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mercoledì 28 marzo 2018

Wedge – Killing Tongue


Wedge – Killing Tongue
(Heavy Psych Sounds, 2018)

“You are the reason for having some fun…”
Se la natura del rock n’ roll è riassumibile in questa dichiarazione d’intenti, lo è certamente anche la musica che la accompagna. I Wedge aprono la borsa di Mary Poppins dell’hard rock settantiano e dimostrano quanto questa sia senza fondo (o forse connessa con un’altra dimensione), estraendone un’infinità di ispirazione (energia liberatoria, arabeschi colorati, ma anche nebbia mistica) che riescono a portare a nuova vita seguendo i sentieri recentemente tracciati dai conterranei Kadavar e dai compagni d’etichetta Duel. Sentieri in cui groove asciutto e strutture lineari e dirette rendono attuali le soluzioni di quasi mezzo secolo fa. Ancora una volta, quel che fuoriesce da quella vecchia borsa è una musica che si diverte a divincolarsi tra stanze e corridoi conosciuti, mostrandone in continuazione nuovi angoli, fino a quel momento nascosti. Merito certamente della dimora in questione, vero e proprio castello labirintico ricco di possibilità, ma anche di chi - come il trio tedesco - si avventura al suo interno con l’occhio recettivo di chi ha abbastanza fantasia da riuscire a scovare al buio ciò che sembra impercettibile nel gran mucchio di soprammobili già visti. Perché sotto ogni tappeto di organo hammond si nasconde polvere che i Deep Purple non hanno esplorato, e dietro ogni tenda è possibile trovare un riff che i Black Sabbath o i Led Zeppelin non hanno scovato, così come si può incappare in una melodia non scoperta dagli Humble Pie. Quando la voce di Kyryk Drewinski avrà respirato abbastanza a fondo la polvere di questa vecchia casa, fino a rendere più ruvide corde vocali e melodie, saremo di fronte ad un gruppo in grado di competere con le migliori band retro rock in circolazione.
[R.T.]
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Wedge – Killing Tongue
(Heavy Psych Sounds, 2018)

“You are the reason for having some fun…”
If rock n 'roll nature can be summarized in this declaration of intent, this is true also for the music that accompanies it. Wedge open up the Mary Poppins bag of 70s hard rock and show how this is bottomless (or maybe connected with another dimension), extracting from it an infinity of inspiration (liberating energy, colourful arabesques, but also mystical fog) they bring to new life by following the paths recently traced by their fellow countrymen Kadavar and fellow label Duel. Paths in which dry groove and linear direct structures make current the solutions of almost half a century ago. Once again, what comes out of that old bag is music that has fun struggling between known rooms and corridors, constantly showing new corners, hitherto hidden. Certainly thanks to the dwelling in question, a real labyrinthine castle full of possibilities, but also thanks to those who - like the German trio - venture inside it with the receptive eye of those who have enough imagination to be able to find in the dark what seems imperceptible in the great pile of knick-knacks already seen. Because under each hammond part there is dust that Deep Purple have not explored, and behind each curtain you can find a riff that Black Sabbath or Led Zeppelin have not found, as well as you can run into a melody not discovered by Humble Pie. When Kyryk Drewinski voice will have breathed the dust of this old house deeply enough  to make rougher his vocal cords and melodies, we will be facing a band able to compete with the best retro rock bands out now.
[R.T.]

lunedì 26 marzo 2018

Primus – Sailing the Seas of Cheese


Primus – Sailing the Seas of Cheese
(Interscope Records, 1991)

Dura la vita per un bassista di musica dura. Si richiede capacità di mimetizzazione sul palco e nel flusso sonoro, per non oscurare l’esibizionismo del cantante e la logorrea dei chitarristi. Preciso, educato, silenzioso, poco fantasioso, in grado di tenere in piedi i brani mentre gli altri si divertono. Con questi presupposti, è normale che a quattordici anni nessuno voglia suonare il basso. Almeno fino all’apparizione di Les Claypool, che con una naturalezza sorprendente stravolge i ruoli e le regole di un gruppo heavy, diventando modello e punto di riferimento per il riscatto dello strumento a quattro corde, che da li in poi diventerà centrale nel (nuovo) metal, prossimo a nascere. Compagno di scuola di Kirk Hammett, il folle e imprevedibile Les non poteva innestarsi nella musica compatta e quadrata dei Metallica, per i quali fece un provino dopo la morte di Cliff Burton. Molto più adatto ad una musica gommosa, elastica, deformabile, come quella dei Primus. Con il suo secondo album (Sailing the Seas of Cheese) il trio spappola la musica dura così come i Minutemen avevano fatto con il punk rock: con un’ironia demenziale degna di Frank Zappa e un gusto per il nonsense scioglicervello degno dei King Crimson dell’era Belew / Levin. Lo slap violento di Claypool è uno schiaffo ai ritmi funky dai quali nasce, così come il suo tapping selvaggio e delirante è uno schiaffo ai funambolismi tecnici del metal. Dissacratore e dadaista, il rock snodato dei Primus deve molto anche alla traiettorie deraglianti della chitarra di Larry Lalonde e al groove frenetico di Tim Alexander, senza i quali Claypool non avrebbe potuto disegnare il cartone animato surreale che è Sailing the Seas of Cheese.
[R.T.]
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Primus – Sailing the Seas of Cheese
(Interscope Records, 1991)

Hard life for a hard music bassist. He needs the ability to blend in on stage and in the flow of sound, not to obscure the exhibitionism of the singer and the verbosity of guitarists. Accurate, polite, silent, not imaginative, able to keep the songs on their feet while the others enjoy themselves. With these assumptions, nobody wants to play bass when fourteen years old. At least until the appearance of Les Claypool, who upsets the roles and rules of a heavy band with a surprising naturalness, becoming a model and reference point for the redemption of the four-stringed instrument, which from then on will become central in the (new) metal next to be born. Kirk Hammett's schoolmate, the crazy and unpredictable Les could not engage in the compact squared music played by Metallica, for which he auditioned after Cliff Burton death. He was definitely much more suitable for a gummy, elastic, deformable music, like Primus one. With its second album (Sailing the Seas of Cheese) the trio destroys hard music in the same way Minutemen destroyed punk rock: with a wacky irony worthy of Frank Zappa and a taste for extreme nonsense worthy of King Crimson in their Belew / Levin era. Claypool violent slap is a smack to the funky rhythms from which it was born, as well as its wild and delirious tapping is a smack to the technical funambulism of metal. Desecrating and Dadaist, Primus rock also owes a lot to Larry Lalonde derailing guitar trajectories and Tim Alexander frenetic groove, without which Claypool could not have drawn the surreal cartoon of Sailing the Seas of Cheese.
[R.T.]

venerdì 23 marzo 2018

Radio Moscow – New Beginnings


Radio Moscow – New Beginnings
(Century Media, 2017)

Raccogliere la scossa elettrica generata cinquanta anni fa da un chitarrista di colore nato a Seattle senza rimanerne fulminati, non è un’impresa facile. Eppure i Radio Moscow dimostrano di saper cavalcare la saetta con naturalezza, e di saperla guidare con personalità. Il trio sale a bordo di un’auto sportiva americana di fine anni '60, spacca i freni e si lancia a rotto di collo, con il volume a palla. La chitarra di Parker Griggs è al volante, mentre la sua voce rovente è sul sedile di fianco, e attraversa rocciosi territori hard rock con tocco morbido e intenso di scuola blues, fino a sfociare nella psichedelia. Con un drumming convulso Paul Marrone si lancia all’inseguimento, lungo i binari disegnati dal basso di Anthony Meier. A bruciare la strada, comunque, è la frenesia incontenibile della chitarra di Griggs, il quale - al suo quinto album - spinge ancor di più sull’acceleratore. Attraversata nel corso di mezzo secolo da centinaia di rocker in cerca di libertà, questa strada viene infuocata per l’ennesima volta da un trio armato solo di chitarra, basso e batteria. Una storia che si ripete, è vero. Ma, se viene interpretata con carattere come in New Beginnings, riesce ad esaltare come ogni volta che riguardiamo Easy Rider, con un poster dei Cream e una lava lamp accanto a noi.
[R.T.]
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Radio Moscow – New Beginnings
(Century Media, 2017)

Collecting the electric shock generated fifty years ago by a black guitarist born in Seattle without being electrocuted, is not an easy task. Yet Radio Moscow prove that they know how to ride the lightning bolt naturally and they know how to drive it with personality. The trio climbs aboard an American sports car of the late 60s, breaks the brakes and launches itself at breakneck speed, turning up the volume to the max. Parker Griggs guitar is behind the wheel, while his hot voice is on the seat next to him, and he crosses stone hard rock territories with a soft intense touch of blues school, until it ends up in psychedelia. With a convulsive drumming, Paul Marrone goes in pursuit, along the tracks designed by Anthony Meier bass. Burning the road, however, it is the uncontrollable frenzy of Griggs guitar, who - on his fifth album - pushes even more on the accelerator. Crossed over half a century by hundreds of rockers in search of freedom, this road is being fired for the umpteenth time by a trio armed only with guitar, bass and drums. A story that repeats itself, it's true. But, if interpreted with character as in New Beginnings, it succeeds in exciting the listener as well as we get excited every time we watch Easy Rider, with a poster of Cream and a lava lamp next to us.
[R.T.]

mercoledì 21 marzo 2018

Motorpsycho – The Tower


Motorpsycho – The Tower
(Stickman Records, 2017)

Ambizione e senso di sfida da sempre animano i Motorpsycho, che mettono a frutto la loro straripante fantasia ancora una volta con un disco doppio: The Tower. Questa volta si cimentano nella costruzione di un’imponente architettura, dalle solide fondamenta hard rock, che non teme di elevarsi verso la sfera celeste in territori psichedelici con la leggerezza e la fluidità d'improvvisazione tipiche della band. Il loro ziggurat è fatto di complicati corridoi che si intrecciano e si sdoppiano, e di scale a chiocciola che scendono, salgono, si fondono tra loro, in un continuo gioco di illusioni ottiche degne delle visioni di Escher. La Torre di Babele innalzata dai tre norvegesi potrebbe correre il rischio di crollare sotto il peso della pretenziosità, e invece riesce nell’impossibile: far dialogare lingue diverse, per loro stessa natura spesso destinate a non comprendersi l’un l’altra. La creatività del trio coniuga possente epicità progressiva (spesso si respira l’atmosfera della corte del Re Cremisi) e delicate ballate pop, così come rocciosi scatti stoner si sciolgono in un etereo pulviscolo psichedelico. The Tower è un’affascinante costruzione in Lego che i tre si divertono a fare e disfare, dando vita a strutture sempre diverse e colorate, contraddistinte dalla loro tipica voglia di sperimentazione. 
[R.T.]
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Motorpsycho – The Tower
(Stickman Records, 2017)

Ambition and sense of challenge have always animated Motorpsycho, who make the most of their overflowing imagination once again with a double album: The Tower. This time they challenge themselves with the construction of an imposing architecture, with solid hard rock foundations, not afraid to rise itself towards the celestial sphere in psychedelic territories with the lightness and fluidity of improvisation typical of the band. Their ziggurat is made of complicated intertwining and splitting corridors, and spiral staircases that descend, rise, merge together, in a continuous game of optical illusions worthy of Escher's visions. The Tower of Babel raised by the three Norwegians could run the risk of collapsing under the weight of pretentiousness, and instead it succeeded in the impossible: to make converse different languages, by their very nature often destined not to understand one another. The creativity of the trio combines powerful progressive epicness (you can often breath the atmosphere of the Crimson King's court) and delicate pop ballads, as well as rocky stoner outbursts dissolve into an ethereal psychedelic fine dust. The Tower is a fascinating Lego construction that the three enjoy themselves doing and undoing, giving life to structures that are always different and colorful, distinguished by their typical desire for experimentation.
[R.T.]

lunedì 19 marzo 2018

Talk Talk – Laughing Stock


Talk Talk – Laughing Stock
(Verve Records, Polydor, 1991)

Dalla luce alla nebbia in cinque album. Dopo aver attraversato in una decina di anni le chiassose e assolate spiagge degli anni '80, il percorso dei Talk Talk si conclude su un litorale notturno avvolto dalla foschia, dove il silenzio e l’assenza sono tangibili come le onde che si infrangono sulla sabbia. Una surreale solitudine sembra avvolgere Mark Hollis fino a farne scomparire la voce in un oceano di delicato jazz lunare, talvolta inasprito da stridori rumorosi e da lunghe dilatazioni ambient. Laughing Stock è un non-luogo simile alla stanza rossa di Twin Peaks, dimensione parallela dell’art rock romantico e orecchiabile del passato. Liquefacendo ancor di più la sua musica (che già nel precedente Spirit of Eden si era liberata da ogni costrizione e aveva assunto una forma libera e imprevedibile) la band londinese regala un saluto d’addio che diventerà il benvenuto per il (post) rock del decennio appena iniziato. Una nuova musica che si abbevererà dei lunghi silenzi disegnati da una band ormai consapevole della sua imminente scomparsa.
[R.T.]
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Talk Talk – Laughing Stock
(Verve Records, Polydor, 1991)

From light to fog in five albums. After crossing the noisy sunny beaches of the 80s in about ten years, Talk Talk path ends on a nocturnal shoreline surrounded by mist, where silence and absence are tangible as waves breaking on sand. A surreal solitude seems to envelop Mark Hollis until his voice disappears in an ocean of delicate lunar jazz, sometimes embittered by noisy screeches and long ambient dilatations. Laughing Stock is a non-place similar to the red room in Twin Peaks, parallel dimension of the romantic catchy art rock of the past. By further liquefying its music (which already in the previous Spirit of Eden had freed itself from every constraint and had assumed a free unpredictable shape) the London band gives a farewell greeting that will become the welcome for the (post) rock of the just begun decade. A new music that will be watered by the long silences designed by a band now aware of its imminent disappearance.
[R.T.]

giovedì 15 marzo 2018

Amenra + Boris - 28.02.2018 - Locomotiv Club (BO)



Amenra + Boris - 28.02.2018 - Locomotiv Club (BO)

E' una di quelle serate che passerà alla storia. E non solo per il concerto. Infatti stasera sfidiamo l'allerta meteo della nostra città e le previsioni di neve sicura sull'Appennino e decidiamo di partire lo stesso per questo concerto che aspettavamo tanto tantissimo, e cui avevamo deciso di andare nonostante sapessimo che avremmo perso l'inizio del live dei Boris, a causa dell'anticipo dell'orario di inizio (annunciato solo due giorni prima) dovuto alle due scalette decisamente consistenti e ad un cambio palco non di poco conto.

Il viaggio di andata va alla grande ed entriamo nel locale che i Boris hanno iniziato da quasi mezzora. Per fortuna abbiamo davanti a noi ancora più di metà della scaletta. Un muro di nebbia e luci sul palco, ad abbracciare un muro di suono (quasi) impenetrabile. Il set di stasera prevede il loro ultimo album, DEAR (Sargent House, 2017), nella sua interezza. Droni e sludge a profusione. Ma anche melodie cantilenate dalla voce (a tratti quasi "stonata") di Takeshi, che si affacciano sul mare calmo ed immobile del post-rock. A modo loro epiche - e incredibilmente trascinanti - le parti in cui Atsuo prende possesso del microfono, del palco e dell'immenso gong dietro le sue spalle: un vero mattatore. Emozionanti e stupendi certi passaggi come l'assolo di Wata in Dystopia - Vanishing Point -, in cui note celestiali si sbriciolano in frammenti rumorosi e ronzii di elettricità statica (interruzioni di segnale - ricercate o casuali? - che sono uno dei molti esempi della continua destrutturazione della musica operata dai Boris). Grande concerto, che per me supera quello a cui ho assistito poco più di un anno fa a Livorno.

Mezzora di cambio palco. Le luci che si spengono nuovamente. Un intro quasi in sottofondo. Entra Colin H. Van Eeckhout, che si accuccia sul pavimento del palco, spalle al pubblico e cappuccio della felpa calato sulla testa. A seguire, alla spicciolata, il resto della band. Le percussioni metalliche e penetranti e l'esplosione di Boden. Il concerto degli Amenra è un crescendo di emozione, che scava dentro l'ascoltatore/spettatore, e che finisce - in modo brusco e secco - con l'ultima nota di Silver Needle. Golden Nail, lasciandoci tutti svuotati e spaesati. I suoni sono potenti e perfetti, così come la voce di Van Eeckhout, che ipnotizza sia quando urla tutta la rabbia ed il dolore che libera ed esorcizza, sia nei più rari momenti in cui culla nella disperazione. Le videoproiezioni sono il perfetto commento per immagini del rito di cui siamo tutti al tempo stesso spettatori e partecipanti. Gli Amenra sono i ministri di un concerto che non è solo uno spettacolo, ma è anche un vero e proprio scambio e flusso di emozioni fra le più estreme. Un'evocazione di furia e male che lenisce chi si abbandona alla sua potenza. Catartico e stupendo.
[E.R.]
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Amenra + Boris - 02.28.2018 - Locomotiv Club (BO)

It's one of those nights that will go down in history. And not only for the concert. Indeed tonight we challenge the extremely bad weather alert of our town and the forecasts indicating 100% snow on the Apennines and decide to go at all costs to this concert that we expected so much, having already decided to go despite knowing that we would have lost the first part of Boris live, because of the early start time (announced only two days before) due to the two very consistent setlists and a non-trivial set change.

The outward travel is great and we enter Locomotiv that Boris have been playing almost half an hour. Fortunately, we have more than half of the setlist ahead of us. A wall of fog and lights on the stage, to embrace a wall of (almost) impenetrable sound. Tonight's set includes their latest album, DEAR (Sargent House, 2017), in its entirety. Drones and sludge in profusion. But also melodies singed by (sometimes almost "out of tune") Takeshi voice, giving onto the calm and still sea of post-rock. In their own way epic - and incredibly enthralling - the parts in which Atsuo takes possession of the microphone, the stage and the immense gong behind his shoulders: a true star performer. Exciting and wonderful some passages like Wata solo in Dystopia - Vanishing Point -, in which celestial notes crumble into noisy fragments and buzzing of static electricity (signal interruptions - deliberate or random? - which are one of the many examples of Boris continuous destabilisation of music). Great concert: for me it goes beyond the one I attended just over a year ago in Livorno.

Half an hour set change. Lights turn off again. An intro almost in the background. Colin H. Van Eeckhout gets on stage, he crouches on the floor, shoulders to the audience and the hood of the sweatshirt on his head. To follow, in a few minutes, the rest of the band. Metal and penetrating percussions and the explosion of Boden. Amenra concert is a crescendo of emotion, which digs into the listener/spectator, and ends - abruptly and dryly - with the last note of Silver Needle. Golden Nail, leaving us all emptied and disoriented. Sounds are powerful and perfect, as is Van Eeckhout voice, which hypnotizes both when he screams all the rage and pain that he frees and exorcises, both in the rarest moments when he cradles in despair. The video projections are the perfect commentary for images of the ritual of which we all are at once spectators and participants. Amenra are the ministers of a concert that is not just a show, but it is also a real exchange and flow of emotions among the most extreme ones. An evocation of fury and evil that soothes those who abandon themselves to its power. Cathartic and breathtaking.
[E.R.]



lunedì 12 marzo 2018

My Bloody Valentine - Loveless


My Bloody Valentine - Loveless
(Creation Records, Sire, Warner Bros. Records, 1991)

Rumori come interruzioni del linguaggio musicale. Disturbante ribellione contro le melodie accettate. Rumori come medium psichedelico per un viaggio estatico nella nostra mente, lontano dalla realtà. Anche nel pop rock, il noise ha avuto intenzioni sovversive. Il movimento shoegaze ha rovesciato questa concezione e creato un ossimoro. Un matrimonio indissolubile di armonia e dissonanza. I rumori non sono mai stati così piacevoli, dolci e delicati prima della pubblicazione di Loveless. Un'onda caotica di feedback di chitarra genera un avvolgente muro di suono che deforma la struttura delle canzoni come in un nastro danneggiato. Il risultato? Romantico come il ricordo della nostra adolescenza. La musica dei My Bloody Valentine (figlia della reinterpretazione del post-punk dei The Jesus and Mary Chain) non stordisce, disturba o provoca mai: il suo intento è stimolare il lato femminile del rock alternativo.
[R.T.]
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My Bloody Valentine - Loveless
(Creation Records, Sire, Warner Bros. Records, 1991)

Noises as interruptions of musical language. Disturbing defiance against accepted melodies. Noises as psychedelic medium to ecstatic trip into our mind, far away from reality. Even in pop rock, noise had got subversive intentions. Shoegaze movement overturned this conception and created an oxymoron. An indissoluble marriage of harmony and dissonance. Noises had never been so pleasant, sweet and delicate before the release of Loveless. A chaotic wave of guitar feedbacks generates an enveloping wall of sound that deforms the shape of songs as in a damaged tape. The outcome? Romantic as the remembrance of our adolescence. My Bloody Valentine music (daughter of The Jesus and Mary Chain reinterpretation of post-punk) never stuns, disturbs or provokes: its intent is to arouse the feminine side of alternative rock.
[R.T.]

venerdì 9 marzo 2018

Tuna de Tierra - Tuna de Tierra


Tuna de Tierra - Tuna de Tierra
(Argonauta Records, 2017)

Il peyote fa capolino, timidamente, dalla sabbia del deserto. Se i suoi semi sono stati considerati la porta per comunicare con le divinità per alcune culture di nativi americani dediti allo sciamanesimo, le sue radici sono così profondamente conficcate nel terreno da esser ammirate per la caparbia capacità di sopravvivere in un ambiente estremo come quello arido e desolato del Centro America. Il trio napoletano Tuna de Tierra ci fa assaporare le proprietà (sia lisergiche, sia di resistenza a testa alta in un ambiente sovraffollato come quello stoner) del cactus più noto della cultura psichedelica, con un disco in cui il tempo si dilata e il confine tra l'Io e l'ambiente si sfuma. Ispirandosi a tale pianta sia per il loro nome, sia per la copertina del full lenght d'esordio, i Tuna de Tierra ci regalano un desert rock che ondeggia come nubi di sabbia sollevate dal vento caldo, e solo a tratti assume le forme rocciose e pesanti dello stoner rock di scuola Kyuss, mantenendo più spesso quelle rilassate e serafiche dei Colour Haze. La dose di mescalina assunta non è elevata, e l'effetto indotto dalla band è leggero, morbido ed avvolgente. Più che essere abbagliati dal Sole rovente in un mezzogiorno di fuoco, siamo riscaldati dai suoi tiepidi raggi al crepuscolo, mentre la roccia lentamente si tinge di rosso. E nell'intreccio di arpeggi liquidi, si respira perfino l'aria fresca di una sorgente d'acqua. Manca giusto qualche granello di polvere in più nelle corde vocali del cantante per rendere perfetto questo album musicalmente affascinante, viaggio (volutamente) senza meta attraverso la vastità dei deserti centroamericani.
[R.T.]
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Tuna de Tierra - Tuna de Tierra
(Argonauta Records, 2017)

Peyote peeps out shyly from the desert sand. If its seeds were considered the gateway to communicate with deities by some Native American cultures dedicated to shamanism, its roots are so deeply embedded in the ground that they are admired for the stubborn ability to survive in an extreme environment like the arid desolate Central America. Neapolitan trio Tuna de Tierra makes us taste the properties (both lysergic and of proud resistance in an overcrowded environment such as the stoner one) of the best known cactus of the psychedelic culture, thanks to an album in which time expands itself and the border between the ego and the environment fades. Inspired by this plant both for their own name and for the cover of their debut full lenght, Tuna de Tierra give us a desert rock that sways like sand clouds raised by the hot wind, and only occasionally takes the rocky heavy shapes of the stoner rock of Kyuss school, keeping more often those relaxed and seraphic ones typical of Colour Haze. The dose of mescaline is not high, and the effect induced by the band is light, soft and enveloping. Rather than being dazzled by the burning sun in a noon of fire, we are warmed by its lukewarm rays at sunset, while the rock slowly turns red. And in the intertwining of liquid arpeggios, you can even breathe the fresh air of a source of water. Just a few grains of dust are missing in the vocal cords of the singer to make perfect this musically fascinating album, (deliberately) aimlessly travel through the vastness of Central American deserts.
[R.T.]

mercoledì 7 marzo 2018

Calibro 35 - 24.02.2018 - FLOG (Firenze)


Calibro 35 - 24.02.2018 - FLOG (Firenze)

Una novantina di minuti il set. Proprio come i film degli anni '60/'70 di cui si nutrono i Calibro 35 e di cui la loro musica ha sempre più la forma. Perché la musica di questa band è sempre più colonna sonora e film al tempo stesso. La capacità evocativa ed espressiva delle loro canzoni è sempre più netta. E dal vivo questa sensazione è super-amplificata.

Il loro ultimo album, Decade, è appena uscito, e questo è il tour che lo presenta in tre settimane su e giù per la nostra penisola. Ma quella di stasera è una serata ancor più speciale, poiché è una delle tre in cui la band sale sul palco in versione "allargata". Non solo i 4 membri ufficiali (più Colliva ai suoni), ma anche sei - incredibili! - musicisti come nelle registrazioni dell'ultimo album. Il valore aggiunto di questa formazione "più più" si sente tutto, ed il concerto di stasera ne acquista in bellezza, sia dal punto di vista musicale sia da quello del coinvolgimento, dell'evento in sé.

La prima parte del lungo set (perché oltre ai 90' "ufficiali", c'è quasi un'altra mezzora dedicata ai bis richiesti a gran voce dal pubblico!) è dedicata appunto a Decade, eseguito senza soluzione di continuità fino alla sua decima traccia. L'ultima, stupenda, Travelers chiuderà la prima ora e mezzo di scaletta giacché, come dice anche Enrico Gabrielli, "tutto ha una fine". Nello iato che interrompe la continuità di questo album, una miscellanea dagli altri dischi, in cui tutte le canzoni risultano impreziosite dal contributo degli Esecutori di Metallo su Carta. E nel gran secondo finale, c'è anche spazio per le presentazioni e gli assoli di tutti i musicisti sul palco: un tocco vintage che sottolinea ancora una volta la natura retrò (eppure contemporaneissima) della band nata 10 anni fa in uno studio di registrazione in quel di Milano per rendere omaggio alle grandi colonne sonore dei film poliziotteschi e di genere made in Italy degli anni 60/70 e che poi è diventata una interessantissima realtà fatta di brani originali. Per me che in quegli anni non ero nemmeno un'idea, i Calibro 35 sono il ponte ideale fra questo presente e quel passato. Un ponte fatto di grande musica e grandi musicisti, che dal vivo è capace di trasportarti avanti ed indietro nel tempo, ma anche nello spazio, verso mondi reali e distanti, ma anche verso realtà immaginarie eppure così vicine.
[E.R.]

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Calibro 35 - 02.24.2018 - FLOG (Firenze)

Ninety minutes the set. Just like the 60s/70s movies that feed Calibro 35, whose music is increasingly getting that shape. Because the music of this band is more and more soundtrack and movie at the same time. The evocative and expressive capacity of their songs is increasingly clear. And live this feeling is super-amplified.

Their latest album, Decade, has just been released, and this is the tour presenting it in three weeks up and down our peninsula. But tonight is an even more special night, because it is one of three in which the band goes on stage in its "extended" version. Not only the 4 official members (plus Colliva mixing the sounds), but also six - incredible! - musicians as in the recordings of their brand new album. The added value of this super lineup is evident, and tonight's concert gains in beauty, both from a musical point of view and from that of involvement, of the event itself. 

The first part of the long set (because in addition to the "official" 90 minutes, there is almost another half hour dedicated to the encores loudly requested by the audience!) is dedicated to Decade, performed seamlessly up to its tenth track. The last, beautiful, Travelers will close the first hour and a half of the setlist because, as Enrico Gabrielli also says, "everything has an end". In the hiatus that interrupts the continuity of this album, a miscellany from the other records, in which all songs are embellished by the contribution of the Esecutori di Metallo su Carta. And in the second grand final, there is also time for presentations and solos of all the musicians on stage: a vintage touch that once again underlines the retro (yet very contemporary) nature of the band born 10 years ago in a recording studio in Milan to pay homage to the great soundtracks of the 60s/70s made in Italy poliziotteschi films and then became a very interesting reality made of original songs. For me that in those years I was not even an idea, Calibro 35 are the ideal bridge between this present and that past. A bridge made of great music and great musicians, able to carry you back and forth in time, but also in space, to real and distant worlds, but also to imaginary and yet so close realities.
[E.R.]


lunedì 5 marzo 2018

Corrosion of Conformity – Blind


Corrosion of Conformity – Blind
(Relativity, 1991)

“Some man recently asked me how it was possible for me to speak of disparity and injustice in the world when I’m a middle-class, white male. You don’t have to eat shit to know that it tastes bad.” K. Agell
I Corrosion of Conformity dei primi anni '90 sono una band nuova. Solo la batteria di Reed Mullin e la chitarra di Woody Weatherman sono rimaste al loro posto. Eppure l’energia violenta e l’assenza di compromessi tipiche dell’hardcore e del thrash metal degli esordi sono ancora presenti, e non solo nei testi del nuovo cantante Karl Agell (“cercasi cantante via di mezzo tra James Hetfield, Ian Gillian e H.R. dei Bad Brains” diceva l’inserzione). Adesso, però, hanno una forma completamente diversa. Sono compresse e condensate in macigni sabbathiani di matrice blues e in sfuriate degne dei quattro cavalieri. Questa elevatissima pressione ne ha modificato i contorni fino a generare riff nei quali l’energia non riesce ad esser contenuta, schizzando via incontrollabile. Il risultato è un groove portentoso, che corre all’impazzata tra i mid tempo della sei corde del neo arrivato Pepper Keenan. Groove che rappresenta il seme dal quale nascerà gran parte della musica pesante degli anni '90 (sia che si parli di stoner, sludge, groove metal o grunge). Abrasivo, acido, incazzato, potente e travolgente, Blind è tutto ciò che i Metallica post Black Album avrebbero voluto suonare, senza però riuscirci.
[R.T.]
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Corrosion of Conformity – Blind
(Relativity, 1991)

“Some man recently asked me how it was possible for me to speak of disparity and injustice in the world when I’m a middle-class, white male. You don’t have to eat shit to know that it tastes bad.” K. Agell
In the early 90s Corrosion of Conformity are a new band. Only Reed Mullin's drums and Woody Weatherman's guitar remained in place. Yet the violent energy and the absence of compromises typical of the hardcore and thrash metal of the beginning are still there, and not only in the lyrics of the new singer Karl Agell ("we are looking for a singer halfway between James Hetfield, Ian Gillian and H.R. of Bad Brains" the ad said). Now, however, they have a completely different form. They are compressed and condensed in Sabbathian blues-style boulders and in outbursts worthy of the four horsemen. This very high pressure has changed the contours up to the point of generating riffs in which energy can not be contained, bolting away uncontrollably. The outcome is an extraordinary groove, running wildly through the mid tempo of the newly arrived Pepper Keenan's six-string. Groove which represents the seed from which most of the heavy music of the 90s will be born (whether you are talking about stoner, sludge, groove metal or grunge). Abrasive, acid, pissed off, powerful and overwhelming, Blind is all that post Black Album Metallica would have liked to play, but without succeeding.
[R.T.]

giovedì 1 marzo 2018

Humulus + Supernaughty - 17.02.2018 - Fuzz'N'Roll Fest - Cecina (LI)


Humulus + Supernaughty - 17.02.2018 - Fuzz'N'Roll Fest - Cecina (LI)

Terzo episodio della Fuzz'N'Roll Fest ad alto contenuto di stoner. Un bel contrasto con la giornata umidissima e piovosa, che però non ha fermato i fedeli ascoltatori delle sonorità sabbiose e arroventate di californiana provenienza.

In apertura Supernaughty, per il release party del loro primo album Vol. 1 (Argonauta Records). Dritto per dritto, il quartetto livornese spara le sue cartucce fatte di canzoni dirette e incisive, prettamente stoner, ma arricchite da un bel background di rock e doom anni '70. Peccato per alcuni problemi alla voce (volumi altalenanti, che alteravano la resa e la continuità del cantato), che non hanno reso giustizia all'ottima prestazione ascoltata su disco. Davvero ottima, invece, la chitarra solista (Filippo Del Bimbo), con riff, fraseggi ed assoli sempre ricercati e ben suonati. Band perfetta per surriscaldare l'atmosfera della serata.

Il trio bresciano/bergamasco degli Humulus innalza poi ulteriormente il livello di stoner della serata. Stoner sì, e di quello potente e carichissimo di groove. Ma anche arroventate parti blues e dilatazioni psichedeliche dalle sonorità davvero seducenti e coinvolgenti. Si sente decisamente il passo in avanti compiuto con l'uscita del loro secondo album Reverently Heading Into Nowhere (2017), che ha segnato la maturazione di un suono e di uno stile più personale e sfaccettato. Chitarra, basso e batteria escono compatte e potenti dal palco, e travolgono il pubblico come farebbero il rinoceronte e l'elefante delle loro copertine. Suoni pachidermici, ma anche puliti e chiari in tutte le loro sfumature. Perfetta e davvero bellissima la voce di Andrea Van Cleef, il cui timbro caldo e potente si adatta perfettamente ai diversi registri delle canzoni degli Humulus, risultando quindi ad un tempo potente e piena, ma anche graffiante e sussurata.

E se a fine serata la pioggia era ancora lì ad aspettarmi, per noi che eravamo lì sotto al palco, almeno durante quelle due ore di concerto la pioggia e l'inverno erano spariti.
[E.R.]

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Humulus + Supernaughty - 02.17.2018 - Fuzz'N'Roll Fest - Cecina (LI)

Third chapter of Fuzz'N'Roll Fest with a high stoner content. Cool contrast to the wet and rainy day, yet not stopping the faithful listeners of the sandy red-hot sounds of Californian origin.

Opening Supernaughty, for the release party of their first album Vol. 1 (Argonauta Records). Straight for straight, the quartet from Livorno shoots its cartridges made of direct incisive songs, essentially stoner, but enriched by a great background of 70s rock and doom. What a pity for some problems with the voice (fluctuating volumes, which altered the performance and the continuity of the song), which did not do justice to the excellent performance of the recordings. Really excellent, instead, the solo guitar (Filippo Del Bimbo), with always refined and well played riffs, phrasings and solos. Perfect band to overheat the atmosphere of the evening.

Trio from Brescia/Bergamo, Humulus then further heightens the stoner level of the evening. Stoner yes, mighty and super-groovy. But also blazing blues passages and psychedelic dilatations with really seductive engaging sounds. There is definitely a step forward in the release of their second album Reverently Heading Into Nowhere (2017), which marked the maturation of a more personal and multifaceted sound and style. Guitar, bass and drums come out compact and powerful from the stage, overwhelming the audience as would the rhino and the elephant of their cover artworks. Pachydermish sounds, but also clean and clear in all their nuances. Perfect and really beautiful Andrea Van Cleef voice, whose warm and powerful timbre is perfectly suited to the different registers of Humulus songs, thus resulting at once mighty and full, but also scratchy and whispered.

And if at the end of the evening the rain was still there waiting for me, for us who were there under the stage, at least during those two hours of concert, rain and winter were gone.
[E.R.]