Wear Your Wounds – WYW
(Deathwish, 2017)
Qualche sera fa mi son ritrovato a cercare una musica che accompagnasse la sensazione galleggiante tra malinconica nostalgia e fragile speranza che mi si era appiccicata addosso. Ho spulciato i vinili, con un’idea precisa di quello che volevo provare, ma senza aver la minima idea di chi avrebbe potuto trasmettermelo. Ho messo sul piatto il disco d’esordio dei Wear Your Wounds, progetto con il quale Jacob Bannon esplora il suo lato umbratile e romantico, a metà tra post rock e darkwave. Memore del concerto al quale avevo assistito al Roadburn 2017, durante il quale il numero dei presenti era veramente ridotto a pochi intimi, ho pensato che questo album fosse un perfetto accompagnamento per la solitudine di quella afosa serata di piena estate, in cui la luce delle stelle quasi non riusciva a farsi largo attraverso lo scudo di umidità. Ho vestito le mie ferite con la fragilità che Bannon aveva fatto solo intuire nei brani più melodici dei Converge, e le ho avvolte con complesse costruzioni atmosferiche, molto più stratificate della nebbia lo-fi che pare coprire i solchi del disco. Ho lasciato che la musica mi facesse immergere nei ricordi senza che però mi annegasse in essi, e che - attraverso climax melodici disegnati dal piano e da una chitarra suonata con l’e-bow - mi aprisse al rallentatore le porte per un futuro misterioso e oscuro, ma comunque velato di speranza (Shine, Fog, Wear You Wounds, lo splendido assolo di Breaking Point). Una sincera serata di solitudine, magari non sempre a fuoco (come i pensieri di chi ha tagliato tutti i contatti con l’esterno), ma certamente indispensabile per venire a patti con la propria vulnerabilità.
[R.T.]
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Wear Your Wounds – WYW
(Deathwish, 2017)
A few nights ago I found myself looking for a music that would accompany the floating feeling between gloomy nostalgia and fragile hope that had stuck on me. I go over my vinyls with a fine tooth comb, with a precise idea of what I wanted to feel, but without having the slightest idea of who could transmit it to me. I put on the turntable Wear Your Wounds debut album - a project through which Jacob Bannon explores his shadowy and romantic side, halfway between post rock and darkwave. Mindful of the concert I attended at Roadburn 2017, during which the audience was really reduced to a few close friends, I thought this album was a perfect soundtrack to the loneliness of that midsummer sultry evening, when starlight almost could not make its way through the damp shield. I dressed my wounds with the fragility that Bannon had only hinted at in Converge most melodic songs, and I wrapped them with complex atmospheric constructions, much more stratified than the lo-fi fog that seems to cover the grooves of the record. I let the music make me immerse in the memories without make me drown myself in them, and - through melodic climaxes drawn by the piano and a guitar played with the e-bow - I opened in slow motion the doors to a mysterious murky future, yet still veiled with hope (Shine, Fog, Wear You Wounds, the amazing solo of Breaking Point). A sincere evening of solitude, maybe not always in focus (like the thoughts of those who cut all contacts with the outer world), but certainly essential to come to terms with our own vulnerability.
[R.T.]
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