lunedì 28 maggio 2018

Fu Manchu – Clone of the Universe


Fu Manchu – Clone of the Universe
(At the Dojo, 2018)

Se esiste un gruppo che è stato in grado di trasformare in musica la sensazione di velocità e libertà provata da uno skater, quel gruppo sono i Fu Manchu. La band californiana ha trasportato su strada la tavola da surf (con tutto il suo armamentario di melodie luminose e sensazioni psichedeliche) con un’accelerazione sfrenata tipica dell’hardcore e l'aggiunta del puzzo del gas di scarico di qualche assurdo dragster sparato a mille. Il tutto con una passione per le fluide e spettacolari acrobazie che solo l’hard rock settantiano poteva regalare alla tavola. Scott Hill dimostra di possedere ancora il coraggio e la spensieratezza di uno skater adolescente, ma anche l’esperienza di un veterano. Con il dodicesimo disco della sua band, Hill si diverte in una serie di tricks spericolati, magari non inediti, ma comunque spettacolari. La tavola flippa in aria durante i pompatissimi riff stoner di Intelligent Worship, corre sparatissima in una discesa hardcore in Don’t Panic, oppure scivola sinuosa su una halfpipe nella psichedelica e gommosa Slower than Light. Se nella sua prima metà Clone of the Universe è un compendio (esaltante) dello stoner rock californiano degli anni '90, nella sua seconda metà possiede anche parte della fantasia di quei tempi, diventando una surreale cavalcata in una piscina deserta. Nei 18 minuti de Il Mostro Atomico c’è la sensazione di esser entrati di nascosto nel giardino di una villa da un buco nella rete, aver acceso qualche canna ed essersi lanciati (al rallentatore) in rilassate acrobazie in una piscina dai bordi morbidi e tondeggianti. L’heavy psych concepito dai californiani è un insieme di riff di cemento tenuti insieme dagli assoli della chitarra di Alex Lifeson dei Rush (uno che di lunghe suite se ne intende), e che, anche grazie a questo ospite d’eccezione, assume le sembianze di un viaggio interstellare a bordo di un disco volante di un qualche B-movie anni 50. E’ in questi 18 minuti che i Fu Manchu dimostrano di essere ancora quei ragazzini che, con una tavola e una chitarra, erano stati in grado di concepire alcuni dei capolavori dello stoner rock.
[R.T.]
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Fu Manchu – Clone of the Universe
(At the Dojo, 2018)

If there is a band that has been able to turn into music the sensation of speed and freedom experienced by a skater, that band is Fu Manchu. The Californian combo transported the surfboard (with all its paraphernalia of luminous melodies and psychedelic sensations) on the road, with an unbridled acceleration typical of hardcore and the addition of the stink of the exhaust fumes of some absurd dragster running at full speed. All this with a passion for the fluid spectacular acrobatics that only Seventies hard rock could give to the board. Scott Hill proves he still has the courage and carefree attitude of a teenage skater, but also the experience of a veteran. With the twelfth record of his band, Hill has fun in a series of daring tricks, maybe not new, yet spectacular. The board flips in the air during the ultra-pumped stoner riffs of Intelligent Worship, runs fast in a hardcore descent in Don't Panic, or slips sinuously on a halfpipe in the psychedelic Slower than Light. If in its first half Clone of the Universe is an (exciting) compendium of the 90s Californian stoner rock, in its second half it also has got part of the fantasy of those times, becoming a surreal ride in a desert swimming pool. In the 18 minutes of Il Mostro Atomico there is the feeling of having secretly entered in the garden of a house through a hole in the net, having lit some joints and having launched (in slow motion) in relaxed acrobatics inside a pool with soft rounded edges . The heavy psych conceived by the Californians is a set of concrete riffs held together by Alex Lifeson (Rush) guitar solos, and that, thanks to this extraordinary guest, takes the appearance of an interstellar voyage aboard a flying saucer from some 50s B-movie. It is in these 18 minutes that Fu Manchu prove to be still those kids who, with a board and a guitar, were able to conceive some stoner rock masterpieces.
[R.T.]

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