 – Colorificio Kroen (Verona)

La mancanza di ossigeno altera la percezione più di qualsiasi musica psichedelica. In un ambiente ipersaturo di persone sudate anche i riff più grassi si liquefanno. Il fuzz sabbioso della chitarra di Van Carney rende incandescenti i riff dei Pontiak, contribuendo a far evaporare ogni liquido residuo. Ciondolo imbambolato, non so se per il potere ipnotico della musica o per le condizioni ambientali estreme. Difficile rimanere lucidi in questa nebbia di ritmi rallentati e assenza d’aria. Difficile riuscire ad apprezzare a pieno un concerto. Fin quando i riff disegnano canyon rocciosi e paesaggi desolati, sono rapito dalla musica dei tre fratelli Carney, nonostante la batteria di Lain non suoni fluida come su disco e la voce di Van stenti ad elevarsi con sicurezza al di sopra della nebbia di fuzz, se non quando coadiuvata da quella dei fratelli. E dal vivo i cori dei Pontiak sono davvero stupendi ed emozionanti! Nel bis, però la famiglia Carney si lascia andare a brani spiccatamente americani (sorta di Lynyrd Skynyrd reinterpretati dai Black Mountains) e purtroppo l’effetto è tendenzialmente soporifero, anziché onirico. A fine concerto ammetto che il mio più grande desiderio è quello di uscire all'aperto per riuscire finalmente a respirare. Mi manca quell'aria carica del suono stordente e magnifico di Dialectic of Ignorance (bellissime le sue poche canzoni in scaletta stasera), letteralmente spazzata via dalla soffocante assenza d'ossigeno di stasera. Un vero peccato!
[R.T.]

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Pontiak – 03.09.2019 – Colorificio Kroen (Verona)

The lack of oxygen alters the perception more than any psychedelic music does. In a place chock-a-block with sweaty people, even the most fat riffs liquefy. The sandy fuzz of Van Carney's guitar makes Pontiak riffs incandescent, letting evaporate any residual liquid. Stunned I sway, I do not know whether for the hypnotic power of music or for extreme environmental conditions. It is difficult to remain lucid in this fog of slow pace and lack of air. Difficult to fully appreciate a concert. As long as riffs draw rocky canyons and desolate landscapes, I am enraptured by the music of the three Carney brothers, despite Lain's drums doesn't sound as smooth as on record and Van's voice hardly rises itself above the fuzzy fog, if not when assisted by that of his brothers. And live Pontiak choruses are really wonderful and moving! In the encore, however, the Carney family indulges in distinctly American songs (sort of Lynyrd Skynyrd reinterpreted by the Black Mountains) and unfortunately the effect tends to be sleep-inducing rather than dreamlike. At the end of the concert I admit that my greatest desire is to go outside to finally be able to breathe. I miss that air full of the stunning and magnificent sound of Dialectic of Ignorance (amazing the few songs in tonight setlist), literally swept away by the suffocating absence of oxygen tonight. Such a pity!
[R.T.]

lunedì 11 marzo 2019

The Blank Canvas – Vantablack


The Blank Canvas – Vantablack
(Drown Within Records, 2018)

Una tela nera. O, meglio, uno schermo che proietta ossessivamente le stesse immagini. Istantanee fotografiche che si inseguono secondo traiettorie geometriche, come in un labirinto di specchi. I fotogrammi che compongono il video sono riff spigolosi che si incastrano tra loro, in costante movimento, fino ad apparire curvi e rotondeggianti. In questo intreccio straniante brilla la superficie nera metallizzata delle melodie, lucidissime e riflettenti. Mi impegno per non rimanere risucchiato nel vortice visivo, e mi accorgo che questo schermo si trova nel bel mezzo della pista da ballo di un locale di inizio anni 2000, dove si alternano darkwave e progressive metal. Ma l’assenza di qualsiasi eccesso romantico, da una parte, e di ipertecnicismo, dall’altra, mi fa capire che il nuovo millennio è iniziato da un pezzo. Le due anime sono finalmente fuse alla perfezione, senza alcuna caduta di stile (nessuno ha le New Rocks ai piedi), secondo la lezione di band come i Leprous (d’altra parte l’anima dei Blank Canvas proviene dal math rock spaziale dei Karl Marx was a Broker). Non resta che prendere un bel cocktail fluorescente e gettarsi in pista.
[R.T.]
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The Blank Canvas – Vantablack
(Drown Within Records, 2018)

A black canvas. Or, better, a screen that obsessively projects the same images. Photographic snapshots that follow each other according to geometric trajectories, like in a labyrinth of mirrors. The frames composing the video are angular riffs that fit together, constantly moving, until appearing curved and roundish. In this alienating interweaving sparkles the metallized black surface of the melodies, extremely shiny and reflecting. I try not to get sucked into the visual vortex, and I realize that this screen is in the middle of the dance floor of an early 2000s club, where darkwave and progressive metal alternate. But the absence of any romantic excess, on the one hand, and of technical rigidity, on the other one, makes me understand that the new millennium has begun long time ago. The two souls are finally merged to perfection, without any faux pas (no one is wearing New Rocks), according to the lesson of bands like Leprous (after all Blank Canvas soul comes from Karl Marx was a Broker space math rock). You just have to take a nice fluo cocktail and throw yourself on the dance floor.
[R.T.]

mercoledì 6 marzo 2019

Massimo Volume - 03.03.2019 - Lumiere (Pisa)


Massimo Volume - 03.03.2019 - Lumiere (Pisa)

Un costante senso di angoscia. Un'estenuante, ossessiva, linea ritmico-melodica che ipnotizza. Una voce - delle parole - che scavano dentro, infilano un tarlo nella testa, fanno da specchio ad ansie e paure tanto reali quanto ormai ataviche. 
Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo concerto dei Massimo Volume - band di lungo corso, con un bellissimo ultimo album appena pubblicato, e che però non avevo mai sentito dal vivo. Qualsiasi cosa mi aspettassi, onestamente non ha più molta importanza. Quello che mi sono trovata davanti - e soprattutto nelle orecchie - dentro alla buia e gremita sala del Lumiere è stata un'ora e mezza di musica e parole (sì, lo sottolineo nuovamente, parole: perché le parole contano tanto quanto la musica, in questo caso) che mi ha tenuta incollata sulla mia seggiolina, al tempo stesso sospesa a mezz'aria. Se è sicuramente vero che la musica dei Massimo Volume si colloca naturalmente nell'ambito dell'indie, è altrettanto vero che relegarla lì e basta sarebbe quanto meno riduttivo. Dal vivo in particolare emergono un'anima darkwave/post punk davvero accentuata, una struttura post rock che rarefa e impreziosisce ogni singolo pezzo, delle derive noise che contribuiscono ad alienare l'ascoltatore e l'esperienza dell'ascolto. La voce di Emidio Clementi è quasi un mantra, che narra - a tratti declama - parole che trasudano emozioni, spesso grigie. E il suo look contribuisce ad enfatizzare l'idea, la sensazione, di essere al cospetto di un pastore di anime desolate, che a tratti mostra la via, a tratti ci sbatte in faccia i nostri spettri. Tutto questo immersi nel buio rischiarato da tre globi luminosi ad intermittenza, vaghi e vaganti sulla linea di orizzonte del palco, avvolto nella "nebbia". E' bello riuscire ad emozionarsi ancora.
[E.R.]
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Massimo Volume - 03.03.2019 - Lumiere (Pisa)

A constant sense of anguish. An exhausting, obsessive, rhythmic-melodic line that hypnotizes. A voice - words - that dig inside, put a worm in the head, mirror the anxieties and fears so real as now atavistic.
I did not really know what to expect from Massimo Volume concert - a longtime band, with a just released beautiful latest album, that I had never heard live before. Whatever I expected, it honestly no longer matters. What I found in front of me - and above all in my ears - inside the dark and crowded Lumiere was an hour and a half of music and words (yes, I stress it again, words: because words count as much as music, in this case) that kept me glued on my tiny chair, yet at the same time suspended in midair. If it is certainly true that Massimo Volume music naturally fits in the indie tag, it is equally true that storing it there would be at least reductive. Especially in the live set, a particularly intense darkwave/post-punk soul emerges, a post-rock structure that rarefies and embellishes every single song, some noise drifts that contribute to alienate the listener and the listening experience. Emidio Clementi voice is almost a mantra, narrating - at times declaiming - words that exude emotions, often painted in grey. And his look helps to emphasize the idea, the feeling, of being in the presence of a minister of desolate souls, who at times shows the way, at times slams our ghosts in our face. All this while immersed in the darkness intermittently lightened by three luminous globes, vague and wandering on the horizon line of the stage, wrapped in the "fog". It's amazing to stille be able to be touched.
[E.R.]

domenica 3 marzo 2019

Zeal & Ardor – Stranger Fruit


Zeal & Ardor – Stranger Fruit
(Mvka, Radicalis, 2018)

“Se facessi questo tipo di musica e non pensassi affatto all’attualità, questo sarebbe una forma di viltà, nonché qualcosa di sbagliato”. Manuel Gagneux esplicita a parole ciò che nella sua musica è invece velato. La convivenza di stili che rende gli Zeal & Ardor così personali è una dichiarazione di appartenenza politica - e non solo una provocazione storica. Dalla pubblicazione del disco d’esordio (Devil is Fine, aprile 2016) ad oggi, la scena politica occidentale si è sempre più chiusa dietro ad ideologie nazionaliste, spesso esplicitamente razziste e xenofobe. La provocazione ideata da Gagneux (fondere il bianchissimo black metal scandinavo con il nerissimo spiritual degli schiavi d’America, con un accenno di elettronica e neofolk a fare da collante) non basta più. Serve un pensiero maturo in cui la coesistenza dia vita ad una nuova possibile società. Stranger Fruit, il cui titolo richiama una vecchia canzone di protesta di Billie Holiday, è proprio questo. Meno destabilizzante e sorprendente del predecessore, ma più solido e coeso, essendo riuscito ad amalgamare alla perfezione tutte le minoranze ribelli e resistenti che lo compongono, senza per questo snaturarle. Sprazzi di vecchio blues sghembo e polveroso, uniti a qualche pennellata ambient, disegnano nuovi luoghi in cui la convivenza delle differenze è effettivamente possibile, in una terra che supera le contraddizioni tra gelo scandinavo e sudore degli USA del Sud.
[R.T.]
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Zeal & Ardor – Stranger Fruit
(Mvka, Radicalis, 2018)

“If I were making the music I make and not even thinking about current times, that would just be kind of cowardice, and kind of wrong”. Manuel Gagneux makes explicit in words what in his music is veiled. The coexistence of styles that makes Zeal & Ardor so personal is a declaration of political affiliation - and not just a historical provocation. Since the release of the debut album (Devil is Fine, April 2016) to date, the Western political scene has been increasingly closing behind nationalist ideologies, often explicitly racist and xenophobic. The provocation created by Gagneux (melting the white Scandinavian black metal with the black spiritual of the USA slaves, with a hint of electronics and neofolk as a glue) is no longer enough. It is necessary to have a mature thought in which coexistence gives life to a new possible society. Stranger Fruit, whose title recalls an old Billie Holiday protest song, is just that. Less destabilizing and surprising than its predecessor, yet more solid and cohesive, having managed to perfectly blend together all the rebel and resistant minorities that compose it, without distorting them. Flashes of old crooked dusty blues, combined with some ambient brushstrokes, draw new places where the coexistence of differences is actually possible, in a land that overcomes the contradictions between Scandinavian frost and southern USA sweat.
[R.T.]