Empty Set - Empty Set
(Tuna Records, 2018)
Se di insieme vuoto si tratta, certo non è per la musica. Bensì per l'attitudine nichilistica e apocalittica che si annida nei testi di questo progetto. Al contrario, musicalmente si è travolti da tutta la richezza del progressive, nella sua veste più metal e chirurgica. Suoni taglienti, limpidi, quasi sferzanti. Un distillato di incastri ritmici e melodici, su cui si innestano linee vocali e cori altrettanto cesellati e affilati. Qualcosa di obliquo e sinistro anima però questo universo di cristallo. Una vena vagamente psichedelica, che si ricollega anche al progressive rock settantiano, ma che è decisamente plumbea e oscura e devia dal genere di riferimento, rendendo più contorto e imprevedibile il percorso di questi sei brani senza nome. A tratti sembra di essere di fronte ai primi Pain of Salvation, ai tempi di Remedy Lane. Sia per l'approccio vocale, sia per la costruzione del discorso musicale, tanto nelle melodie quanto - soprattutto - nella frammentazione ritmica del tessuto sonoro. Con il passare degli ascolti, questa musica apparentemente algida e distaccata entra dentro l'ascoltatore e dischiude tutta la sua forza espressiva. I desolati paesaggi - soprattutto quelli interiori - costruiti da Alessandro Vagnoni si rivelano in tutta la loro potenza, e la voce di Enrico Tiberi è quella dell'unico Virgilio che può descrivere queste visioni. Poi tutto, all'improvviso, bruscamente s'interrompe. Si avverte la sensazione di essere rimasti soli. Come l'unico superstite di Time Enough At Last (dalla prima stagione di The Twilight Zone).
[E.R.]
***
Empty Set - Empty Set
(Tuna Records, 2018)
If it is an empty set, certainly it is not due to
music. Rather for the nihilistic and apocalyptic attitude lurking in the lyrics of this project. On the contrary, musically we are overwhelmed by all the richness of progressive rock, in his most surgical and metal form. Sharp, limpid, almost lashing sounds. A distillate of rhythmic and melodic joints, on which equally chiseled and sharpened vocal lines and choruses are grafted. Anyway, something devious and sinister animates this crystal universe. A vaguely psychedelic vein, which reconnects itself to the 70s progressive rock, but that is definitely plumbeous and murky and deviates from the reference genre, making the path of these unnamed six songs even more convoluted and unpredictable. At times it seems to be in front of the first Pain of Salvation, at the time of Remedy Lane. Both for the vocal approach and for the construction of the musical discourse, as much in the melodies as - above all - in the rhythmic fragmentation of the sound pattern. The more you listen to it, the more this apparently cold and detached music enters inside you and opens up all its expressive power. The desolate landscapes - especially the interior ones - built by Alessandro Vagnoni are revealed in all their strenght, and Enrico Tiberi's voice is that of the only Virgil who can describe these visions. Then all of a sudden everything abruptly stops. There is a feeling of being alone. As the only survivor of Time Enough At Last (from the first season of The Twilight Zone).
[E.R.]
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