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venerdì 30 novembre 2018

Zippo - Ode To Maximum (Reissue)


Zippo - Ode To Maximum (Reissue)
(Spikerot Records, 2018)

Nel 2006 avevo anch'io una band, con il secondo demo da poco in circolazione, che inviavo alle varie webzine per pareri e recensioni. Fra gli altri, lo inviai anche a Davide Straccione, il cantante degli Zippo. Zippo che proprio in quell'anno facevano uscire il loro primo album - Ode To Maximum - e che mi feci spedire proprio da Davide (che lo accompagnò con un biglietto nel quale si augurava che il disco mi piacesse, e mi prometteva che avrebbe ascoltato con attenzione e poi recensito il mio demo). Se mi è piaciuto l'album di esordio degli Zippo? Certamente, e non poco! E pensare che era solo il primo - ma già significativo - passo di una band che ha poi fatto uscire altri 3 album, sempre in continua crescita ed evoluzione, sulla spinta di una costante ricerca stilistica e musicale, sempre estremamente personale. Sono passati quasi 13 anni dall'uscita del'autoprodotto Ode To Maximum, e dopo circa un decennio di soldout, ecco che l'album di esordio viene ristampato dalla Spikerot Records, con una nuova fantastica veste grafica (opera di Davide Mancini - Dartworks), e per la prima volta in vinile. Non solo. La tracklist è arricchita da due bonus (Night Jam #2, versione alternativa/distorta della quinta traccia, registrata ai tempi di The Road To Knowledge, e July, cover degli Slo Burn), e il mastering è stato affidato a Tony Reed (Mos Generator, Stone Axe). Le canzoni non risultano stravolte dal remastering, bensì arricchite nella profondità e nell'attacco dei suoni, e di alcuni passaggi in particolare. Un nuovo suono che valorizza tanto la struttura e la costruzione dei pezzi, quanto la versatilità, bellezza e potenza delle linee vocali. Ma un altro aspetto estremamente interessante ed importante di questa ristampa, è che se da un lato dà la possibilità di conoscere da dove sono partiti gli Zippo per chi Ode To Maximum non l'ha mai posseduto (e magari neppure mai ascoltato), dall'altro lato offre l'opportunità a chi (come me) li conosce da sempre di rispolverare e riscoprire questo album, e di rilevare quanto sia ancora attuale e quanto contenga al suo interno molti dei semi successivamente sviluppatisi. Perché se il debutto degli Zippo è un un perfetto album stoner rock e una canzone come The Elephant March è un incredibile pezzo stoner doom/heavy psych (così travolgente da essere ancora oggi la chiusura dei loro concerti), Night Jam ha in sé una respiro quasi progressivo, e Tsunami Dust un piglio grunge e decisamente anni '90. Per non parlare di S.n.a.p.r.s.t. che nel turbine delle sue parti più pesanti ed aggressive trova perfino lo spazio per aperture quasi jazz. Tutti questi semi c'erano tredici anni fa, si sono sviluppati e trasformati attraverso The Road To Knowledge (2009), Maktub (2011) e After Us (2016), e ci sono ancora adesso riascoltando questa deluxe reissue: radici fondamentali ed essenziali di una band ormai cresciuta e che continua a protendere e sviluppare i suoi molti rami.
[E.R.] 
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Zippo - Ode To Maximum (Reissue)
(Spikerot Records, 2018)

In 2006 I also had a band. The second demo recently released, I was sending it to various webzines for opinions and reviews. Among others, I also sent it to Davide Straccione, Zippo singer. Precisely in the same year Zippo released their first album - Ode To Maximum - and I asked Davide to send me a copy of their cd (accompanied by a note in which he hoped that I liked the record, and he promised that he would have carefully listened to my demo, and then reviewed it). If I liked Zippo debut album? For sure, and so much! And it was only the first - but already significant - step of a band that then released other 3 albums, always in continuous growth and evolution, driven by a constant stylistic and musical research, always extremely personal. Almost 13 years have passed since the release of Ode To Maximum, and after about a decade of soldout, now the debut album is reissued by Spikerot Records, with a new awesome artwork (by Davide Mancini - Dartworks) , and for the first time on vinyl. Not only. The tracklist is enriched by two bonus (Night Jam #2, alternative/distorted version of the fifth track, recorded at the time of The Road To Knowledge, and July, Slo Burn cover), and the mastering has been entrusted to Tony Reed (Mos Generator, Stone Axe). Songs are not revolutionized by remastering, yet enriched in the depth and groove of the sounds, and of some passages in particular. A new sound that enhances both the structure and construction of the pieces, as well as the versatility, beauty and power of the vocal lines. But another extremely interesting and important aspect of this reissue is that if on one hand it gives the possibility to know where Zippo came from for whom never owned Ode To Maximum (and maybe never even heard it), from another side it offers the opportunity to those who (like me) has always known them to dust off and rediscover this album, and to notice how much it is still relevant today and how much it contains within it many of the seeds later developed. Because if Zippo's debut is a perfect stoner rock album and a song like The Elephant March is an amazing stoner doom/heavy psych piece (so overwhelming as to be still the closing of their concerts), Night Jam has got an almost progressive breath, and Tsunami Dust a grunge, decidedly 90s, attitude. Not to mention S.n.a.p.r.s.t. that in the whirlwind of its heavier and more aggressive parts it even finds space for almost jazz openings. All these seeds were there thirteen years ago, they have developed and transformed through The Road To Knowledge (2009), Maktub (2011) and After Us (2016), and there are still now listening to this deluxe reissue: fundamental and essential roots of a band that has grown up and continues to extend and develop its many branches.
[E.R.]

martedì 27 novembre 2018

Electric Wizard + Ufomammut + Humulus – 18.11.2018 – Live Club (Trezzo sull’Adda, MI)



Electric Wizard + Ufomammut + Humulus – 18.11.2018 – Live Club (Trezzo sull’Adda, MI)

Voglio bene agli Electric Wizard e agli Ufomammut come se fossero i miei fratelli maggiori. Sono cresciuto insieme alla loro musica, e, al tempo stesso, loro sono cresciuti davanti ai miei occhi. Mi hanno aperto i timpani a nuovi suoni e mi hanno dato un sacco di consigli indispensabili (soprattutto per quanto riguarda b-movie da non perdere… non certo per rimorchiare, visto che la loro musica non è la più adatta allo scopo). Essere insieme ad entrambi, stasera, è un doveroso ringraziamento nei loro confronti, e per questo decido di essere presente a Trezzo sull’Adda nonostante i concerti di Dark Buddha Rising e Fuoco Fatuo a Bologna e Kikagaku Moyo a Ravenna.

I primi a salire sull’imponente palco del Live Club sono i padroni di casa Humulus. Il loro stoner rock intriso di melodie grunge è il perfetto antipasto ai piatti forti della serata. Un po’ emozionati per la responsabilità di dover scaldare il pubblico che attende i mostri sacri del genere, se la cavano però davvero bene, alternando riffoni sabbiosi e rotondi, arpeggi psichedelici e melodie vocali calde e coinvolgenti. La strada intrapresa è quella giusta (come dimostra l’ultimo disco Reverently Heading into Nowhere) per poter rivaleggiare in futuro con i fratelli maggiori.

Gli Ufomammut mi fanno entrare nella loro cameretta per farmi sentire quanto le basse frequenze facciano tremare le mura. Allucinanti filmati psichedelici ad amplificare l’effetto stordente della musica. Mi assicurano di non aver truccato la mia birra con alcuna droga… o forse dicono così solo perché hanno paura che dica tutto a mamma?! Non capisco come mai i vetri non vadano in frantumi sotto le ondate gommose della distorsione, che si gonfia in una nuvola di rumore fino a riempire ogni spazio, e dalla quale solo la robusta batteria di Vita riesce ad affacciarsi, per mostrarci ritmo e struttura nel caos sonoro. Il concerto degli Ufomammut più fisico e carico, tra quelli ai quali ho assistito (e sono 7!). Una band che guarda negli occhi il pubblico con la sicurezza di chi ha raccolto quello che merita, ma anche con l’umiltà di chi sente che c'è sempre spazio per imparare ancora. Come non voler bene ad un fratello così?

Entro poi nella camera del fratello drogato per davvero, Electric Wizard. Quello che la mamma cerca di non farmi prendere come esempio. I feedback che introducono il riff di Witchcult Today (e che accompagneranno ogni momento di “silenzio”, come un acufene costante indotto da una musica ascoltata a volumi esagerati) sono fumo denso di marijuana, attraverso il quale vedo spezzoni di vecchi film horror, post apocalittici o sex exploitation. Dopo 25 anni di continui cambi di line up, è straordinario sentire come la band di Jus Oborn suoni ancora compatta e travolgente. Con il tempo uno strato di polvere (di origine occulta) ha coperto il vomito con il quale la band aveva insozzato la sua camera fra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000, ma i momenti tossici continuano ad affiorare tra un riff e l’altro. Schizzi di psichedelia pesante macchiano di colori acidi il nero intenso del doom sepolcrale suonato dalla band, come frammenti visionari in un horror degli anni '60. Lungi da essere disintossicata, la musica del fratellone elettrico è però tanto possente e coesa - anche nella manipolazione delle dissonanze e degli effetti larsen - da sembrare, oggi, pienamente in grado di controllare le sue sregolatezze. E grazie a suoni ottimamente bilanciati, mi regala uno dei suoi migliori concerti (stasera è il quinto!). 
[R.T.]

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Electric Wizard + Ufomammut + Humulus – 11.18.2018 – Live Club (Trezzo sull’Adda, MI)

I love Electric Wizard and Ufomammut as if they were my elder brothers. I grew up with their music, and at the same time, they grew up before my eyes. They opened my eardrums to new sounds and gave me indispensable advice (especially with regard to unmissable b-movies... certainly not to pick girls up, since their music is not the most suitable for the purpose). Being together with both, tonight, is a dutiful thanks to them, and for this reason I decide to be present in Trezzo sull'Adda despite the concerts of Dark Buddha Rising and Fuoco Fatuo in Bologna and Kikagaku Moyo in Ravenna.

The first to get on the imposing Live Club stage are the hosts Humulus. Their stoner rock drenched in grunge melodies is the perfect starter before tonight's meaty bits. A little excited for the responsibility of warming up the audience waiting for the legends of the genre, but they are doing very well, alternating sandy huge riffs, psychedelic arpeggios and warm engaging vocal melodies. The road taken is the right one (as evidenced by the latest album Reverently Heading into Nowhere) in order to rival the older brothers in the future.

Ufomammut let me enter their bedroom to make me feel how the low frequencies make the walls tremble. Dazzling psychedelic films to amplify the stunning effect of music. They assure me that they did not fix my beer with any drugs... or maybe they say that just because they're afraid I could say something to mom?! I do not understand why glasses does not shatter under the gummy waves of distortion, which swells in a cloud of noise to fill every space, and from which only Vita robust drums manage to emerge, to show us rhythm and structure in the sound chaos. The most physical and groovy Ufomammut concert among those I attended to (and they are 7!). A band that looks into the eyes its audience with the self-confidence of those who have collected what they deserve, but also with the humility of those who feel that there is always room to learn even now. How not love a brother like that?

Then in the really doped brother's room, Electric Wizard. The one mom fears I would take as an example. Feedbacks introducing Witchcult Today riff (and that will accompany every moment of "silence", like a constant tinnitus induced by music listened to exaggerated volumes) are dense smoke of marijuana, through which I see clips of old horror, post apocalyptic or sex exploitation movies. After 25 years of continuous line-up changes, it's extraordinary to hear how Jus Oborn's band still sounds compact and overwhelming. Over time, a layer of dust (of hidden origin) covered the vomit with which the band had soiled its room between the late 90s and early 2000s, but the toxic moments continue to surface between a riff and the other. Spots of heavy psychedelia stain with acid colours the intense black of the sepulchral doom played by the band, as visionary fragments in a 60s horror movie. Far from being detoxified, the music of the electric big brother is so powerful and cohesive - even in the manipulation of dissonances and larsen effects - to seem, today, fully able to control his excesses. And thanks to perfectly balanced sounds, he gives me as a present one of his best concerts (tonight the fifth!).
[R.T.]

 

sabato 24 novembre 2018

Marnero + Nero di Marte + Zambra – 10.11.2018 – Il Contro (Prato)


Marnero + Nero di Marte + Zambra – 10.11.2018 – Il Contro (Prato)

Il nero sta bene in ogni occasione. Elegante e mai superfluo, aiuta anche a snellire la figura. Stasera ne abbiamo in abbondanza, perché non c’è abbinamento migliore, per il (Mar)nero, che altro Nero (di Marte) - ma in passato ho assistito anche ad un ottimo accostamento con i Nero(rgasmo).

Arriviamo al Contro sui primi riff degli Zambra. Il loro post hardcore più che nero è color ruggine. Ti lascia in bocca quel sapore di ferro di quando ti spacchi un labbro. Una sensazione sgradevole generata da un misto di dolore e rabbia, dissonanze e ritmi spezzati. La band fiorentina, che da pochissimo ha pubblicato il suo album d’esordio, è un concentrato di riff storti e sgranati, che esaltano tutti gli appassionati (come me) del sadismo sonoro di Botch, Unsane, Helmet e altra gente che si faceva il bidet con la cartavetra per lenire il dolore di vivere. Il cantante, David (che ricordo al microfono dei Disquietedby in mutande sul palco!), stasera mostra ben altra eleganza, alternando urla graffianti a profondissimi vocalizzi che paiono uscire da un didgeridoo. Una scoperta straordinaria!

Che il nero potesse rifrangersi in riflessi colorati me lo avevo dimostrato lo splendido Derivae, album del 2014 dei bolognesi Nero di Marte. Un disco che parte dal buio intenso del metal per mostrare sfumature inedite, a tratti post rock, con puro spirito progressivo. Complessa e ricercata, è una musica ricca di particolari che rischia di perdersi (e di lasciare l’ascoltatore alla deriva) se i suoni non sono perfettamente calibrati. Stasera purtroppo la struttura dei brani tende a collassare su se stessa a causa dei suoni non ottimali (cassa della batteria non pervenuta alle miei orecchie, ad esempio). Sempre emozionanti le note de Il Diluvio, e molto interessanti i nuovi brani (più delicati e atmosferici, e ancora più complessi), ma forse il nero elegante dei Nero di Marte richiederebbe maggior cura sonora per esprimersi al meglio.

La tenuta d’ordinanza del post harcore è il nero che chiude la serata. I Marnero sono solo quattro, ma sembrano un esercito. Non solo quando partono all’assalto (A.C.H.A.B.) ma anche quando dimostrano di saper creare il giusto climax, prima di lanciarsi negli scontri (Le navi non ardono ancora). Una band che costruisce l’attesa e la manipola con arrangiamenti complessi, dilatandola fino al punto di esplosione. Quel che stupisce è come questa ricerca sonora, estremamente matura, non abbia minimamente scalfito la furia hardcore, né l’ironia di JD Raudo (che dai tempi dei Laghetto continua a regalare siparietti esilaranti). Con un concerto incentrato sull’ultimo, straordinario, disco (Quando vedrai le navi in fiamme sarà giunta l’ora) si chiude la “notte nera” del Contro.
[R.T.]
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Marnero + Nero di Marte + Zambra – 11.10.2018 – Il Contro (Prato)

Black is fine on every occasion. Elegant and never superfluous, it also helps to streamline the figure. Tonight we have plenty of it, because there is no better match, for (Mar)nero other than Nero (di Marte) - but in the past I have also witnessed an excellent match with Nero(rgasmo).

We enter Il Contro on Zambra first riffs. Their post hardcore more than black is rust-coloured. It leaves in your mouth that taste of iron typical of when you break a lip. An unpleasant sensation generated by a mixture of pain and anger, dissonance and broken rhythms. The Florentine band, which has just released its debut album, is a concentrate of crooked distorted riffs, which exalt all the fans (like me) of the sonic sadism of Botch, Unsane, Helmet and other people who used to make the bidet with sandpaper towel to soothe the pain of living. The singer, David (who I remember at the microphone of Disquietedby in his underwear on stage!), tonight shows quite another elegance, alternating scratchy screams to deep vocalizations that seem to come out of a didgeridoo. An extraordinary discovery!

That black could refract itself in colored reflections it was shown by the wonderful Derivae, album of the 2014 by the Bolognese Nero di Marte. A record that starts from the intense darkness of metal to reveal unprecedented nuances, at times close to post-rock, with pure progressive spirit. Complex and sophisticated, it is a music full of details that risks getting lost (and leaving the listener drifting) if sounds are not perfectly calibrated. Tonight, unfortunately, the structure of songs tends to collapse on itself due to the non-optimal sounds (bass drum did not reached my ears, for example). The notes of Il Diluvio are always moving, and the new tracks (more delicate and atmospheric, and even more complex) are really interesting, but perhaps the elegant black of Nero di Marte would require greater sound care to express itself at its best.

The post-harcore service uniform is the black that closes the evening. Marnero are only four, but they look like an army. Not only when they start the assault (A.C.H.A.B.) but also when they show they know how to create the right climax, before throwing themselves into the clashes (Le navi non ardono ancora). A band that builds the wait and manipulates it with complex arrangements, dilating it to the point of explosion. What is astonishing is how this extremely mature sound research has not in any way scratched the hardcore fury, nor JD Raudo irony (who, since the times of Laghetto, continues to perform hilarious gags). With a set focused on the latest amazing album (Quando vedrai le navi in fiamme sarà giunta l’ora) it ends the "black night" of Il Contro.
[R.T.]

mercoledì 14 novembre 2018

Mr. Bison - 26.10.2018 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)


Mr. Bison - 26.10.2018 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)

Finalmente riesco a sentire i Mr. Bison che suonano il nuovo album. Una serie di coincidenze sfortunate mi aveva fatto sempre mancare l'appuntamento, ma per fortuna stavolta riesco a non perdermeli. La scaletta è giustamente focalizzata su Holy Oak e questa si dimostra una scelta vincente. Perché se Asteroid è un bell'album, l'ultimo prodotto dei tre Matteo è decisamente un balzo in avanti per ciò che riguarda tanto la composizione quanto l'evoluzione della band stessa. Non solo. Ciò che mi colpisce di più è la resa dei nuovi pezzi dal vivo. Se su disco se ne apprezza la  complessità della costruzione e la commistione stilistica che ha portato a spingere l'acceleratore su sonorità più psych e su soluzioni dal retrogusto settantiano, è dal vivo che le nuove canzoni danno il loro meglio, sprigionando una potenza che nelle registrazioni è rimasta imprigionata nei solchi del vinile. La stessa title-track vibra di un'intensità che su disco è presente, ma come con la sordina. E se la batteria si conferma l'asse portante - e non solo da un punto di vista ritmico - dei Mr. Bison, le due chitarre si rivelano due fucine tanto di groove, quanto di atmosfera. La formula del power trio si dimostra ancora una volta vincente: la band di Cecina l'ha fatta sempre più sua e sul palco ne mostra la maturità tanto nei riff, quanto nell'impatto sonoro, guadagnando in incisività e potenza.
[E.R.]

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Mr. Bison - 10.26.2018 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)

Finally I listen to Mr. Bison playing the new album. A series of unfortunate coincidences had always made me miss the appointment, but luckily this time I succeed in my aim. The setlist is focused on Holy Oak and this proves to be a winning choice. Because if Asteroid is a good album, the last work of the three Matteo is definitely a leap forward for what concerns both the composition and the evolution of the band itself. Not only that. What strikes me the most is how awesome the new songs are when played live. If listening to the record you can appreciate the complexity of the construction and the style mixing that has led to push the accelerator on more psych sounds and solutions with a 70s aftertaste, live the new songs give their best, releasing a power that in the recordings has remained trapped in the grooves of the vinyl. The title-track itself vibrates with an intensity that is present on the record, but as with the mute. And if drums confirm to be Mr. Bison pillar - and not only from a rhythmic point of view -, the two guitars are two forges of both groove and atmosphere. The power trio formula proves once again to be the winning one: the band from Cecina has made it more and more its own and on stage it shows its maturity as much in the riffs as in the sound impact, gaining incisiveness and power.
[E.R.]

domenica 11 novembre 2018

Sleep – The Sciences


Sleep – The Sciences
(Third Man Records, 2018)

Per anni abbiamo atteso il passaggio della cometa. Gli scienziati avevano anticipato la possibilità di un suo ritorno fin dal 2009, anno delle prime riapparizioni dal vivo degli Sleep. Ma solo nel 2014, con la pubblicazione del singolo The Clarity, abbiamo avuto la prova che la cometa non stesse semplicemente orbitando nello spazio, ma fosse ancora in grado di liberare nuova e inedita energia. Dopo tanti anni di attesa, la speranza di vederla passare di fronte ai nostri occhi è stata nutrita da messaggi cifrati (comunicati stampa in codice Morse) tra un concerto e l’altro, fino alla sua apparizione a sorpresa nell’aprile del 2018, con il nuovo album The Sciences, annunciato solo il giorno prima della sua pubblicazione. Il fatto che la scienza non sia riuscita a identificarne la traiettoria e a prevederne il passaggio rende l’apparizione ai limiti del sovrannaturale, secondo metodi di promozione pubblicitaria degni di Tool, Nine Inch Nails, Radiohead o Jack White (guarda caso fondatore dell’etichetta di questo disco). Gli Sleep sono così diventati una religione e The Sciences il nuovo testo sacro, dopo i vecchi testamenti del passato (Holy Mountain e Jerusalem/Dopesmoker). Se agli occhi di un ateo materialista – e abitante dell’underground - come me tutto questo suona come una sonora presa per il culo, è comunque impossibile non rimanere ipnotizzati ancora una volta dallo stoner doom fumoso di questo trio. I tre Re magi (Jason Roeder, batterista dei Neurosis, si è unito a Matt Pike e Al Cisneros nel 2010, sostituendo Chris Hakius) ci invitano a seguirli dietro la coda della cometa, assaporando la sensazione di smarrimento nel cuore del deserto, indotta, oltre che da una mastodontica dose di marijuana, da riff circolari e ossessivi e da melodie orientali in slow motion che risentono molto dell’esperienza Om di Al Cisneros. La batteria di Roeder, potentissima, dona dinamismo al lento scorrere dei riff, e apporta groove vorticoso alla musica della band (che suonava molto più morbida nello stoner blues di Holy Mountain e più monolitica nel doom cosmico di Dopesmoker). Gli assoli deliranti di Matt Pike sono frammenti di materiale stellare impazzito, e portano nello spazio le idee di Dave Chandler (Saint Vitus). Dai frammenti scomposti dell’omonima intro fino alla strutturata Giza Butler, più si avvicina a noi, più The Sciences dimostra di essere un corpo celeste generato per aggregazione di elementi sparsi nell'Universo fin dai tempi del Big Bang, e non una vera e propria cometa che si disfa in una coda luminosa. Non a caso brani come Sonic Titan e Antarcticans Thawes sono vecchi cavalli di battaglia della band, concepiti ai tempi di Dopesmoker e più volte riproposti dal vivo, qui in versione rinnovata e potenziata. Gli Sleep sono tornati per rimettere insieme pulviscoli cosmici ultimamente sempre più facili da avvistare nel cielo, ma da troppo tempo in attesa di una guida. E io, ancora una volta, mi ritrovo a seguire questa guida.
[R.T.]
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Sleep – The Sciences
(Third Man Records, 2018)

For years we have waited for the passage of the comet. Since 2009 (year of the Sleep’s first live re-appearances) scientists had anticipated the possibility of its return. But only in 2014, with the release of the single The Clarity, we had proof that the comet was not simply orbiting in space, but was still able to unleash new energy. After many years of waiting, the hope of seeing it passing before our eyes was nourished by encrypted messages (press releases in Morse code) between one concert and another, until its surprise appearance in April 2018, with the new album The Sciences, announced only the day before its publication. The fact that science has not succeeded in identifying its trajectory and foreseeing its passage makes its apparition to the limits of the supernatural, according to methods of advertising promotion worthy of Tool, Nine Inch Nails, Radiohead or Jack White (not coincidentally founder of the label of this record). Sleep has thus become a religion and The Sciences the new sacred text, after the old testaments of the past (Holy Mountain and Jerusalem / Dopesmoker). If in the eyes of an atheist materialist - and underground dweller - like me, all this sounds like an epic bullshit, it is however impossible not to be hypnotized once again by the smoky stoner doom of this trio. The Three Wise Men (Jason Roeder, Neurosis drummer, joined Matt Pike and Al Cisneros in 2010, replacing Chris Hakius) invite us to follow them behind the comet tail, savouring the feeling of loss in the middle of the desert induced by both a mammoth dose of marijuana, and circular obsessive riffs together with oriental slow motion melodies deeply influenced by Al Cisneros’ experience with Om. Super-mighty Roeder's drums give dynamism to the slow flow of riffs and bring whirling groove to the band's music (which sounded a lot softer in the stoner blues of Holy Mountain and more monolithic in the cosmic doom of Dopesmoker). Matt Pike's delirious solos are fragments of gone crazy stellar matter, and they bring Dave Chandler's (Saint Vitus) ideas into the outer space. From the disjointed fragments of the homonymous intro to the structured Giza Butler, the closer it gets to us, the more The Sciences proves to be a celestial body generated by aggregation of elements scattered in the Universe since the Big Bang, and not a real comet that unravels into a luminous tail. It is no coincidence that tracks like Sonic Titan and Antarcticans Thawes are old strong suits of the band, conceived at the time of Dopesmoker and repeatedly played live, here in a renewed and enhanced version. Sleep are back to put together that cosmic dust lately more and more easy to spot in the sky, but for too long waiting for a guide. And once again I find myself following this guide.
[R.T.]

giovedì 8 novembre 2018

Empty Set - Empty Set


Empty Set - Empty Set
(Tuna Records, 2018)

Se di insieme vuoto si tratta, certo non è per la musica. Bensì per l'attitudine nichilistica e apocalittica che si annida nei testi di questo progetto. Al contrario, musicalmente si è travolti da tutta la richezza del progressive, nella sua veste più metal e chirurgica. Suoni taglienti, limpidi, quasi sferzanti. Un distillato di incastri ritmici e melodici, su cui si innestano linee vocali e cori altrettanto cesellati e affilati. Qualcosa di obliquo e sinistro anima però questo universo di cristallo. Una vena vagamente psichedelica, che si ricollega anche al progressive rock settantiano, ma che è decisamente plumbea e oscura e devia dal genere di riferimento, rendendo più contorto e imprevedibile il percorso di questi sei brani senza nome. A tratti sembra di essere di fronte ai primi Pain of Salvation, ai tempi di Remedy Lane. Sia per l'approccio vocale, sia per la costruzione del discorso musicale, tanto nelle melodie quanto - soprattutto - nella frammentazione ritmica del tessuto sonoro. Con il passare degli ascolti, questa musica apparentemente algida e distaccata entra dentro l'ascoltatore e dischiude tutta la sua forza espressiva. I desolati paesaggi - soprattutto quelli interiori - costruiti da Alessandro Vagnoni si rivelano in tutta la loro potenza, e la voce di Enrico Tiberi è quella dell'unico Virgilio che può descrivere queste visioni. Poi tutto, all'improvviso, bruscamente s'interrompe. Si avverte la sensazione di essere rimasti soli. Come l'unico superstite di Time Enough At Last (dalla prima stagione di The Twilight Zone).
[E.R.]
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Empty Set - Empty Set
(Tuna Records, 2018)

If it is an empty set, certainly it is not due to
 music. Rather for the nihilistic and apocalyptic attitude lurking in the lyrics of this project. On the contrary, musically we are overwhelmed by all the richness of progressive rock, in his most surgical and metal form. Sharp, limpid, almost lashing sounds. A distillate of rhythmic and melodic joints, on which equally chiseled and sharpened vocal lines and choruses are grafted. Anyway, something devious and sinister animates this crystal universe. A vaguely psychedelic vein, which reconnects itself to the 70s progressive rock, but that is definitely plumbeous and murky and deviates from the reference genre, making the path of these unnamed six songs even more convoluted and unpredictable. At times it seems to be in front of the first Pain of Salvation, at the time of Remedy Lane. Both for the vocal approach and for the construction of the musical discourse, as much in the melodies as - above all - in the rhythmic fragmentation of the sound pattern. The more you listen to it, the more this apparently cold and detached music enters inside you and opens up all its expressive power. The desolate landscapes - especially the interior ones - built by Alessandro Vagnoni are revealed in all their strenght, and Enrico Tiberi's voice is that of the only Virgil who can describe these visions. Then all of a sudden everything abruptly stops. There is a feeling of being alone. As the only survivor of Time Enough At Last (from the first season of The Twilight Zone).
[E.R.]

lunedì 5 novembre 2018

Yob – Our Raw Heart


Yob – Our Raw Heart
(Relapse Records, 2018)

Ci sono 3 fasi nella vita degli Yob. Durante la prima, conclusasi con lo scioglimento della band del 2006, la musica era un torrente (di lava) in piena, con la potenza e la portata di una cascata senza alcun senso della misura. Straripava continuamente, modificando il paesaggio grazie ad una personalità colossale. Dopo essersi nascosto nel sottosuolo per 2 anni, quando il fiume è riapparso in superficie ha iniziato a scorrere come un serpente, compiendo ampie e sinuose curve, alla ricerca di un tempio dalla spiritualità magnetica, nascosto nel fitto della giungla e finalmente raggiunto con il capolavoro Clearing the Path to Ascend. Questa seconda fase è stata un percorso tortuoso che ha assorbito energia dall’ambiente circostante, e dalle esperienze artistiche di Mike Scheidt (soliste, ma anche con i Middian e i Vhöl). La terza fase inizia nel gennaio 2017, quando Mike viene ricoverato per una grave forma di diverticolite intestinale. Il primo frutto di questa nuova fase è Our Raw Heart. Il fiume ha raggiunto il mare, e vi sfocia lento con un ampio delta. Non mancano le improvvise e devastanti piene del passato (Original Face), ma nel flusso magmatico di distorsione c’è una ricerca melodica che si nutre di luce nuova, decisamente più emotiva (Beauty in Falling Leaves, Our Raw Heart). Scavarsi un alveo nel dolore puro (The Screen), e riuscire a sfociare nell’oceano (Our Raw Heart). Dopo un’esperienza che lo ha portato ad un passo dalla morte, Mike riversa nella musica degli Yob la grande pace di chi si affaccia in un regno nel quale non era mai stato (o, più precisamente, nel quale non si era mai accorto di vivere) per assorbire ogni nuova esperienza con inedita intensità. Il suo senso di commossa meraviglia di fronte alla vita è ciò che rende Our Raw Heart un’opera tanto intensa e personale da ricollegare la musica degli Yob alla parte più profonda della sfera umana, dopo aver toccato la pura trascendenza con Clearing the Path to Ascend.
[R.T.]
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Yob – Our Raw Heart
(Relapse Records, 2018)

There are 3 phases in Yob's life. During the first one, ended in 2006 with their disbandment, the music was a flood (of lava) with the power and flow rate of a waterfall without any sense of measure. It continually overflowed, changing the landscape thanks to its colossal personality. After hiding in the underground for 2 years, when the river reappeared on the surface it began to flow like a snake, making wide and sinuous curves, looking for a temple with magnetic spirituality, hidden in the thick of the jungle and finally reached with the masterpiece Clearing the Path to Ascend. This second phase was a tortuous path that absorbed energy from the surrounding environment and from Mike Scheidt's artistic experiences (soloists, but also with Middian and Vhöl). The third phase begins in January 2017, when Mike is hospitalized for a severe form of intestinal diverticulitis. The first fruit of this new phase is Our Raw Heart. The river has reached the sea, and it slowly flows into it with a wide delta. There are still the sudden devastating floods of the past (Original Face), but in the magmatic flow of distortion there is a melodic research that feeds on new - definitely more emotional - light (Beauty in Falling Leaves, Our Raw Heart). Digging a riverbed in pure pain (The Screen) and succeeding in flowing into the ocean (Our Raw Heart). After an experience that led him to a step away from death, Mike pours into Yob's music the great peace of the one who look in a kingdom in which he had never been (or, more precisely, in which he had never realized he was living into) to absorb each new experience with unprecedented intensity. His sense of emotional wonder before life is what makes Our Raw Heart so intense and personal that it reconnects Yob's music to the deepest part of the human sphere, after having touched the pure transcendence with Clearing the Path to Ascend.
[R.T.]

venerdì 2 novembre 2018

Rinunci a Satana? - Blerum Blerum


Rinunci a Satana? - Blerum Blerum
(Wallace Records, Il Verso del Cinghiale, Edison Box, E io pago! Records, 2018)

La copertina del nuovo album dei Rinunci a Satana? (opera del sempre magistrale SoloMacello) descrive per immagini tutto quello che troviamo al suo interno. Attravers(at)o un fitto bosco di blues rock di matrice settantiana, ben contaminato da funghi di indubbia forza psichedelica, ci si trova di fronte - e in mezzo - a distese polverose, dal caldo sapore di un deserto assolato, ma al crepuscolo, quando una luce più intima ed un incedere più personale ammantano tutto di un'atmosfera più soffusa e a tratti quasi progressiva (vedi in particolare La Serata del Gourmet). Ma non siamo di fronte ad un paesaggio piatto e annichilente. Non siamo inerti e storditi. Il viaggio è in groppa ad un destriero che corre dietro alla chitarra di Damiano Casanova, obbedendo cieco al richiamo della batteria di Marco Mazzoldi. Siamo sul set di un western (all'italiana, di quelli belli degli anni 60, ma anche di quelli dalla spiccata vena ironica): si attraversano canyon, si bivacca in villaggi fantasma accanto a miniere dismesse, si approda in un saloon in cui convivono cowboy, messicani appisolati, pellerossa alticci e le immancabili bellezze da bancone. C'è il tempo per un duello infuocato e per un attacco alla diligenza. Ma c'è anche il tempo da perdere intorno ad un falò o sotto la veranda polverosa di una stamberga di un vecchio ranch, con un bourbon in mano (come in Salice Mago). Non servono parole per descrivere questo viaggio verso le Montagne Rocciose: giusto dei cori un po' distorti e riverberati in Chi sta scavando?, che sono quasi uno strumento extra, piuttosto che una vera e propria traccia vocale. La bellezza di questo disco sta anche nella sua naturale capacità di raccontare solo attraverso la forza della musica e dei suoi multiformi intrecci. Non rinunciamo a Satana: abbandoniamoci al suo richiamo e lasciamoci trasportare in questo viaggio, che profuma di retrò, ma non puzza assolutamente di nostalgia!
[E.R.]
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Rinunci a Satana? - Blerum Blerum
(Wallace Records, Il Verso del Cinghiale, Edison Box, E io pago! Records, 2018)

The cover of the new album by Rinunci a Satana? (work of the always masterful SoloMacello) describes in pictures all that we find inside it. (Passed) through a dense forest of 70s blues rock, well contaminated by mushrooms with undoubted psychedelic strength, we are faced with - and in the middle of - dusty sprawls, with the warm taste of a sun-drenched desert, but at dusk, when a more intimate light and a more personal gait cover everything with a more suffused and sometimes almost progressive atmosphere (especially La Serata del Gourmet). But we are not faced with a flat annihilating landscape. We are not inert and stunned. The trip is on the back of a steed running behind Damiano Casanova guitar, blindly obeying to the call of Marco Mazzoldi drums. We are on the set of a western (a beautiful 60s Italian western, but also one of those with a strong ironic vein): we go through canyons, we bivouac in ghost villages next to abandoned mines, we arrive in a saloon where cowboy, dozed Mexicans, tipsy Indians and the classic winky beauties live side by side. There is time for a fiery duel and an attack against a stagecoach. But there is also the time to waste around a bonfire or under the dusty porch of a shack in an old ranch, with a bourbon in hand (as in Salice Mago). There is no need of words to describe this trip to the Rocky Mountains: just some slightly distorted and reverberated choruses in Chi sta scavando?, which are a sort of an extra instrument rather than a real vocal track. The beauty of this album is also in its natural ability to tell a story only through the power of music and its manifold twists. We do not renounce Satan: let abandon ourselves to his call and let ourselves be carried on this journey, which smells of vintage, but absolutely does not stink of nostalgia!
[E.R.]