(Napalm Records, 2019)
Il momento in cui la nebbia gassosa che apre Prism è squarciata da un fascio di luce melodica, letteralmente epica e grandiosa. Quello è l’istante nel quale realizzo il balzo nell’iperspazio fatto dai Monkey 3 con il loro nuovo disco. Nitido, luminoso, di un’abbagliante chiarezza. Un salto verso uno stato quantico apparentemente irraggiungibile. Abbandonato l’ambiente a gravità 0 caro allo space rock più ipnotico, gli svizzeri compongono un disco di progressive rock fantascientifico, che guarda con lucidità e determinazione al di là delle spirali psichedeliche, utilizzando come manuale di istruzioni quanto scritto dai Pink Floyd mezzo secolo fa. Se in alcuni passaggi gli ampi spazi creati dalla band possono trasmettere un senso di vertigine, in generale la cloche di comando dell’astronave è sempre saldamente in mano ai suoi piloti, che ci guidano attraverso galassie, lungo traiettorie ben definite. L’enfasi emotiva, quasi cinematografica, delle sei nuove composizioni strumentali, è funzionale alla costruzione del climax. Un decollo perfetto, calcolato con precisione ingegneristica. Un volo insensibile alle turbolenze, come quello di un drone il cui movimento iperstabilizzato consente riprese ferme e a fuoco. La conclusiva Ellipsis rappresenta la fuoriuscita dall’atmosfera e, con il suo incedere ossessivo nel vuoto cosmico, stordisce come i cari e vecchi dischi dei 35007, prima di esplodere in bordate di distorsione tooliana, donando quell’imprevedibilità che qualsiasi viaggio nello spazio necessita.
[R.T.]
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Monkey 3 – Sphere
(Napalm Records, 2019)
The moment when the gaseous fog opening Prism is broken by a beam of melodic light, literally epic and magnificent. That is the instant in which I realize the jump into the hyperspace made by Monkey 3 with their new record. Sharp, bright, with a dazzling clarity. A leap towards a seemingly unattainable quantum state. Abandoning the gravity 0 environment dear to the most hypnotic space rock, the Swiss compose a sci-fi progressive rock record, which looks with lucidity and determination beyond psychedelic spirals, using as an instruction manual what Pink Floyd wrote half a century ago. If in some passages the wide spaces created by the band can convey a sense of vertigo, on the whole the spacecraft's control cloche is always firmly in the hands of its pilots, who guide us through galaxies, along well-defined trajectories. The emotional, almost cinematographic, emphasis of the six new instrumental compositions is functional to the construction of the climax. A perfect take-off, calculated with engineering precision. A flight that is insensitive to turbulence, like that of a drone whose hyper-stabilized movement allows for steady and focused shots. The final Ellipsis represents the escape from the atmosphere and, with its obsessive gait in the cosmic void, it stuns like the old but gold 35007 records, before exploding in Tool-like distortion shots, giving that unpredictability that any space travel needs.
[R.T.]
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