sabato 2 febbraio 2019

Naxatras - III


Naxatras – III
(self released, 2018)

Nel 2018, con il rinnovato interesse per il cosmo suscitato dalle recenti missioni scientifiche su Marte, le esplorazioni dell’Universo compiute dai Naxatras - spirituali ed esplicitamente vintage - suonano alquanto strane. Eppure la band greca riesce a penetrare nelle profondità dello Spazio attraverso un’energia primordiale sviluppata in modo istintivo, senza l'utilizzo di tecnologie all’avanguardia o di un metodo scientifico razionale. Certo, l’origine è da ricercarsi nell’hard rock psichedelico occidentale di fine anni '60 / inizio anni '70, ma la sensibilità con la quale viene elaborata la materia sonora ha richiami orientali, come se per questa band gli studi di astrologia vedica avessero ben più importanza di quelli di fisica. Nelle atmosfere desertiche delle loro composizioni c’è tutta l’aridità di quel New Mexico in cui si sarebbe schiantato il più famoso disco volante dell’era recente. O meglio, per rimanere in ambito musicale, di quella Palm Desert in cui hanno avuto luogo i più famosi generator parties dell’epoca stoner. Negli arpeggi a spirale strabordanti di echi sembra di percepire i contorni dei cerchi nel grano delle campagne inglesi tradotti in musica dai trip acidi degli Ozric Tentacles. E negli ultimi pezzi dell'album vi sono riflessioni malinconiche a cavallo tra lo spazio sognato dai Pink Floyd e quello interiore del dream pop. La fluidità con la quale scorrono i brani, senza che questi siano ripuliti dalla sabbia e dalla polvere, odora di spiritualità libera da costrizioni razionali. Un nuovo modo di immaginare il deserto di Marte (e ciò che esso rappresenta) che eleva i Naxatras ad una delle realtà psichedeliche più affascinanti attualmente in circolazione.
[R.T.]
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Naxatras – III
(self released, 2018)

In 2018, with the renewed interest in Cosmos aroused by the recent scientific missions on Mars, the - spiritual and explicitly vintage - explorations of the Universe made by Naxatras sound rather strange. Yet the Greek band manages to penetrate the depths of Space through a primordial energy developed in an instinctive way, without the use of cutting-edge technology or a rational scientific method. Of course, the origin is to be found in the the late 60s / early 70s Western psychedelic hard rock, but the sensitivity with which the sound matter is processed has oriental references, as if for this band the studies of Vedic astrology were more relevant than those of physics. In the desert atmospheres of their songs there is all the aridity of that New Mexico in which the most famous flying saucer of the recent era should have crashed. Or rather, to remain in the musical field, of that Palm Desert in which the most famous generator parties of the stoner era took place. In the spiral arpeggios, overflowing with echoes, it seems to perceive the contours of the crop circles in the English countryside translated into music by Ozric Tentacles' acid trips. And in the last tracks of the album there are melancholic reflections halfway between the Space imagined by Pink Floyd and the inner one of dream pop. The fluidity with which songs flow, without these being cleaned of sand and dust, smells of spirituality free from rational constraints. A new way of imagining the desert of Mars (and what it represents) that elevates Naxatras to one of the most fascinating psychedelic realities currently in circulation.
[R.T.]

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