giovedì 27 ottobre 2016

Desertfest Antwerp 2016 – Day 3

 

Desertfest Antwerp 2016 – Day 3
[Goat + Uncle Acid & The Deadbeats + Duel + Earth Ship + Moaning Cities + Josefin Öhrn & The Liberation]

Sunny Afternoon è il titolo di una canzone di Josefin Öhrn & The Liberation. E in effetti un Sole primaverile penetra dalle vetrate del Vulture Stage in questo terzo pomeriggio di festival, accarezzando gli spettatori così come la musica della band sul palco. Il dream pop psichedelico del gruppo, per quanto lieve e delicato, dal vivo dimostra un’energia elettrica imprevista e assolutamente gradita. La sognante voce di Josefin è infatti circondata dal groove caldissimo del basso e dalle distorte scosse di chitarra, che rendono più calda e valvolare una musica che su disco suona più sintetica e più vicina all’indie intellettualoide. Piacevole scoperta, perfetta per iniziare la lunga giornata di concerti.

Si continua sul versante psichedelico, sul Desert Stage, con i Moaning Cities. Il gruppo belga si presenta con un’intro d’atmosfera - fra piatti suonati con le mani e lunghe note sospese. Il respiro cosmico si tramuta presto in un rock psichedelico a tratti sciamanico, a tratti movimentato, a metà strada tra Doors e Velvet Underground, vicinissimo alle sonorità dei Black Angels. La sessione ritmica - tutta al femminile - è pulsante e solida ed è l'intelaiatura ipnotica per le nervose sciabolate di chitarra, a tratti perfino riconducibili ai Sonic Youth (ed anche l’intreccio delle due voci - maschile e femminile - riporta alla mente la band di NY). Interessanti anche i richiami melodici orientaleggianti, che lasciano spazio anche al sitar. Band interessante e che regala davvero un gran bel live!

Cambio di atmosfera nel Canyon Stage. I tedeschi Earth Ship sono una macchina da guerra che propone un titanico sludge metal, mitigato soltanto da qualche inserto melodico del cantante-chitarrista. Compatti, possenti e putridi come il genere richiede, inanellano riffs carichi di groove e potenza. Un vero peccato dover rinunciare alle ottime linee vocali sdoppiate in stile Alice In Chains - presenti su disco, ma non riproposte dal vivo (infatti il microfono è esclusivamente affidato all’ugola del chitarrista, peraltro molto bravo nell’alternanza growl e voce pulita). Mezzora di grezza violenza per spezzare l’atmosfera onirica indotta dalle band precedenti.

La scarica elettrica più forte della tre giorni la regalano i Duel - sul Canyon Stage. La musica della band texana è un serpente a sonagli che scivola sinuoso tra possenti rocce stonerose sotto le quali si snodano gallerie scavate in profondità nel rock americano degli anni 70. Il sonaglio vibra a ripetizione per avvertirci che i rari momenti di quiete saranno necessariamente seguiti da assalti roventi. Non c’è tempo per la siesta. Il loro concerto è un concentrato di adrenalina, tra duelli chitarristici e hard blues infuocato, in cui i 4 musicisti danno tutti loro stessi (nonostante abbiano guidato tutta la notte per raggiungere il Belgio!). Sei mesi dopo il (superbo) concerto di Castellina Marittima, i Duel dimostrano di essere cresciuti ulteriormente - e non di poco! - sia per compattezza che per fluidità. Una musica trascinante con un sottile velo oscuro e psichedelico che raggiunge il suo apice nella conclusiva Locked Outside, in assoluto tra i brani più coinvolgenti della 3 giorni. Grandiosi!

Tempo di birra, cibo e chiacchere all'aperto. Dopodiché rientriamo nel Desert Stage per uno dei concerti più attesi: quello degli Uncle Acid & The Deadbeats. La Luna piena illumina una gigantesca montagna innevata e, in basso, un piccolo paese dorme ignaro del destino che lo attende. Questa immagine, sottilmente inquietante, è il biglietto da visita, proiettato alle spalle dei musicisti. La discesa agli inferi inizia con Mt. Abraxas e prosegue con brani tratti da tutti e quattro gli album della band (in particolare The Night Creeper e Blood Lust). Possenti e potenti, la musica del quartetto inglese risulta decisamente più pesante che su disco, senza però perdere le sfumature chiaro/scure e polverose garage doom (e nonostante il suono del basso e della cassa della batteria sia a tratti eccessivamente alto e martellante). La voce strisciante di Kevin Starrs si fonde alla perfezione con i cori, disegnando melodie allucinate e stranianti, contribuendo a generare una sensazione di ansia palpabile come se un sinistro presagio incombesse sull’apparente normalità. Sembra di essere in un racconto di Lovecraft: cosa desiderare di più?

Dopo l’ultimo viaggio nei meandri bui del festival, concludiamo la nostra tre giorni "con il lieto fine": lo spettacolo colorato e un po’ folle dei Goat. Gli svedesi si presentano sul Desert Stage freschi freschi di pubblicazione del nuovo disco (Requiem). Con tutto l’armamentario di assurdi costumi di scena (rinnovati rispetto al tour precedente) portano in scena la loro surreale danza psichedelica - improbabile miscela delle culture più disparate, in cui vengono centrifugate melodie mediorientali, funky da B movie anni 70, ritmi africani, flauti sudamericani, grida da giungla profonda e acid rock. E’ un giro del mondo al di fuori di qualsiasi "logico" itinerario, alla ricerca di suoni e atmosfere che mai hanno convissuto, ma che insieme generano energia positiva. Il ritmo è trascinante, e l’attenzione che la band pone alle divagazioni strumentali coinvolge ancor di più rispetto al passato, dimostrando quanto il gruppo sia cresciuto dai tempi in cui replicava in modo fedele le registrazioni in studio. Vocalmente più controllate e precise che in passato, le due cantanti sono ancora più irruente per quanto riguarda la loro opera di intrattenimento del pubblico, basata su balli asincroni e insensati. Una festa completamente fuori di testa, divertentissima e assolutamente necessaria per poter affrontare con spirito positivo il "dramma" rappresentato dalla conclusione del festival e il nostro conseguente rientro a casa, in attesa che venga annunciato il bill della prossima edizione.
[E.R.+R.T.]

 
 
***

Desertfest Antwerp 2016 – Day 3
[Goat + Uncle Acid & The Deadbeats + Duel + Earth Ship + Moaning Cities + Josefin Öhrn & The Liberation]

Sunny Afternoon is the title of a song by Josefin Öhrn & The Liberation. Indeed, in the third afternoon of the festival, a vernal sunlight shines through the windowpanes of the Vulture Stage caressing the audience as well as the music of the band on stage. Light and delicate, their psychedelic dream pop shows an unexpected and absolutely welcome electric energy in the live dimension. Josefin dreamy voice is indeed surrounded by the bass hot groove and the guitar distorted shocks making their music more rock-oriented while on record it sounds more synthetic and closer to highbrow indie-pop. Pleasant surprise, perfect start for this long day of concerts.

Again psychedelic shores, on the Desert Stage, with Moaning Cities. Atmospheric intro - cymbals played with the hands and long hanging notes - for the Belgian band. The cosmic breath is quickly transformed into psychedelic rock, at moments shamanic, at moments lively, halfway between The Doors and The Velvet Underground, very close to The Black Angels sound. The all female rhythm section is pulsating and solid and it is the hypnotic frame for guitar nervous slashes, sometimes even reminiscent of Sonic Youth (also the intertwining of the two voices - male and female - recalls the band from NY). Interesting even the references to Oriental melodies - and there is space for  sitar, too. Awesome band, great live!

Change of atmosphere in the Canyon Stage. German Earth Ship are a war machine offering a titanic sludge metal, barely mitigated by some melodic inserts of the singer-guitarist. Compact, powerful and rotten as the genre requires, they release a sequence of riffs full of groove and power. A real shame to have to give up the excellent doubled vocals in Alice In Chains style - in fact the microphone is exclusively entrusted to the guitarist, anyhow brilliant in the alternation of growls and clean vocals. Half an hour of raw violence to break up the dreamlike atmosphere induced by the previous bands.

The strongest electric shock of the three days is that one performed by Duel – on Canyon Stage. The music of the Texan band is a rattlesnake sinuously gliding between mighty stoner rocks under which there are tunnels deeply digged into 70s American rock. The rattle repeatedly vibrates to warn that the rare quiet moments will necessarily be followed by inflamed assaults. There is no time for siesta. Their live show is a blend of adrenaline, guitar duels and burning hard blues, where the four musicians give all of themselves (despite having driven through the night to be here!). Six months after the (superb) concert in Castellina Marittima, Duel prove to be grown further - and quite considerably! - for both compactness and fluidity. A captivating music with a thin dark and psychedelic veil that reaches its climax in the final Locked Outside, absolutely one of the most engaging songs of the festival. Great!

It’s time for beer, food and chats outdoors. Then we go back to the Desert Stage for one of the most anticipated concerts: Uncle Acid & The Deadbeats. A full moon illuminates a giant snowy mountains and right below a small town sleeps unaware of the doom that awaits it. This  subtly disquieting image is the business card projected behind the musicians. The descent into hell begins with Mt. Abraxas and continues with excerpts from all their four albums (above all The Night Creeper and Blood Lust). Mighty and powerful, the music of the English quartet sounds much heavier than on record, without losing the typical light and dark and dusty shades of their garage doom (even though the sound of the bass and the kick drum is sometimes excessively high and pounding). Kevin Starrs creepy voice blends perfectly with the choruses, drawing hallucinated and estranging melodies, creating a feeling of palpable anxiety as if a dark omen was looming on the apparent normality. It seems to be in a short story by Lovecraft: do you wish for something more?

After the last trip in the dark mazes of the festival, we conclude our three days "with a happy ending": the colourful and a bit crazy Goat show. A brand new album (Requiem) for the Swedes and with all the paraphernalia of absurd costumes (renewed from the previous tour) they bring onto the Desert Stage their surreal psychedelic dance, unlikely mixture of many different cultures - Middle Eastern melodies, 70s-B-movie-like funky, African rhythms, South American flutes, cries from deep jungle, krautrock and acid rock. It’s an “Around the world” outside of any "logical" route, in search of sounds and atmospheres that have never lived together, but that together generate positive energy. The pace is rousing, and the attention on the instrumental digressions involves us even more than in the past, showing how much the band has grown up from the days of the ultra-faithful replicas of studio recordings. Vocally more controlled and accurated than in the past, the two singers are even more vehement in their audience entertainment, based on asynchronous and senseless dances. A completely nuts and hilarious party, absolutely necessary to deal with the  "drama" represented by the conclusion of the festival and our subsequent homecoming...waiting for the bill of the next edition.
[E.R.+R.T.]

 

  

 

 








Nessun commento:

Posta un commento