Desertfest Antwerp 2016 – Day 2
[Pentagram + Weedeater + Colour Haze + Årabrot + Giöbia + Purson + Wolvennest]
Dopo la pioggia della sera prima, un bel Sole primaverile ci accoglie nel giardino del Trix, in questa seconda giornata di Desertfest. Ma il Sole non splende certo dentro al Canyon Stage - palco situato al secondo piano, dall’aspetto di una discoteca rock piuttosto oscura - dove i Wolvennest inaugurano la nostra giornata musicale con un mix di darkwave, black metal atmoferico e psichedelia. Candelabri e teschi addobbano il palco, mentre i fumi dell’incenso invadono la stanza. Un colpo di teatro che richiama esplicitamente l’immaginario black metal, anche se la band belga utilizza le atmosfere glaciali del genere in combinazione con ritmiche rallentate, effetti spaziali e voci degne della darkwave più eterea. Al centro del palco, l’ipnotica presenza della cantante (nonché addetta a synth e tastiere) è il punto di convergenza della tempesta generata da 3 chitarre, perfettamente calibrate e avvolgenti. Una sorpresa decisamente affascinante che richiama i Wolves in the Throne Room e gli Oranssi Pazuzu, e che dimostra quanto questo festival non si limiti soltanto alle sonorità prettamente stoner e doom.
Con un balzo emotivo degno di un bipolare passiamo dal teatro gotico dei Wolvennest a quello colorato e gioioso dei Purson, che hanno appena iniziato ad esibirsi nel Desert Stage. Il loro rock multiforme e caleidoscopico trasmette una ventata di solarità in contrapposizione all’area plumbea respirata al piano superiore. Tecnicamente preparatissimi, i Purson si lanciano in surreali costruzioni progressive volutamente kitsch, ma mai ridondanti, anche se non così tanto psichedeliche come farebbero presagire i loro acidissimi album. Rosalie Cunningham (cantante e chitarrista) guida il gruppo lungo i suoi strepitosi saliscendi vocali, ricordando le grandi interpreti femminili di fine anni 60. A malincuore (visto che eravamo ormai rapiti dall’orgia di colori e note!) ci perdiamo gli ultimi minuti del loro concerto per passare al Vulture Stage, dove sta per esibirsi una gran band italiana.
La psichedelia dei Giöbia è completamente diversa rispetto a quella dei Purson: ipnotici brani strumentali focalizzati sul groove ossessivo di basso e batteria, su cui chitarra e synth si lasciano andare a divagazioni spaziali creando vere e proprie bolle di suono dal sapore shoegaze. Suoni decisamente migliori rispetto al concerto al Lo Fi di qualche mese fa, e una prestazione ricca di energia, inficiata solo da qualche problema tecnico su un paio di brani, nei quali sparisce la voce del cantante e il suono del suo bouzouki. La band milanese conferma di saper maneggiare il lato oscuro e ossessivo della psichedelia con naturalezza, come era balzato alle orecchie con il loro ultimo splendido album, Magnifier.
Sullo stesso palco seguono gli Årabrot. In contemporanea suonano Elder e Cough: dispiace davvero perderseli, ma i norvegesi sono una delle band che attendiamo con più trepidazione, dopo la pubblicazione dello straordinario The Gospel, e il loro concerto supererà perfino le nostre già alte aspettative. Da subito mostrano un incedere ancor più marziale che su disco, reinterpretando i brani in modo più scarno e scheletrico, e al tempo stesso più potente. Solenni come il loro post punk rumoroso richiede, ma anche folli (non solo per i copricapi assurdi che indossano, ma soprattutto per le pose e l’atteggiamento di Kjetil Nernes), sono un vero e proprio uragano in grado di catturare il pubblico con uno dei concerti più intensi dei tre giorni. Sbattuti dalle bordate dissonanti e dai rantoli di Nernes, con ancora nelle orecchie l’energia catartica di brani come Tall Man, usciamo dal Vulture Stage un po’ rapiti e sospesi, come dopo il concerto degli Yob.
La musica dei Colour Haze, nella quale ci immergiamo poco dopo entrando nel Desert Stage, è il perfetto contraltare alla prova di forza degli Årabrot. Sembra di essere entrati in una piscina termale da tanto ci sentiamo avvolti e coccolati dalle lunghe jam blues-psichedeliche della band tedesca. Dopo un inizio estremamente soft i suoni valvolari del trio mostrano tutto il loro calore, lasciandosi andare a riff desertici e sabbiosi. Lontani da qualsiasi teatralità (cui invece quest’oggi abbiamo assistito più volte), i tre suonano la musica genuina di chi non ha niente da dimostrare, ed è in pace con se stesso grazie ad una chitarra, un ampli valvolare, qualcosa da fumare e un bel panorama di libertà sterminata da contemplare. Le lunghe canzoni scorrono affascinanti, anche se prive di particolari sussulti, e lasciano solo sensazioni positive. Grande live per la band inserita in cartellone all’ultimo tuffo dopo la notizia dello scioglimento dei Graveyard.
I Weedeater (come suggerisce il nome) invece di fumare devono aver mangiato una torta con una concentrazione di hashish troppo elevata. La loro musica è infatti sporca, marcia e ubriaca (non a caso il cantante/bassista Dave “Dixie” Collins sventola continuamente con orgoglio una bottiglia di Jack Daniel’s). Il loro stoner doom fangoso odora di muffa e umidità, e la voce stridente di Dixie trasmette le cattive vibrazioni del dopo-sbornia. Nonostante siano evidentemente dei pazzi (il batterista si diletta a suonare il charleston prendendolo a calci) suonano decisamente bene. Il loro sludge basso-centrico è una sequela di riffs gonfi dal groove rallentato, molto dinamici e coinvolgenti. Solo 45 minuti di live, ma davvero bestiali!
Chiudiamo la serata andando a far visita ai nonni del doom metal. Sul Desert Stage salgono infatti i Pentagram. La lezione di storia che ci impartisce la band americana non ha niente di accademico e impolverato: infatti Bobby Liebling e Victor Griffin (i due membri storici della band) hanno energia da vendere e ancora idee da proporre - come dimostrano i brani più recenti. Liebling, oltre ad esaltare il pubblico con le sue assurde espressioni facciali e con il suo look assolutamente improbabile, ha ancora una gran voce, così come Griffin si dimostra un grandissimo chitarrista. È il tempo della rivincita: dopo anni in cui sono stati relegati nell’underground più profondo dell’heavy metal, ora viene loro riconosciuto il dovuto status di padri fondatori di uno dei generi ultimamente più in voga nell’ambito della musica pesante. Con la distruzione completa del palco e degli strumenti - in puro stile rock n’ roll! - si conclude questa seconda, intensa, giornata di festival.
[E.R.+R.T.]
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Desertfest Antwerp 2016 – Day 2
[Pentagram + Weedeater + Colour Haze + Årabrot + Giöbia + Purson + Wolvennest]
After the rain of the night before, on this second day of Desertfest a nice spring sun greets us in the Trix garden. But the sun does not certainly shine inside the Canyon Stage - the stage on the second floor which looks like a rather dark rock disco - where Wolvennest inaugurate our musical day with a mix of darkwave, atmospheric black metal and psychedelia. Candlesticks and skulls decorate the stage, while the incense fumes invade the hall. A coup de théâtre which explicitly recalls black metal imaginary, although the Belgian band uses the glacial atmospheres typical of that genre in combination with slow rhythmics, space rock effects and vocals worthy of the most ethereal darkwave. At the center of the stage, the hypnotic presence of the singer (as well as mistress synths and keyboards) is the focal point of the storm generated by three perfectly calibrated and enveloping guitars. A quite charming surprise, recalling Wolves in the Throne Room and Oranssi Pazuzu, and showing how this festival is not limited only to purely stoner, psychedelic and doom sounds.
With an emotional leap worthy of a person suffering from bipolar disease, we pass from Wolvennest gothic theatre to Purson colorful and joyous one, on the Desert Stage. Their multifaceted kaleidoscopic rock transmits a breath of sunshine in contrast to the oppressive air breathed upstairs. Technically faultless, Purson launch themselves into surreal progressive constructions - deliberately kitsch, but never redundant - although not as much psychedelic as their super-acid albums would suggest. Rosalie Cunningham (singer and guitarist) leads the band along her ultra-versatile resounding voice, reminiscent of the great female performers of the late 60s. Reluctantly (since we were now enraptured by the orgy of colors and notes!) we lose the last minutes of their concert to move to Vulture Stage, where a great Italian band is about to perform.
Giöbia psychedelia is completely different from Purson one: hypnotic instrumental songs focused on the obsessive groove of drums and bass, on which guitar and synth go wild in space ramblings, creating shoegaze-tasted sonic bubbles. Sounds are definitely better than those heard at Lo Fi concert a few months ago, and there is a plenty of energy, affected only by some technical problems on a couple of tracks in which - unfortunately! - vocals and sound bouzouki literally disappear. The band from Milan confirms to be able to manage the dark and obsessive side of psychedelia in the most natural way as you can hear in their last, wonderful, album - Magnifier.
Then Årabrot, on the same stage. Simultaneously Elder and Cough play on the other two stages: it is really a shame to miss their shows, yet the Norwegian band is one of those we were waiting for with more trepidation, after the release of the extraordinary The Gospel - and their live show will exceed even ours highest expectations. From the very beginning they show a pace even more martial than on record, reinterpreting their songs in a more gaunt and skeletal, yet even more powerful, way. Solemn as their noisy post-punk requires, but also crazy (not only for the absurd headgear they wear, but especially for Kjetil Nernes attitude and poses), they are a real hurricane able to capture the public with one of the most intense concerts of these three days. Beaten by dissonant shots and by Nernes death rattles, with the cathartic power of songs like Tall Man still present in our ears, we leave the Vulture Stage a little enraptured and suspended, in the same way we did after Yob concert.
Colour Haze music, in which we immerged ourselves entering Desert Stage, is the perfect counterpart to the Årabrot violent attack. It seems to be entered into a thermal pool as much we feel wrapped and cuddled by the long blues-psychedelic jams of the German band. After an extremely soft start the tube sounds of the trio show all their warmth, indulging in desertic and sandy riffs. Far away from any theatricality (which instead today we have witnessed several times), the three play the genuine music of those who have nothing to prove, being at peace with themself thanks to a guitar, a tube amp, something to smoke and a beautiful view of endless freedom to contemplate. The long songs flow fascinating and leave only positive feelings. Great live show for the band included on the bill only in the last days after the news of the Graveyard split!
Instead of smoking Weedeater (as the name suggests) did probably eat a cake with a too high concentration of hashish. Indeed, their music is dirty, rotten and drunk (the singer / bassist Dave "Dixie" Collins constantly and proudly waves a bottle of Jack Daniel's in the air). Their sludgy stoner doom smells like mildew and damp, and Dixie shrill voice transmits the bad vibrations of the hangover. Although they are obviously insane (drummer has a lot of fun in playing the hi-hat by kicking it), they play amazingly well. Their bass-centric sludge is a sequence of swollen riffs with a slow groove, very dynamic and engaging. Only 45 minutes of live, but really brutal!
We conclude the evening going to visit doom metal grandaddies. Pentagram hit the Desert Stage. The history lesson given by the American band is not academic and dusty: indeed Bobby Liebling and Victor Griffin (the two core members of the band) have got a huge amount of energy to spare and even ideas - as their most recent songs prove. Not only entertainer of the audience with his bizarre facial expressions and his absolutely unlikely apparel, Liebling still has got a great voice, as well as Griffin proves to be a great guitarist. It is the time of revenge: after years in which they were deeply confined in the underground of heavy metal world, now they are recognized as the founding fathers of one of nowadays more appreciated genres in the field of heavy music. With the complete destruction of the stage and the instruments - in pure rock n' roll style! - it ends this second (intense) day of the festival.
[E.R.+R.T.]
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