venerdì 11 maggio 2018

Roadburn 2018 - Day 4


Roadburn 2018 - Day 4
[Joy feat. Dr. Space + Big Brave + Spotlights + Vánagandr: Sól án varma + Wrekmeister Harmonies]

Ultimo giorno. Quello in cui si affaccia la sensazione di “luci che si riaccendono, musica che finisce, tutti a casa” . Hai vissuto quattro giorni immerso in un'incredibile atmosfera, ascoltando concerti spesso irripetibili e hai ancora davanti un'intera giornata di musica, ma sai che la magia sta per concludersi. Per ricacciare indietro questo pensiero, urge entrare in un locale e scoprire cosa ci attende oggi.

Iniziamo dall'Het Patronaat con i Wrekmeister Harmonies. Due maestri di cerimonia occulta, più un batterista in prestito (talvolta alla ricerca di una bussola per potersi orientare). Paesaggi sonori desolati e desolanti. Perle di distillate melodie e squarci di rumore. Una strana commistione di etereo e carnale, le cui suggestioni sono amplificate dalle videoproiezioni dapprima allucinate e poi propriamente disturbanti (fra anatomopatologia e tassidermia senza censura alcuna). Una voce profonda che si scava un tunnel in un oceano di rumore, con alcune note di violino e tastiera a fornire spiragli di luce. Come se gli Swans contemplassero i cadaveri da loro smembrati, e riuscissero a commuoversi di fronte a quella vista. Un'esperienza davvero intensa e non ordinaria.

E' poi il momento di un altro evento speciale, creato appositamente per questo Roadburn 2018. Il gotha del black metal islandese - Misþyrming, Naðra, Svartidauði, Wormlust - riunito sotto il moniker Vánagandr per un'opera musicale inedita dal titolo Sól án varma (letteralmente "sole senza radiosità"). Che si tratti della lunga notte dell'inverno nella terra di ghiaccio e fuoco, o di una visione apocalittica e distopica, o della messa in musica di retaggi culturali atavici ed ancora attuali, certo è che il progetto tutto "made in Iceland" ha un'indubbia forza espressiva e riesce a fondere le sue fondamenta black metal in qualcosa di altro, dotato di una visionarietà che trascende i confini del genere di partenza per spaziare in territori a tratti cosmici. Per chi ricorda le prime edizioni del festival, improntate su stoner, doom ed heavy psych, suonerà certamente assurdo un concerto con suoni così compressi e futuribili, con una tempesta solare di tremolo picking a tutta velocità alternata a dilatazioni spaziali e voci che riverberano effettatissime, eppure è proprio in questa continua ricerca di una musica pesante in grado di spingersi al di là dei territori conosciuti che il Roadburn mantiene la sua identità ed unicità. Come per i Waste of Space Orchestra, non resta che sperare nella trasposizione su disco di questa opera prima.

Lasciati i vasti spazi desertici del remoto Nord, e ignorati gli invitanti richiami che giungono dallo skate park adiacente all’Hall of Fame (dove gira voce che alcune band di San Diego stiano regalando show a sorpresa) è tempo di scendere nel cuore di una metropoli brulicante con i newyorkesi Spotlights. Per chi come noi è cresciuto con camicie di flanella e Doc Martens, è come tornare a casa. I riff possenti e carichi di groove odorano di King Buzzo, e le aperture sognanti e malinconiche sono ricordi di vecchi sogni shoegaze, come se fossero stati rielaborati da Aaron Turner. Rumorosi e pesanti, ma al tempo stesso melodici ed eterei, si dimostrano una scoperta davvero interessante, la cui unica pecca è quella di non avere un tastierista che suoni dal vivo i bei passaggi imprigionati nei samples.

Dall'alto della balconata della Green Room ci spostiamo ad un altro piano sopraelevato, quello dell’Het Patronaat. Qui ci conquistiamo un posto a sedere (necessità impellente dopo quattro giorni di concerti ininterrotti) per ascoltare i Big Brave. La muraglia di suono generata dal trio ha un consistenza fisica e palpabile, e sembra di vederla elevarsi sempre di più, mattone dopo mattone, riff dopo riff, feedback dopo feedback, drone dopo drone, fino a riempire tutto lo spazio dell’ex chiesa. Una band di contrasti, nella quale una fragile e allucinata voce femminile si arrampica su un muro di distorsione, producendo un flusso sonoro che stordisce tanto con le sue dilatazioni quanto con le sue bordate. Osserviamo il trio attraverso un intreccio di cavi che calano dal soffitto, perfetta punto d'osservazione per questa musica claustrofobica.

In una giornata densa di atmosfere oscure e torte, è giunto infine il momento di volare lontano con sonorità luminose e psichedeliche. Si torna nel minuscolo Cul de Sac, per chiudere questo Roadburn con l'atmosfera radiosa di San Diego. Il blues psichedelico dei Joy implementato dai suoni spaziali di Dr. Space: un Mago Merlino a Honolulu che ti riempie di gioia solo a vederlo. Un'ora di incredibili improvvisazioni, che dilatano il ristretto spazio in cui sudiamo accalcati l'uno sull'altro e ci trasportano in un'altra dimensione, fatta di altre vibrazioni e percezioni. Una spiaggia hawaiiana infuocata da esplosioni vulcaniche, praticamente! Il finale più bello che questa giornata e questo Roadburn 2018 potessero avere! “See You next year, spaceheads!”

[Appendice]: visto che questa è la recensione dell'ultimo giorno, è tempo di bilanci sul Festival anche oltre l'aspetto musicale (che ci ha ampiamente soddisfatto!).

Pollice su per i nuovi locali. Sia il Koepelhal che l'Hall of Fame si sono rivelate due azzeccate locations, e hanno anche permesso di superare i problemi di code e soldout che si erano verificati negli anni scorsi (per quel che ne sappiamo, quest'anno è successo soltanto con i due show dei Bell Witch). Pollice su anche per la nuova area merchandise, molto più spaziosa e "completa", così come per l'area dedicata all'esposizione di poster e serigrafie. Ottima idea, inoltre, quella di utilizzare uno skate park per ricreare l’atmosfera di San Diego (dato che molti musicisti di quella scena sono skater professionisti).

Osservazioni costruttive. La nuova area merchandise, per quanto funzionale, necessiterebbe di qualche addetto in più, dedicato a settori più piccoli, così da velocizzare le operazioni (ci guadagnano tutti, sia chi compra, sia chi vende). Ottima la possibilità di lasciare i propri acquisti in custodia a costi irrisori, ma vale la pena di prolungare l'apertura del deposito merch fino almeno ad una mezzora dopo la fine dell'ultimo concerto. Prendendo spunto da altri festival, infine, perché non passare ai bicchieri di plastica rigidi (quelli da riportare al bancone per il reso) così da evitare di ridurre lo 013 e le altre venues a distese di plastica appiccicosa di alcool? Oppure, perché non organizzare un servizio di pulizia delle sale tra un concerto e l’altro?

Il Roadburn è un festival incredibile ed in continua crescita ed evoluzione. Siamo certi che anche il prossimo anno ci sorprenderà!
[E.R. + R.T.]

 

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Roadburn 2018 - Day 4
[Joy feat. Dr. Space + Big Brave + Spotlights + Vánagandr: Sól án varma + Wrekmeister Harmonies]

Last day. The one you already start thinking about "lights on, no more music, everyone at home". You have been spending four days immersed in an incredible atmosphere, listening to often unrepeatable concerts and you still have a whole day of music ahead of you, but you know that the magic is about to end. To push back this thought, let's enter one of the venues and find out what awaits us today.

Let's start from the Het Patronaat with Wrekmeister Harmonies. Two masters of occult ceremony, plus a drummer on loan (sometimes looking for a compass to orientate himself). Desolate and desolating sound landscapes. Pearls of distilled melodies and lacerations of noise. A strange mixture of ethereal and carnal, whose suggestions are amplified by videoprojections - initially hallucinatory and then disturbing (between anatomopathology and taxidermy without any censorship). A deep voice that digs a tunnel into an ocean of noise, with some notes of violin and keyboard to provide glimmers of light. As if Swans contemplated the bodies they had dismembered, able to be moved by that sight. A truly intense non-ordinary experience.

It is then time for another special event, specifically created for this Roadburn 2018. The gotha of Icelandic black metal - Misþyrming, Naðra, Svartidauði, Wormlust - gathered under the moniker Vánagandr for an unreleased musical work entitled Sól án Varma (literally "sun without radiance"). Whether it's the long night of winter in the land of ice and fire, or an apocalyptic and dystopian vision, or  atavistic and still current cultural heritage, it is certain that the "made in Iceland" project has got an undoubted expressive strenght and it manages to merge its black metal foundations into something else, endowed with a visionary nature that transcends the boundaries of the starting genre to wander in sometimes cosmic territories. For those who remember the first editions of the festival - based on stoner, doom and heavy psych - it will certainly sound absurd to face a concert with so compressed and futuristic sounds, with a solar storm of tremolo picking at full speed alternating with spatial dilations and reverberating ultra-distorted voices, yet it is precisely in this continuous search for heavy music going beyond known territories that Roadburn maintains its identity and uniqueness. As for Waste of Space Orchestra, we long for the recordings of this first work.

Left the vast desert spaces of the remote North, and ignored the inviting calls coming from the skate park adjacent to the Hall of Fame (there are rumors of some San Diego bands performing surprise shows) it's time to get into the heart of a metropolis teeming with New Yorkers Spotlights. For those like us who grew up with flannel shirts and Doc Martens, it's like coming home. Powerful and groovy riffs smell like King Buzzo, and dreamy melancholic openings are memories of old shoegaze dreams, as if they were rearranged by Aaron Turner. Noisy and heavy, but at the same time melodic and ethereal, they are a really interesting discovery, whose only flaw is that of not having a real keyboard on stage for those beautiful passages imprisoned in samples.

From the top of the Green Room balcony we move to another raised floor, that of the Het Patronaat. Here we win a seat (impelling necessity after four days of uninterrupted concerts) to listen to Big Brave. The wall of sound generated by the trio has got a physical and palpable consistency, and it seems to see it rise more and more, brick by brick, riff after riff, feedback after feedback, drone after drone, to fill up the whole space of the former church. A band of contrasts, in which a fragile hallucinated female voice climbs on a wall of distortion, producing a sound stream that stuns so much with its dilations as with its attacks. We observe the trio through a network of cables descending from the ceiling, a perfect point of view for this claustrophobic music.

In a day full of dark crooked atmospheres, the time has finally come to fly far away with bright psychedelic sounds. We return to the tiny Cul de Sac, to close this Roadburn with the radiant atmosphere of San Diego. The psychedelic blues of Joy implemented by the space sounds of Dr. Space: a Merlin Wizard in Honolulu that fills you with happiness at first sight. An hour of incredible improvisations which dilate the narrow space in which we sweat huddled on each other and transport us to another dimension, made of other vibrations and perceptions. A Hawaiian beach burning with volcanic explosions! The most beautiful end that this day and this Roadburn 2018 could have! "See You next year, spaceheads!"

[Appendix]: since this is the review of the last day, it is time to "make an analysis" of the Festival even beyond the musical aspect (which has amply satisfied us!).

Thumb up for the new premises. Both the Koepelhal and the Hall of Fame proved to be two well-chosen locations, and they also allowed to overcome the problems of queues and soldouts that had occurred in the last years (as far as we know, this year it only happened with the two Bell Witch shows). Thumb up also for the new merchandise area, much more spacious and "complete", as well as for the area dedicated to the display of posters and screen prints. Furthermore, it is a good idea to use a skate park to recreate the atmosphere of San Diego (especially if you think that many musicians of that scene are professional skaters).

Constructive observations. The new merch area, although functional, would need some additional staff, dedicated to smaller sectors, so as to speed up operations (we all earn from this: both those who buy, and those who sell). Excellent the opportunity to leave our purchases in custody at negligible costs, but it is worthwhile to prolong the opening of the merch deposit until at least half an hour after the end of the last concert. Taking a cue from other festivals, finally, why not go to the rigid plastic glasses (those to bring back to the counter for the return) so as to avoid reducing the 013 and the other venues to expanses of plastic sticky with alcohol? Or why not organize a room cleaning service between one concert and another?

Roadburn is an incredible festival in continuous growth and evolution. We are sure that also next year it will surprise us once again!
[E.R.+R.T.]

 

 




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