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martedì 28 giugno 2016

Beastmaker - Lusus Naturae


Beastmaker – Lusus Naturae
(Rise Above Records, 2016)

C’era proprio bisogno di un’altra band che suonasse come i primi Black Sabbath? La risposta è “sì” se questa band suona come i Beastmaker. Riprendendo immaginario, suoni e atmosfere del doom primigenio della band di Birmingham (e delle sue più dirette emanazioni, come ad esempio i Saint Vitus), questo gruppo californiano compone un ottimo disco di heavy metal polveroso. Sta all’ascoltatore decidere se tale polvere è sinonimo di vecchio e stantio (come un film horror di 50 anni fa, già visto mille volte e troppo lento per essere apprezzato nel nuovo millennio) oppure di misterioso e affascinante (come un film horror di 50 anni fa, che non invecchia mai ad ogni visione e che anzi guadagna sempre più fascino arcano proprio perché sempre più distante dalla realtà di tutti i giorni). Lusus Naturae è un disco costruito su riff dal groove trascinante (nonostante il loro incedere rallentato e pesante) - che non suonano mai “già sentiti” per quanto chiaramente incanalati nel genere di riferimento - intervallati a cupi arpeggi e acide melodie vocali (a metà tra il primo Ozzy, gli Alice in Chains e i Goatsnake). Un album esplicitamente ispirato all’immaginario occulto e horrorifico dei film di Mario Bava. Per tutti gli appassionati della polvere.
[R.T.]

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Beastmaker – Lusus Naturae
(Rise Above Records, 2016)

Did we really need another band reminiscent of the early Black Sabbath? the answer is "yes" if this band sounds like Beastmaker. Evoking the imagery, sounds and atmospheres of the doom of the band from Birmingham (and of its more direct descendants such as Saint Vitus), this Californian band releases a great album of dusty heavy metal. It is up to the listener to decide whether this "dust" is synonymous of old and musty (like a 50 years old horror movie, watched too many times and too slow to be appreciated in these days) or it is instead synonymous of misterious and fascinating (like a 50 years old horror movie which does not get older with viewings and that on the contrary grows in arcane charm exactly because it is more and more distant from everyday reality). Lusus Naturae is an album built on enthralling groovy riffs (in spite of their heavy slowed down gait) - which never sound obvious or boring even though clearly part of their inspirational genre - alternating with gloomy arpeggios and acid vocal lines (halfway between the early Ozzy, Alice In Chains and Goatsnake). An album explicitly inspired by the occult horror images of Mario Bava movies. For all "dust" lovers.
[R.T.]

sabato 25 giugno 2016

Conan - Revengeance



Conan – Revengeance
(Napalm Records, 2016)

Lo sludge più grezzo sta attirando le attenzioni degli appassionati di musica pesante grazie alla sua riscoperta della primordiale forza bruta insita nel metal, ma anche grazie alla sua genuina ed ironica esaltazione degli eccessi di volgarità sonora, liberi da malvagità e oscurità ostentate dai sottogeneri più neri del mondo metal. Revengeance, terzo disco degli inglesi Conan, è perfetto esempio della direzione verso cui si sta spingendo la musica pesante degli ultimi anni. E’ infatti un gigante che si muove al passo lento e schiacciante dei riff di chitarra (dall’accordatura ultra ribassata) di Jon Davis, in un paesaggio desertico e roccioso, quasi preistorico, tra le urla grevi degli uomini delle caverne (lo stesso Davis e il bassista/cantante Chris Fielding). Al di là delle caratteristiche che lo inquadrano nel filone riconducibile a Crowbar, High on Fire e primi Mastodon, ciò che rende Revengeance un lavoro personale è il perfetto contrasto tra l’incedere magmatico e psichedelico delle composizioni e il loro dinamismo ritmico (grazie al nuovo arrivato dietro le pelli, Rich Lewis). Al di là delle vulcaniche esplosioni hardcore della title track e di Throne of Fire, in cui questo contrasto è esplicito, anche il lato più doom e oppressivo del disco è reso trascinante, vario e imprevedibile dal lavoro di Lewis che controbilancia le bordate rallentate di Davis e Fielding. Una passeggiata nella preistoria più verace, e dunque nella musica di questo secondo decennio di nuovo millennio.
[R.T.]

Conan – Revengeance
(Napalm Records, 2016)

The roughest sludge is attracting many lovers of the heavy sounds thanks to its rediscovery of the primordial brutal force of metal, but also thanks to its genuine ironic exaltation of the excesses of sonic vulgarity, free from the wickedness and obscurity of the darkest subgenres of the metal world. Revengeance, third album of the English Conan, is the perfect example of the direction followed by heavy music in these last years. Indeed, it is a giant moving with the slow and crushing steps of Jon Davis (ultra lowered tuned) guitar riff, in a rocky desertic - almost prehistoric - landscape, among the heavy, stifling screams of cavemen (Davis himself, together with bassist/singer Chris Fielding). Beyond those features fitting it in the same current of Crowbar, High On Fire and the early Mastodon, what makes Revengeance a personal original work is the perfect contrast between the psychedelic magmatic gait of the songs on a side and their rhythmic dynamism (thanks to the new drummer, Rich Lewis) on the other. Beyond the hardcore volcanic explosions of the titletrack and Throne of Fire - making explicit this contrast - also the most oppressive and doom side of the album is made compelling, diverse and unpredictable thanks to Lewis counterbalancing the slowed down strokes of Davis and Fielding. A walk through the most veracious prehistory, and therefore into the music of this second decade of the new millennium.
[R.T.]

mercoledì 22 giugno 2016

Farflung + Gordo + Black Snake Moan – 18.06.2016 – Viterbo (Secret Show)



Farflung + Gordo + Black Snake Moan – 18.06.2016 – Viterbo (Secret Show)

La Gorilla’s Family riesce ad accaparrarsi l’ultima data del tour europeo dei Farflung e le riserva un fantastico secret show. La location è semplicemente perfetta e l’atmosfera che si respira – complici i padroni di casa/organizzatori dell’evento – è un mix ideale di convivialità, voglia di divertirsi e passione per la musica. Esattamente lo spirito giusto per il concerto di una band che ha fatto del viaggio – mentale e lisergico – l’essenza stessa del suo suono.

Il buio è sceso da poco quando attacca Black Snake Moan. One man band (il primo!) dalla Tuscia, il suo è un blues a tratti malinconico a tratti più tirato, che si muove a dorso di mulo attraverso i cactus e la polvere di un qualche deserto di cui non si conosce il nome, e che regala alcune aperture lisergiche (in stile Doors) davvero interessanti. Azzeccato preludio che introduce la giusta atmosfera per questa serata.

Ma le calde e ondeggianti note dell’introduzione vengono repentinamente spazzate via dalle mitragliate dei Gordo. Sulla loro pagina FB riportano come definizione del loro sound “come i Carcass che suonano i Jethro Tull” e forse forse quest’espressione dà un’idea di ciò che è in serbo per l’ascoltatore. Basso, batteria e piano, il loro suono è la commistione di generi ed influenze i più diversi e disparati, che fusi insieme creano qualcosa di nuovo e di perfettamente equilibrato nel suo delirio (senza ricordare altre bands incentrate sul binomio basso-batteria come gli Zu e i loro “cloni”, riuscendo a creare un proprio stile personale). Se il basso si nutre di riffs che attingono a certo stoner, il piano (chiamarlo tastiera è quasi riduttivo, o quantomeno fuorviante) si sorregge su strutture che richiamano il repertorio classico e una buona dose di prog anni 70. La batteria, poi, è una macchina da guerra hardcore, punto d’incontro delle forze ad un tempo attrattive e respingenti del trio milanese. Il pubblico (Farflung compresi!) apprezza tantissimo e li “costringe” ad un bis. Io attendo il loro album e spero davvero di risentirli presto in concerto!

Ed eccoci al momento in cui il tempo si dilata e si sfilaccia, deformandosi e deformando anche lo spazio in cui ci troviamo: i Farflung inondano i presenti con la liquidità e sinuosità del loro space rock super psichedelico  venato di stoner. Capitanati da Tommy Grenas – storico membro e co-fondatore della band losangelina – i 6 musicisti danno vita ad un concerto davvero spaziale. La sinergia dei membri dei Farflung è infatti qualcosa di unico. Naturalmente un po’ provati dopo 24 concerti in 24 giorni – e con una Abby Travis visibilmente raffreddata! – il loro live è impeccabile: ogni strumento risuona distintamente, ogni effetto scandisce la propria voce, il tutto si amalgama perfettamente e la musica sprigionata rapisce l’ascoltatore. Se tutti sono grandi musicisti, è pur vero che Grenas è quello che mi colpisce e conquista maggiormente: la voce in un multistrato di effetti, i synth sempre puntuali, la sua capacità di coordinare perfettamente la moltitudine di linee sonore intessuta dai vari componenti della band. Un grande musicista e una sorta di direttore d’orchestra space elettronica. Sono passati più di 20 anni dall’uscita di 25,000 Feet Per Second, il suono si è evoluto (ma non si è mai snaturato) e – ad eccezione di Grenas ed Ether – la formazione ha subito numerosi cambi, ma i Farflung hanno ancora tanto da dire (e l’appena uscito 5 ne dà lampante conferma!) e soprattutto sanno regalare un live di puro space rock psichedelico come se ne trovano pochi in circolazione.
[E.R.]


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Farflung + Gordo + Black Snake Moan – 06.18.2016 – Viterbo (Secret Show)

Gorilla’s Family manages to get the last date of Farflung European Tour: an amazing secret show. Location is simply perfect. Thanks to the hosts/event organizers, the atmosphere is the ideal mix of conviviality, will to have fun and passion for music. Exactly the right mood for the concert of a band that has made the (mental and lysergic) trip the very essence of its sound.

It just got dark when Black Snake Moan starts to play. One man band (the first one!) from Tuscia, his blues sounds sometimes melancholic sometimes a bit more groovy: it moves on a back of a mule through cactus and the dust and sand of a desert with an unknown name, and it has some really interesting lysergic (in Doors style) openings. Apt prelude for the attitude of this night.

But the warm wavy notes of the introduction are suddenly swept away by Gordo and their bursts of machine gun fire. On their FB page they report the definition of their sound as “like Carcass playing Jethro Tull” and maybe this expression gives an idea of what awaits the listener. Bass, drums and piano, their sound is the mingling of many different genres and influences capable of creating something new and perfectly balanced in its delirium (without being reminiscent of other bands focused on the bass/drums pairs like Zu and their “clones”, and having their own personal style). If the bass feeds on stoner-like riffs, the piano (calling it keyboards it is almost reductive, o at least misleading) stands upon classical music and 70s prog rock. Drums are a hardcore war machine, meeting point of the forces of the trio from Milan: forces which are at the same time attractive and distancing. The audience (Farflung included!) enjoys their gig a lot and asks them an encore. Personally, I am waiting for their album, hoping to attend to one of their concerts very soon.

And here we are at the moment in which time dilates, getting deformed and deforming the space in which we are: Farflung flood all those present with the fluidity and sinuousity of ther super psychedelic space rock, flavoured with stoner. Captained by Tommy Grenas – historical member and co-founder of the band from LA – the 6 musicians perform a really amazing space concert. The synergy of Farflung members is something unique, indeed. Naturally a bit tired after 24 gigs in 24 days – and with Abby Travis visibly having a cold! – their show is flawless: each musical instrument vibrates distinctly, each effect clearly articulates its voice, the whole perfectly amalgamates and their music enchants the listener. If all of them are great musicians, I have to admit that Grenas is the one who mostly impresses me: his voice in a multilayer of sound effects, synths always perfect, his abililty to masterly coordinate the multitude of sonic lines of all the members of the band. A great musician and a sort of electronic space conductor. More than 20 years since the release of 25,000 Feet Per Second, the sound has evolved (but it has never lost its nature) and – with the exception of Grenas and Ether – there have been many changes in the line-up, yet Farflung has still a lot to say (and the just released 5 gives striking confirmation!) and above all they are able to perform a concert of pure psychedelic space rock that has got few equals.
[E.R.]


venerdì 17 giugno 2016

Black Rainbows – Stellar Prophecy


Black Rainbows – Stellar Prophecy
(Heavy Psych Sounds, 2016)

A un anno dall’uscita di Hawkdope, i Black Rainbows sorprendono con la pubblicazione di Stellar Prophecy. Non solo per l’uscita così ravvicinata rispetto al suo predecessore (ed è inoltre da sottolineare il fatto che siano stati entrambi registrati nell’estate 2014), ma anche perché forse il nuovo album riesce perfino a spingersi ancora un passo oltre. Intatta la potenza ed il tiro distintivi del trio romano, Stellar Prophecy cala sul tavolo da gioco alcune nuove carte vincenti. Prima fra tutte la spinta sull’acceleratore delle sonorità settantiane. E quando in un pezzo come Woman ti ritrovi nelle orecchie il suono dell’hammond, capisci che ti stai avventurando anche nei territori di certo hard rock targato “70”.  Se poi a ruota ci sono i quasi 12 minuti di puro space rock di Golden Widow, è evidente che la posta in gioco è davvero alta: o sei di fronte ad un baro, o il giocatore che hai davanti ha davvero una grande mano di carte. E non c’è dubbio che la risposta è la seconda. Incredibilmente riuscito è infatti l’equilibrio di immediatezza e groove da un lato, e di aperture lisergiche e space dall’altro. Basti pensare all’alfa-omega costituito dalla opener Electrify – fuzzosa, tiratissima, perfetta intro stoner/hard rock – e dalla conclusiva Travel (quasi una Part 2 di Golden Widow) – viaggio cosmico, spersi in spazi siderali, in loops di soundscapes onirici e psichedelici. Se dietro a tutto questo c’è la maturità e l’affiatamento di un grande power trio, è al tempo stesso innegabile il ruolo di primo piano di Gabriele Fiori: i Black Rainbows sono la sua creatura musicale, sempre più caratterizzata dalla sua chitarra (i suoi riffs e i suoi assoli sono ad un tempo il centro e l’intelaiatura di tutte le canzoni) e dalla sua voce - effettatissima, allucinata/allucinante, sospesa in una bolla straniante. Il tutto racchiuso dallo stupendo artwork di SoloMacello. 
Di quanto verrà alzata la posta alla prossima mano di carte?
[E.R.]

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Black Rainbows – Stellar Prophecy 
(Heavy Psych Sounds, 2016)

Just one year after the release of Hawkdope and Black Rainbows surprise their fans with the release of the brand new Stellar Prophecy. A surprise not only because of the extremely short lapse of time between the two albums (and it has to be stressed the fact that they were both recorded during summer 2014), but also because maybe the new full-length goes even beyond its predecessor. Intact the might and groove typical of the trio from Rome, Stellar Prophecy plays new winning cards on the playing board. First of all the push on the accelerator of 70s sounds. And when listening to Woman you get in touch with hammond chords, you realize that you are venturing in the lands of certain branded “70s” hard rock. Considering the following 12 minutes of pure space rock of Golden Widow, it is clear that you are in front of high stakes. There are only two possibilities: you are facing a cheater or you are in front of a player with a great hand. No doubt that the answer is the second one. The balance between immediacy and groove on a side, and space lysergic openings on the other, is really successful. Only think about the alpha-omega of the opener Electrify – fuzzy, direct, perfect stoner/hard rock intro – and the final Travel (almost a Part 2 of Golden Widow) – a cosmic trip, lost in the outer space, in loops of oneiric psychedelic soundscapes. If behind all this there is the maturity and cohesion of a great power trio, at the same time it is undeniable the leading role of Gabriele Fiori: Black Rainbows are his musical creature and they are increasingly characterized by his guitar (his riffs and solos are both the center and the framework of all songs) and his voice – super-distorted, hallucinated/hallucinating, suspended in an alienating bubble. The whole enclosed in the amazing artwork by SoloMacello.
How much will be raised the stakes at the next hand?
[E.R.]

mercoledì 15 giugno 2016

Giöbia – Magnifier


Giöbia – Magnifier
(Sulatron-records, 2015)

Per il rock psichedelico la fuga dalla realtà è stata spesso un’esigenza indotta dal desiderio di uscire dalle coordinate convenzionali e socialmente accettate. E come tutti i viaggi verso l’ignoto, anche l'avventura lisergica può portare allo smarrimento. Evaporate le illusioni luminose della summer of love, hanno fatto la loro comparsa numerosi esploratori del lato oscuro e misterioso dell’esperienza psichedelica. I milanesi Giöbia si inseriscono in questa corrente con un disco di space rock lisergico dal magnetismo sinistro. Anche se edificata su solide strutture rock, giunta al quarto disco la musica della band è una lente di ingrandimento che deforma la realtà, dilatandola e comprimendola con fluttuanti sintetizzatori, amplificando lo spazio (e il tempo) con cascate di echi e riverberi. Vorticosamente trascinati dal basso di Paolo Detrij Basurto, i brani di Magnifier possiedono un affascinante senso di vertigine. Gli accenni elettronici (a tratti quasi kraut rock) non fanno che amplificare l’effetto stordente di questa droga. Un bad trip tanto ammaliante quanto inquietante, che si dimostra uno dei più convincenti lavori psichedelici di questi ultimi tempi.
[R.T.]

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Giöbia – Magnifier
(Sulatron-records, 2015)

For psychedelic rock the escape from reality has often been a need induced by the desire to get out of conventional, socially accepted coordinates. And as in all journeys into the unknown, also the lysergic adventure may result in getting lost. Evaporated the bright illusions of the summer of love, many explorers of the dark mysterious side of the psychedelic experience made their appearance. Giöbia fit in this trend with a lysergic space rock album with a sinister magnetism. Although built upon solid rock structures, with its fourth full-lenght the music of the band from Milan is a magnifying glass deforming reality, making it dilated or compresses through floating synths, amplifying space (and time) with waterfalls of echoes and reverbs. Dragged into whirlwinds by Paolo Detrij Basurto bass guitar, Magnifier songs possess a fascinating sense of vertigo. The electronic (almost kraut rock like) touches enhance the stunning effect of this drug. A bewitching as much as disturbing bad trip which proves to be one of the most worthy psychedelic work in recent times.
[R.T.]

domenica 12 giugno 2016

Mr. Bison - Asteroid


Mr. Bison - Asteroid
(Subsound Records, 2016)

Non è un caso che una località dal nome La California si trovi nei dintorni di Livorno. Infatti i livornesi hanno quello spirito positivo, spaccone, divertito solitamente associato agli americani della West Coast. E non è un caso se proprio dai dintorni di Livorno proviene una band dal suono americano come i Mr. Bison.  Nelle dieci canzoni del loro secondo disco - Asteroid - il trio propone un dinamico stoner rock che sembra provenire dalle assolate highways americane, anziché dai tornanti che sovrastano le scogliere del Romito. Ma il senso di libertà ed energia trasmesso da questo album non è mai emulazione, perché la band ha personalità e carattere. Trascinati da una batteria potente, vorticosa e ricca di fantasia (affidata ad un pisano!) si cavalca una moto a tutta velocità, tra riffs dal groove travolgente (sostenuti dai suoni massicci di due chitarre che fanno anche le veci del basso) e due voci calde e complementari. Qualche accenno space rock rimanda ai Monster Magnet, ma ciò che è più evidente è il tiro dei Queens of the Stone Age, e l’immediatezza melodica dei The White Stripes. Asteroid è un disco dal dinamismo quasi funky che parte da un hard rock velato di blues per sfociare in uno stoner che odora di anni 90. Diretto, carico e divertente: in puro spirito livornese - o “californiano”!
[R.T.]
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Mr. Bison - Asteroid
(Subsound Records, 2016)

It cannot be a coincidence if there is a place named La California in Livorno surroundings. Indeed, people from this area own the positive amused spirit usually associated with the Americans from the West Coast. And it cannot be a coincidence if a band with such an American sound as Mr. Bison are comes exactly from this area. In the ten songs of their second album – Asteroid – the trio plays a dynamic stoner rock that seems to come out from the sunny American highways, rather than from the hairpin bends on Romito cliffs. Yet the sense of freedom and energy expressed by this album is never emulation, because the band owns personality and temperament. Dragged on by powerful, whirling and imaginative drums (played by a drummer from Pisa!) you are going to find yourself riding a motorbike at full speed, among riffs with overwhelming groove (sustained by the massive sound of two guitars also taking the place of the bass) and two hot and complementary voices. Some space rock references recall Monster Magnet, yet what is most evident is Queens of the Stone Age groove and The White Stripes melodic immediacy. Asteroid is an album with an almost funky dynamism that starts from a blues-oriented hard rock to flow into the stoner rock of the 90s. Direct, groovy, funny: in pure spirit of the Livorno (or California?) area!
[R.T.]

venerdì 10 giugno 2016

Ufomammut + Karl Marx was a Broker + Green Oracle – 27.05.2016 – Cycle Club, Calenzano (FI)




Ufomammut + Karl Marx was a Broker + Green Oracle – 27.05.2016 – Cycle Club, Calenzano (FI)

Gli Ufomammut tornano sul palco del Cycle a distanza di un anno e mezzo dall’ultima volta (la data fiorentina del Magickal Mastery Tour – serie di concerti di supporto al dvd live XV, pubblicato appunto per i loro 15 anni di attività – a fine novembre 2014). E forti della pubblicazione del loro album più diretto - Ecate - propongono uno show ancor più devastante e viscerale.

La serata la inaugura un trio di recente formazione: Green Oracle. Due pezzi, trenta minuti di viaggio - fra sonorità doom e sludge, venate di atmosfere lisergiche. A creare uno stacco netto tra la prima trascinante canzone e la seconda, il “preludio” di quest'ultima, dal sapore di un mantra - con ospite femminile alla voce, didgeridoo e cimbali tibetani. Il basso è il cuore pulsante di questo trio: da qui sgorgano tanto l’onda ritmica quanto la marea delle melodie. Formazione davvero interessante, di cui non resta che attendere registrazione ed uscita dell’opera prima.

Cambio repentino di sonorità con l’ingresso sul palco dei pistoiesi Karl Marx was a Broker – stasera in formazione “duo” anziché trio, con l’assenza di Stefano Tocci (chitarra/synth) simpaticamente segnalata da una sua foto collocata sul palco in sua vece. Basso, batteria e un tappeto di synth e samplers per un set dinamicissimo e super-ritmato che si muove con disinvoltura a cavallo di più generi (prog, math rock, post hardcore…), con contaminazioni davvero efficaci e a tratti quasi “catchy” nonostante la violenza di alcuni passaggi. Tecnicamente molto preparati, soffrono solo di qualche imprecisione sulla batteria – magari dovuta proprio all’insolita formazione “amputata” – che però non inficia l’impatto e il fascino tellurico della loro musica.

Si torna infine al binomio pesantezza/lentezza. Stavolta mi seguo gli Ufomammut attaccata al palco. E faccio bene. Perché mi ritrovo dentro ad Ecate - suonato sostanzialmente nella sua interezza - ed è come se anch’io fossi entrata dentro alle trame di questi incredibili pezzi. I suoni sono perfetti, come al solito, ed il trio di Tortona è impeccabile, come al solito. La perfetta alchimia di potenza e psichedelia è il loro tratto distintivo e questo è ancor più evidente nei concerti. L’immediatezza dei nuovi brani trova – sul palco – la sua forma ideale: l’incedere possente dei riff granitici e la cascata di distorsioni magmatiche esalta la componente stoner/doom 
della musica della band piemontese, senza per questo abbandonare le distintive atmosfere space e psych. Il finale di Daemons, con il suo synth evocativo e “horrorifico”, dal vivo ancora più che su disco, è qualcosa che ti entra dentro e lì si ferma, occupando orecchie e testa. Ogni nuovo live degli Ufomammut è per me l’ennesima riconferma del loro grande valore e della loro continua crescita artistica.  
 [E.R.]



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Ufomammut + Karl Marx was a Broker + Green Oracle – 05.27.2016 – Cycle Club, Calenzano (FI)

Ufomammut come back to the Cycle after a year and half since the last time on this stage (the end of November 2014, during the Magickal Mastery Tour – a series of gigs supporting live dvd XV). Thanks to their most direct release - Ecate – they perform an even more devastating and visceral show.

The evening is opened by a newly formed trio: Green Oracle. Two songs, thirty minutes trip – through doomy sludgy sounds veined with lysergic atmospheres. The “prelude” of the second song creates a sharp cut between the first enthralling piece and the second one – the taste of a mantra, with didgeridoo, Tybetan cymbals and female voice as a special guest. The bass is the heart of the trio: the source of both the rhythmic wave and the tide of melodies. Really interesting band: we just have to wait for the recordings and release of their debut.

Sudden change in sonority when Karl Marx was a Broker get on stage – tonight the band from Pistoia plays as a duo (they are a trio, indeed) and the absence of Stefano Tocci (guitar/synth) is ironically highlighted by his picture placed on stage in his stead. Bass, drums and plenty of synth and samplers for an ultra-dynamic and super-rhythmical set moving easily amongst many different genres (prog, math rock, post hardcore…), showing really effective influences, sometimes almost “catchy” in spite of the violence of some parts. Really skillful as musicians, they only suffer from some inaccuracies of the drums – maybe due to the unusual “amputated” lineup – which, however, do not affect the impact and telluric appeal of their music.

In the end we come back to the (perfect!) pair heaviness/slowness. Tonight I listen to Ufomammut stuck to the stage. And this is the best choice ever made. In fact I find myself inside Ecate – played in almost its entirety – and I feel as I was part of this stunning songs. Sounds are great (as usual!) and the trio from Tortona is flawless (as usual!). The perfect alchemy of intensity and psychedelia is their hallmark and their concerts make it even more evident. The immediacy of their new production finds its ideal form right on stage: the sturdy massive gait of granitic riffs and the waterfall of magmatic distortions enhance the stoner/doom side of the music of the band, yet without abandoning the distinctive space/psych atmospheres. With its evocative horror-tasted synth, the final part of Daemons gets in the depths of the listener, occupying both ears and mind - in concert even more than on recordings. Each new Ufomammut concert is yet another confirmation of their great worth and continous artistic growth.
 [E.R.]



domenica 5 giugno 2016

Locrian - Infinite Dissolution


Locrian – Infinite Dissolution
(Relapse Records, 2015)

Infinite Dissolution potrebbe essere la colonna sonora di un film post apocalittico sperimentale presentato al Sundance Festival. Un film in cui l’essere umano rimane vittima delle sue scelte, a causa della sua incapacità di valutazione delle conseguenze. Dopo aver depredato le risorse naturali del pianeta nel quale è nato, sarà travolto da ciò che ha generato e non ha saputo controllare. Il potere cinematografico della musica dei Locrian ci conduce in un futuro in cui i suoni del ciclo naturale sono soffocati da una cascata di rumori inumani, simili ad una pioggia di frammenti di vetro e circuiti in disfacimento. Nel caotico intreccio di synth, moog, elettronica e chitarre distorte, sopravvive però sempre un nucleo melodico che guida le composizioni fuori dalla tempesta, verso una luce di commovente speranza. Nell’oceano di droni elettrici e scosse elettroniche in cui galleggiamo alla deriva ci sono sia ondate post-black metal (alla Deafheaven) sia salvifiche isole di pace. Quest’ultime (caratterizzate da ambient e post-rock cosmico affine a quello dei Godspeed You! Black Emperor) fungono da salvagente per un’umanità che si fa largo tra strati di rumore con grida strazianti. Il film immaginato dal trio di Chicago non svela se questi barlumi siano solo malinconici miraggi o speranze di un destino diverso. La risposta dipende dalle scelte che decideremo di prendere.
[R.T.]
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Locrian – Infinite Dissolution
(Relapse Records, 2015)

Infinite Dissolution could be the soundtrack of an experimental post-apocalyptic movie in the bill of Sundance Festival. A movie in which human being is victim of his own choices, because of his inability to evaluate their consequences. Completed the plundering of natural resources of the planet in which he was born, he will be swept away by what he generated without being able to control it. The cinematographic power of Locrian music conducts us in a future in which the sounds of the natural cycle are suffocated by a waterfall of inhuman noises, similar to a rain of glass fragments and circuits in ruin. In the chaotic weaving of synths, moog, electronic and distorted guitars, a melodic core survives and guides the compositions outside the storm, towards a light of emotional hope. In the ocean of electric drones and electronic shocks in which we are drifting there are both post-black metal waves (in Deafheaven style) and salvific islands of peace. These ones (characterized by ambient and cosmic post rock similar to Godspeed You! Black Emperor one) act as a life jacket for the humanity that crawls among layers of noise with excruciating screams. The movie imagined by the trio from Chicago does not reveal if these glimmers are only melancholic mirages or hopes of a different destiny. The answer depends on the choices we will decide to make.
[R.T.]


giovedì 2 giugno 2016

Zippo - After Us


Zippo - After Us
(Apocalyptic Witchcraft, 2016)

Basta imbattersi nel muro di distorsione di Low Song per capire che gli Zippo cercano l’energia primigenia dei suoni valvolari, con la sua forza dirompente e immediata. Ma quando un arpeggio dissonante ipnotizza con i suoi riflessi la struttura del brano, scopriamo che la musica del gruppo ha anche una componente "mentale" oltre a quella fisica. Il quarto disco della band pescarese è un monolite con la base conficcata nella roccia più granitica, ma il cui vertice sprigiona una carica elettrica che sembra comunicare con lo spazio profondo. La title track è un perfetto esempio di questo contrasto tra pesantezza trascinante e melodie allucinate e dark-psichedeliche, sulla scia delle composizioni più possenti del grunge di Seattle. Per tutta la durata del disco la potente voce di Davide Straccione si divincola - con estrema padronanza delle sue capacità - tra melodie oblique, roboanti esplosioni di energia e caldissimi bisbigli da crooner, dimostrandosi l’arma in più posseduta dagli Zippo, di cui sono spesso privi anche i maggiori nomi del genere (Torche, per dirne uno). Rimasta con una sola chitarra, la band di Pescara ha dovuto reinventare il proprio sound, asciugando i grondanti intrecci melodici che la stavano accostando sempre di più alla musica di Mastodon e Baroness, per riallacciarsi allo stoner metal degli esordi. In questa evoluzione non viene rinnegata la ricerca spirituale dei lavori precedenti (evidente nelle atmosfere sciamaniche di Familiar Roads e di Stage 6), che viene però assorbita da brani più diretti e carichi. After Us è il disco più maturo degli Zippo, che si confermano una tra le più interessanti band del panorama metal alternativo (non solo italiano). 
[R.T.]
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Zippo - After Us
(Apocalyptic Witchcraft, 2016)

Just face the wall of distortions of Low Song and you immediately realize that Zippo are looking for the primal original energy of valvular sounds, with its direct and disruptive strenght. Then a dissonant arpeggio hypnotizes the structure of the song with its reflections and you discover that the music of the band has got also a "mental" part in addition to the physical one. The fourth album of the quartet from Pescara is a monolith with its base stuck in the granite, but with its vertex pointing to the deepest space. The title track is a perfect example of this contrast between enthralling heaviness and hallucinating dark-psychedelic melodies, in the wake of the mightiest songs of Seattle grunge. Throughout the whole album Davide Straccione voice moves through crooked melodies, resounding bursts of energy and crooner-like whispers and he proves to be the ace in the hole of Zippo, an added value of which often lack even the most renowned names of the genre (see Torche, just to mention a name). With one only guitar, the band from Pescara had to reinvent its sound, abandoning those melodic weavings close to Mastodon and Baroness music, referring back to the stoner metal of its early years. In this evolution there is still room for the spiritual research of the past full lenghts (evident in the shamanic atmospheres of Familar Roads and Stage 6), yet it is absorbed by more direct groovy songs. After Us is the most mature album by Zippo, who confirm to be one of the most interesting bands in alternative metal scene (and not only in the Italian one).
[R.T.]