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giovedì 29 giugno 2017

Slomatics ‎– Future Echo Returns



Slomatics ‎– Future Echo Returns
(Black Bow Records, 2016)

In un pianeta in cui il tempo scorre al rallentatore e la forza di gravità è talmente intensa che per riuscire a muoversi servono tutte le energie disponibili, gli Slomatics sono sicuramente a loro agio. Il loro doom cosmico ha suoni giganteschi, di una pesantezza indicibile, ma anche di una gommosità davvero "appiccicosa". Si rimane incollati a terra sotto il peso delle distorsioni e si avanza a fatica tra ritmi cadenzati. Due chitarre dall'accordatura ultraribassata (al punto da sembrare due bassi! - anche per la rotondità del suono, manipolato negli Skyhammer Studios di Chris Fielding dei Conan) macinano riff ipnotici per poi aprirsi in passaggi arpeggiati ai limiti del post rock, con il suono dei sintetizzatori ad accentuare l'atmosfera spaziale. Nella lenta passeggiata attraverso questo pianeta fantascientifico, si incontrano evidenti tracce di (Ufo)mammut e altri animali preistorici che hanno segnato la via del genere di riferimento, dagli Electric Wizard agli Sleep, ma anche alcune inattese atmosfere in stile Type O Negative, nella canzone di chiusura dell'album. L'esplorazione condotta dal gruppo nord irlandese non porta a scoperte rivoluzionarie ma un'escursione in questo pianeta risulterà affascinante per tutti gli appassionati del genere.
[R.T.]

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Slomatics ‎– Future Echo Returns
(Black Bow Records, 2016)

In a planet where time slows down and force of gravity is so intense that you need all your energies to be able to move, Slomatics are definitely at ease. Their cosmic doom has gigantic sounds, an indescribable heaviness, but also a really "sticky" gumminess. One remains glued to the ground under the weight of distortions and progresses with enormous effort through monolithic rhythms. Two ultra-low-tuned guitars (to the point they seem two basses! - even for the roundness of the sound, manipulated in Conan's Chris Fielding's Skyhammer Studios) grind hypnotic riffs and then open in arpeggiated phrasings on the edge of post rock with the sound of synthesizers accentuating this space atmosphere. In the slow walk through this sci-fi planet, there are clear tracks of (Ufo)mammoths and other prehistoric animals that marked the path of the genre of reference, from Electric Wizard to Sleep, but also some unexpected atmospheres in Type O Negative style, in the closing song of the album. The exploration carried on by the Northern Irish band does not lead to revolutionary discoveries, but a tour on this planet will be fascinating for all enthusiasts of this genre.
[R.T.]

martedì 27 giugno 2017

Inter Arma - Paradise Gallows


Inter Arma - Paradise Gallows
(Relapse Records, 2016)


Mi ci vedo proprio a fare l'insegnante di storia dell'arte, o di letteratura, portando Paradise Gallows come esempio di Opera del Romanticismo ottocentesco. Soprattutto immagino la faccia degli studenti, di fronte alle bordate pesantissime dei riff, ai ritmi ossessivi e annichilenti, al growl primordiale...tutta roba che ricorda più i Morbid Angel di Domination che una corrente artistica "classica". Eppure, per quanto estroso, penso questo paragone non sia esageratamente folle. Infatti, fin dai primi minuti del brano di apertura, attraverso un fraseggio di chitarre sdoppiate che pare l’intro di un disco degli Iron Maiden, gli Inter Arma suggeriscono una diversa sensibilità rispetto al metal estremo di riferimento. Da quei 2 minuti di musica, che ben presto si trasformano in uno sludge metal devastante, si percepisce ciò che la copertina di Orion Landau esplicita splendidamente.

Mare in tempesta. Una nave alla deriva, prossima allo schianto su una scogliera rocciosa. Impiccato all’albero maestro, il capitano pare osservare la disfatta con gli occhi fissi sul Sole - basso sull’orizzonte, a colorare il cielo. Ipnotica attrazione che l’uomo - ormai sconfitto - prova nei confronti dell’energia primordiale e incontenibile della Natura. Un’energia che musicalmente prende la forma libera e incontrollabile di canzoni dalla struttura progressiva, e che fluisce in tutte le direzioni immaginabili (grazie anche ad un batterista agile e dinamico, per quanto violentissimo), con una forza sovrumana (chitarre gigantesche e un cantante il cui grugnito è modellato da un oceano di echi e riverberi). Gli Inter Arma hanno concepito un disco carico di tensione verso l'assoluto, rappresentando l'Apocalisse come unica via di annichilimento e fuga dalla realtà, sorta di passaggio psichedelico verso un'altra dimensione. Nel far questo, la band si distacca dalla strada tracciata da molti gruppi post metal, indicando una via personale in cui la visceralità del metal estremo e la ricercatezza melodica del rock progressivo convivono e si completano l'un l'altra. 

La maggior parte degli studenti mi farebbe allontanare dall'insegnamento, lo so. Purtroppo non esistono più i ragazzini metallari di una volta, i quali si sarebbero esaltati ad ascoltare 70 minuti di violenza sonora. Per fortuna esistono ancora musicisti come gli Inter Arma, che utilizzano tale violenza inaudita con una sensibilità degna di un'Opera d'Arte.
[R.T.]
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Inter Arma - Paradise Gallows
(Relapse Records, 2016)

I see myself as a teacher of art history or literature, bringing Paradise Gallows as an example of the 19th Century Romanticism. Above all I imagine the faces of the students, face to face with ultra-heavy riffs, obsessive annihilating rhythms, primordial growl ... all stuff reminding Morbid Angel at the times of Domination more than a "classical" artistic current. Yet, however extravagant, I think this comparison is not overly crazy. Indeed, from the first minutes of the opening song, through a split-guitars phrasing reminiscent of the intro of an Iron Maiden album, Inter Arma suggest a sensibility other than the extreme metal to which they refer to. From those 2 minutes of music, soon transforming into a devastating metal sludge, one perceives what the cover of Orion Landau beautifully explicates.

Stormy sea. A ship adrift, near the crash on a rocky cliff. Hanging on the master tree, the captain seems to observe the defeat with his eyes fixed on the Sun - low on the horizon, colouring the sky. That hypnotic attraction that a man - now defeated - proves towards the primordial and incontinable energy of Nature. An energy that musically takes the free and uncontrollable form of songs with a progressive structure, flowing in all imaginable directions (thanks to a dynamic, though violent, drummer) with superhuman strength (gigantic guitars and a singer whose grunts are shaped by an ocean of echoes and reverbs). Inter Arma conceived an album full with tension to the absolute, representing the Apocalypse as the only way to annihilate and escape from reality, sort of psychedelic passage to another dimension. This way, the band resigns from the road drawn by many post metal bands, pointing to a personal path where extreme metal viscerality and melodic progressive rock coexist and complement each other. 

Most students would make me turn away from teaching, I know. Unfortunately, there are no more metalhead kids as before, excited to listen to 70 minutes of sound violence. Fortunately there are still musicians like Inter Arma, who use that shocking violence with a sensitivity worthy of a Work of Art.
[R.T.]

giovedì 22 giugno 2017

Yawning Man + Rancho Bizzarro - 21.05.2017 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)


Yawning Man + Rancho Bizzarro - 21.05.2017 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)

Poiché il suono del deserto affascina come il Mal d'Africa, non faccio in tempo a rientrare da un festival figo che già sento il bisogno impellente di un altro concerto. E non di un "altro" concerto tout court: si tratta addirittura di un bis in meno di 24 ore!!!

Ad aprire la serata, band labronica fresca fresca di formazione: i Rancho Bizzaro. Apertura davvero azzeccata, perché le sonorità di matrice desert/stoner rock sono proprio quello che ci vuole per riscaldare l'atmosfera. Niente linee vocali da seguire, ma solo dei gran riffs in cui immergersi, seguendo l'onda ritmica dettata dal basso. Siamo dalle parti di Brant Bjork e soci, ma non siamo di fronte a dei cloni. E se i video ad oggi online sono un ottimo assaggio della loro musica, dal vivo il loro impatto è decisamente più incisivo ed accattivante. Direi che non resta che aspettare l'album ad ottobre!

Avevo preannunciato che avrei fatto il bis, e ho mantenuto la promessa! E ho fatto decisamente bene! Perché stasera gli Yawning Man hanno si sono superati rispetto alla sera precedente. Vuoi perché non era un festival e non erano l'ultima band di un corposo bill, vuoi perché il locale è così piccolo che io sono praticamente sul palco con la band, vuoi semplicemente perché non tutte le serate hanno lo stesso fascino, sta di fatto che stasera la musica di Mario Lalli e soci mi cattura ancora di più e mi trasporta ancora più lontano. Mi pare davvero di vagare attraverso un deserto sconfinato trascinata da una musica che è solo nella mia testa, ma che al tempo stesso satura tutta l'aria e lo spazio in cui sono immersa. Suoni ancora meglio calibrati rispetto alla sera precedente non possono che perfezionare il tutto.

Mai perdere l'occasione di un bel concerto desert: il viaggio vale davvero il biglietto!
[E.R.]

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Yawning Man + Rancho Bizzarro - 05.21.2017 - Ganz of Bicchio (Viareggio, LU)

As the sound of the desert fascinates like Africa blues, I have just come back from a cool festival that I already feels the urgent need of another concert. And not an "other" concert tout court : it is an enchore in less than 24 hours!!!

Opener of this evening, a brand new band from Livorno: Rancho Bizzaro. No support band could have been better than this, since their desert/stoner rock sounds are exactly what it takes to warm the atmosphere. No vocal lines to follow but only great riffs in which to dive, following the rhythmic wave dictated from the bass. Hints of Brant Bjork and co, but we are not facing clones. And if the videos online today are a great taste of their music, live their impact is definitely more incisive and captivating. We just have to wait for the album next October!

I had announced that I would do an encore, and I kept my promise! And I did very well! Because tonight Yawning Man outdid themselves compared to the previous night. Maybe because it was not a festival and it was not the last band of a rich bill, either because the venue is so small that I'm pretty much on stage with the band, or just because not all the evenings have the same charm, to me it is a fact that tonight Mario Lalli & co music captures me even more and carries me even further. It really seems to wander through a boundless desert dragged by a music that is just in my head but at the same time saturates all the air and the space I am immersed in. Sounds even better calibrated than the previous night can only perfect everything.

Never miss a chance for a good desert concert: the trip really worth the ticket!
[E.R.]


lunedì 19 giugno 2017

Earthless/Harsh Toke ‎– Acid Crusher/Mount Swan


Earthless/Harsh Toke ‎– Acid Crusher/Mount Swan
(Tee Pee Records, 2016)

Se decidi di prendere in affitto una sala prove a San Diego, ci sono elevate possibilità che questa si trovi in prossimità di un varco di collegamento con un'altra dimensione. Una dimensione dalla quale proviene una forza creativa che si impossessa dei musicisti e li spinge a lanciarsi in infinite jam sessions psichedeliche. E da quelle parti gli adoratori del culto dell'improvvisazione selvaggia sono davvero sempre più numerosi. In questo split gli Earthless vengono accompagnati in un viaggio interstellare dai concittadini Harsh Toke. I primi ad esser risucchiati nel vortice sono gli Earthless. Con un giro di basso che pare un funky suonato al rallentatore partono per un viaggio di un quarto d'ora lungo il quale le chitarre si avvolgono e contorcono in assoli di blues acido. Un viaggio che potrebbe durare all'infinito, da tanto è coinvolgente e ipnotico. Bellissimo! Gli Harsh Toke decollano invece con riff più duri e pesanti,quasi sabbathiani. Ma anche loro ben presto lasciano al basso il ruolo di scala a chiocciola verso lo spazio profondo. Con un giro cupo e ossessivo in cui le chitarre si abbandonano all'improvvisazione cara allo stile dei Grateful Dead, la band disegna il lato oscuro di questo split. La canzone prende velocità per poi rallentare nuovamente, dilatandosi e deformandosi, mostrando una strada diversa, ma ugualmente affascinante, rispetto a quella intrapresa dagli Earthless. Ora non ci resta che andare a scovare la sala prove di San Diego vicina a questo varco magico, e perdersi in sfrenate improvvisazioni.
[R.T.]
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Earthless/Harsh Toke ‎– Acid Crusher/Mount Swan
(Tee Pee Records, 2016)

If you decide to rent a rehearsal room in San Diego, there are high chances that this is in nearby a connecting passage with another dimension. A dimension from which comes a creative force that takes possession of the musicians and pushes them into infinite psychedelic jam sessions. And over there the worshippers of the cult of wild improvisation are really becoming more and more numerous. In this split, Earthless are accompanied on a interstellar journey by their fellow citizens Harsh Toke. The first ones to be sucked into the vortex are Earthless. With a bass line similar to a funky in slow motion, they leave for a quarter-of-an-hour-trip in which guitars wind up and twist in acid blues solos. A journey that could last forever, considering how much engaging and hypnotic it is. Amazing! Harsh Toke, instead, take off with harder heavier - almost Black Sabbath school - riffs. But they too soon leave to the bass the role of spiral staircase down to the deep space. With a gloomy obsessive line upon which guitars indulge in that kind of improvisation so dear to the Grateful Dead, the band draws the dark side of this split. The song takes speed and then slows down again, stretching and deforming, showing an equally fascinating, yet different path from that undertaken by Earthless. Now we just have to find a rehearsal room San Diego close to this magical gate and get lost in relentless improvisations.
[R.T.]

venerdì 16 giugno 2017

Sonic Ritual Fest - 20.05.2017 - Bloom (Mezzago, MB)

 

Sonic Ritual Fest - 20.05.2017 - Bloom (Mezzago, MB)
[Yawning Man + Duel + The Cosmic Dead + Ecstatic Vision + Doctor Cyclops + The Clamps + Ananda Mida]

Per non mettere una pausa lunga un anno intero fra un Heavy Psych Sounds Fest e l'altra, il Sonic Ritual Fest ad inizio estate è il giusto intermezzo per non perdere il vizio. Il (doppio) palco del Bloom è anche una location che mi piace molto, e quindi l'evento non può assolutamente essere perso.

Mi siedo nel cinemino ai piani alti del Bloom che la prima band - gli Ananda Mida - sta purtroppo già suonando. Due volte su due me li trovo in apertura di festival, e non sono ancora riuscita a sentirli come vorrei. Mea culpa. Anche perché il quarto d'ora di concerto che mi godo è veramente notevole: melodie sinuose, ritmiche ipnotiche e al tempo stesso trascinanti...davvero avrei voluto ascoltarli più a lungo (mi consolo - a metà - prendendomi l'LP)!

Il cambio palco è serrato, perché l'alternanza col main stage non prevede soste. E quindi subito giù a sentire i The Clamps. Dritto per dritto un riff serrato dopo l'altro, sparati in faccia senza remore e senza soste. Qualche lieve arretramento da parte della batteria, ma il tiro è davvero micidiale e il loro set davvero coinvolgente.

Conquisto la birra e salgo nuovamente ad accomodarmi sulle poltroncine del palco al piano superiore per il set dei Doctor Cyclops. molte influenze e molta carne sul fuoco. Dagli evidenti richiami a illustri padri come Black Sabbath e Deep Purple, ad aperture e divagazioni di stampo più progressivo e lisergico. Alcuni spunti efficaci e più interessanti, altre parti per me più sfilacciate e scollegate. Da riascoltare, magari su disco.

Visto che non sono previste pause di sorta, me la prendo in un momento - per me - di comodo e mi concedo panino, birra e sigaretta all'aperto durante il set dei Giobia - sentiti numerose volte in quest'ultimo anno e mezzo, e in programma anche per il sabato successivo al Surfer Joe Vintage Festival.

Rientro nel cinemino per gli Ecstatic Vision e ammetto che il nome calza loro a pennello! Il loro concerto è forse il più bello dell'intera serata e riesce davvero a lasciarmi estasiata. Trascinanti e coinvolgenti in maniera incredibile. Blues, psichedelia, i suoni di Detroit a cavallo fra i '60 e i '70...e molto altro ancora. Il tutto convogliato da una performance che non può lasciare fermo ed indifferente nessuno. Con un cantante davvero istrionico che lancia asta e microfono e "ruba" quello del sassofonista per continuare lo spettacolo! E che impone un bis a suon di applausi e grida di approvazione. La sala piccola e le poltroncine andavano veramente stretti a questo debordante quartetto!

E' poi il tempo di The Cosmic Dead e il mood cambia completamente. Siamo sempre dalle parti della psichedelia, ma qui le atmosfere sono più dense e buie, più elettroniche, più opprimenti. Sempre di viaggio si tratta, ma non abbacinati dalla luce e da un'energia vitale. Piuttosto, storditi da quasi droni e feedback. I suoni sono devastanti da tanto sono alti e l'impressione è quasi quella di una jam senza fine.

Le atmosfere tornano poi calde, assolate e polverose con il set dei Duel. Concerto che aspetto con ansia, perché finalmente è uscito il nuovo Witchbanger e - anche se avevo già avuto qualche assaggio dei nuovi pezzi ad ottobre - sono piuttosto ansiosa di sentire la nuova scaletta. I quattro di Austin sono sempre incredibilmente bravi e coinvolgenti e riescono a superare con scioltezza qualche problema di ordine tecnico, che tende ad imporre la chitarra di Jeff Henson sul resto della band e soprattutto sulla chitarra di Tom Frank. Ma il tiro, l'energia e la bravura dei quattro texani è tale per cui ben presto tutto il resto passa in secondo piano. I nuovi pezzi convincono anche dal vivo e il pedale del groove è premuto a manetta. Surreale sentirli adagiati sulle poltroncine, quando la loro musica costringe a scapellare e a dimenarsi come non ci fosse un domani.

Infine Yawning Man. Desert rock nella sua quintessenza. Brani che ti catturano e ti trasportano altrove. Ci ondeggi sopra e perdi le coordinate spazio temporali. Non sei più in Brianza. Non è più maggio. Quello che conta è l'onda sonora che ti trascina con il suo ritmo e ti porta via con i suoi riff, arpeggi e linee melodiche. Mario Lalli al basso segna il sentiero su cui la chitarra di Gary Arce costruisce un percorso da seguire con occhi (e orecchie) spalancati, per assorbirne tutta la bellezza. Il loro concerto mi affascina e conquista così tanto che so già che domani sera lo bisserò a pochi minuti di macchina da casa!

Il connubio psichedelia e sonorità heavy è davvero vincente. Festival come questo ne sono la prova più evidente.

[E.R.]

 
 

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Sonic Ritual Fest - 05.20.2017 - Bloom (Mezzago, MB)
[Yawning Man + Duel + The Cosmic Dead + Ecstatic Vision + Doctor Cyclops + The Clamps + Ananda Mida]

Not to have a full year long pause between a Heavy Psych Sounds Fest and the other, Sonic Ritual Fest at the beginning of summer is the right way to avoid losing the vice. The (double) stage of Bloom is also a location that I really enjoy, so the event can not be lost.

I sit in the tiny cinema at Bloom first floor and the first band - Ananda Mida - is unfortunately already playing. Twice on two I find them as opener at a festival, and I have not been able yet to listen to them as I wish. My fault. Also because the 15' I enjoy are really remarkable: sinuous melodies, hypnotic gragging rhythms... I really wanted to listen to them for the whole set (I - half - console myself with their LP)!

The stage change is tight because the alternation with the main stage is without pauses. And so I immediately run downstairs to listen to The Clamps. Straight for straight riffs one after the other, fired in the face without hesitations and without stops. Some slight slowdown on the drums, but the groove is really deadly and their set really engaging.

I grab a beer and go upstairs  for Doctor Cyclops set. Many influences and lots of meat on the fire. From clear references to illustrious fathers such as Black Sabbath and Deep Purple, passing through more progressive and lysergic asides and openings. Some effective and more interesting sparks, some more frayed and disconnected to my hears. I got to listen to them again, maybe on album.

Since there are no breaks, I take one in a (to me) convenient moment and I have sandwich, beer and cigarette outdoors during Giobia set - heard live numerous times in the last year and a half, and also scheduled for nest Saturday at Surfer Joe Vintage Festival.

Back in the mini-cinema for Ecstatic Vision and I admit that the name fits them like a glove! Their concert is perhaps the most amazing of the whole evening and it really makes me excited. Incredibly fascinating and engaging. Blues, psychedelia, the sounds of Detroit in the 60s and 70s...and much more. Everything is conveyed by a performance that can not leave anyone indifferent and stern. With a really histrionic singer who launches the microphone and its stand and "steals" the one of the saxophonist to continue the show! And that imposes an enchore with loud applause and cries of approval. The small room and armchairs could not really fit this astonishing quartet!

And then it's time for The Cosmic Dead and the mood changes completely. We are still in psychedelic aresa, but here the atmospheres are denser and darker, more electronic, more oppressive. Still a trip, but not dazzled by light and vital energy. Rather, stunned by almost drones and feedbacks. Sounds so high to be devastating and the impression is that of an almost endless jam.

The atmospheres get warm, sunny and dusty again with Duel set. Concert I was waiting for, because the new Witchbanger is finally out and - although I already had some taste of the new songs in October - I am really anxious to listen to the new setlist. The four from Austin are always incredibly good and engaging and manage to overcome some technical issues, which tend to impose Jeff Henson guitar on the rest of the band and especially on Tom Frank guitar. But the groove, energy and skill of the four Texans is such that soon everything else goes into the background. The new songs rock the world and the groove pedal is all pressed down. Surreal listen to them lying on the seats, when their music forces us to headbang and shake as if there was no tomorrow.

Finally Yawning Man. Desert rock in its quintessence. Songs that capture you and carry you elsewhere. You waver on it and lose time coordinates. You are no longer in Brianza. It's no longer May. What matters is the sound wave that drags you with its rhythm and takes you away with its riffs, arpeggios and melodic lines. Mario Lalli bass marks the path on which Gary Arce guitar builds an itinerary to follow with wide open eyes (and ears) to absorb all its beauty. Their concert fascinates me and conquers so much that I already know that tomorrow night I will listen to them once again a few minutes away from home!

Psychedelia and heavy sonority are a winning couple. Festivals like this are the most obvious proof of it!
[E.R.]

 
 
 
 



lunedì 12 giugno 2017

Wo Fat - Midnight Cometh


Wo Fat - Midnight Cometh
(Ripple Music, 2016)

"Lo stoner rock è un genere ancorato agli anni '90, ormai ammuffito e stantio, senza alcuna spinta creativa". Inserire nello stereo l'ultimo disco dei Wo Fat e rimangiarsi questa frase, prego! Midnight Cometh è stoner fino al midollo, e - come è giusto che sia - rinvigorisce e ringiovanisce le sonorità hard rock/heavy psych degli anni '60/'70 senza la pretesa di rivoluzionare un bel niente, ma evidenziando una creatività dirompente, a tratti incontenibile. Energia allo stato puro che origina dal blues ed esplode in riff sovraccarichi di distorsione e groove, per poi liquefarsi in rotondi assoli deformati dal wah wah. Il trio texano, con un suono caldissimo, valvolare e massiccio, solleva il polverone di sabbia desertica ben conosciuto dagli amanti di queste sonorità, e si lancia a tutta velocità a cavallo dell'energia elettrica (Riffborn) per poi cambiare sinuosamente direzione, con lunghe cavalcate soliste  - talvolta annebbiate da vapori psichedelici (Of Smoke and Fog) -  che, per quanto dilatatissime, non abbandonano mai il tiro e il dinamismo. Midnight Cometh è una corsa in moto imprevedibile ed esaltante da tanto è colma di idee, pur seguendo strade conosciute fin dagli anni 60.  Il gruppo americano ha uno stile di guida fantasioso, fluido e divertente, per cui sedersi al posto del passeggero è un'esperienza imperdibile per gli amanti di queste strade, e per chi è convinto di conoscerle già a memoria.
[R.T.]

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Wo Fat - Midnight Cometh
(Ripple Music, 2016)

"Stoner rock is typically anchored to the 90s: now it sounds moldy, stale, without any creative drive". Insert latest Wo Fat album into your stereo and stay silent, please! Midnight Cometh is stoner to the marrow, and - as it should be - it reinvigorates and rejuvenates hard rock/heavy psych sounds of the 60s/70s without claiming to revolutionize anything, yet highlighting a disruptive creature, at times uncontainable. Pure energy originating from blues and exploding in ultra-distorted groovy riffs, then liquefying into wah wah deformed solos. With a warm massive tube sound, the texan trio raises the desert sand dust well known to the lovers of these sounds, and runs at full speed on horseback of the electric power (Riffborn) and then sinuosly changes direction, with long solo rides - sometimes blurred by psychedlic vapors (Of Smoke and Fog) - which, though hyper-dilated, never lose their groove and dynamism. Midnight Cometh is an unpredictable and exciting race: so full of ideas, even though it runs along roads known since the 60s. The American group has an inventive fluid and fun driving style: sitting in the passenger's seat is an unmissable experience for lovers of these roads, and for those who are convinced to know them by heart.
[R.T.]

martedì 6 giugno 2017

Komatsu - Recipe for Murder One


Komatsu - Recipe for Murder One 
(Argonauta Records, 2016)

Guidare una ruspa con ruote gigantesche e mastodontica pala meccanica capace di sollevare qualsiasi cosa: il sogno di ogni bambino! Un sogno accarezzato anche da molti adulti, magari per schiacciare con i cingoli le macchine in coda nel traffico o per spostare l’auto del vicino di casa parcheggiata davanti al nostro garage. Sicuramente un sogno coltivato da una band di Eindhoven dedita allo stoner rock più massiccio, che si è data proprio il nome di un marchio di ruspe: Komatsu. Con il suo secondo album - Recipe for Murder One - la band olandese si diverte a guidare un automezzo colossale fatto di distorsioni metalliche unte di grasso, estremamente rotonde per quanto compatte. Undici brani in cui la pesantezza dei riff è pari solo al loro groove, come se il caterpillar fosse lanciato alla massima velocità possibile. Non che il quartetto di Eindhoven inventi la ruota (cingolata!), però il loro rock alternativo è divertente e poderoso, con melodie immediate vicine al grunge, riff energici di scuola stoner e mazzate ai limiti dello sludge/post metal. In canzoni come The Sea is Calm Today o Against All Odds si sentono echi dei Torche e del loro riuscito binomio melodia/potenza, e in Lockdown la voce di Nick Oliveri regala quel pizzico di rozzezza che non guasta mai. Un giro su questa ruspa fa ritornare bambini - e sfoga tanti desideri degli adulti. Assolutamente da provare!
[R.T.]
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Komatsu - Recipe for Murder One 
(Argonauta Records, 2016)

Driving a bulldozer with gigantic wheels and mastodontic mechanical shovel capable of lifting anything: the dream of every child! A dream caressed also by many adults, maybe in order to crash with its tracks all the cars queueing in the traffic jam or to move the neighbor's car parked in front of our garage. Certainly a dream cultivated by a band from Eindhoven devoted to the most massive stoner rock, named with a brand of excavators: Komatsu. With its second album - Recipe for Murder One - the Dutch band enjoys itself driving a colossal vehicle made of greasy metal distortions, extremely full as well as compact. Eleven tracks in which the heaviness of the riffs is matched only by their groove, as if the caterpillar was launched at the highest possible speed. Not that the Eindhoven quartet invents the (track!) wheel, yet their alternative rock is entertaining and powerful with grungy instant melodies, dynamic riffs of stoner school and blows on the edeg of sludge/post metal. In songs such as The Sea is Calm Today or Against All Odds, there are echoes of Torche and their successful melody/power couple, and in Lockdown Nick Oliveri's voice gives that pinch of roughness that never fails. A ride on this bulldozer makes you a child again - and it unloads so many adult desires. Absolutely to try!
[R.T.]

domenica 4 giugno 2017

John Garcia - The Coyote Who Spoke in Tongues


John Garcia - The Coyote Who Spoke in Tongues
(Napalm Records, 2017)

Esistono dischi perfetti per determinate occasioni. Io ho trovato il disco perfetto per quelle sere primaverili in cui, uscito da lavoro stanco morto, me ne torno verso casa con la luce del tramonto negli occhi. In una pianura asettica e triste, il Sole rosso che colora le gigantesche strutture delle pale eoliche è una visione a suo modo romantica. Perfetta da abbinare alla musica acustica di The Coyote Who Spoke in Tongues. John Garcia dona nuova luce e nuova vita a classici dei Kyuss (Green Machine, Space Cadet, Gardenia, El Rodeo) tanto perfetti da escludere la possibilità di un loro diverso arrangiamento. Dando loro una nuova veste, invece, Garcia riesce a trasmettere la meravigliosa sensazione provata tanti anni fa ascoltandoli per la prima volta. E, ad esempio, una Green Machine intima e avvolgente stupisce chi la conosceva come una schiacciasassi. Ma anche i brani inediti emozionano grazie alla splendida atmosfera desertica, accentuata da un Garcia che si lancia sulle note alte (come se le sue corde vocali fossero diventate quelle di Cedric Bixler Zavala), mentre la chitarra disegna i contorni del Grand Canyon con un blues rock caldissimo. Sembra di aver intravisto un nuovo orizzonte oltre il quale il Sole rosso possa andare a tuffarsi. E io, nelle sere di primavera, mi faccio guidare da lui, disperso nel deserto ai confini del Messico, alla ricerca di uno sciamano strafatto di peyote.
[R.T.]

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John Garcia - The Coyote Who Spoke in Tongues
(Napalm Records, 2017)

Certain albums are perfect for certain moments. I found the perfect album for those spring evenings when, coming out from work  tired, I drive back home with the sunset light in my eyes. In an aseptic and sad plain, the Red Sun colouring the giant structures of wind turbines is a sort of romantic vision. Perfect to match the acoustic music of The Coyote Who Spoke in Tongues. John Garcia gives new light and new life to Kyuss classics (Green Machine, Space Cadet, Gardenia, El Rodeo) so perfect to exclude the possibility of their rearrangement. By giving them a new "dress", instead, Garcia can convey the wonderful feeling experienced many years ago by listening to them for the first time. And, for example, an intimate captivating Green Machine amazes those who knew it as a steamroller. But even the brand new songs strike a chord through the stunning desert atmosphere accentuated by Garcia singing on high notes (as if its vocal cords had become Cedric Bixler Zavala ones), while the guitar draws the outlines of the Grand Canyon with its burning blues rock. On spring evenings, I let myself to be driven by him, lost in the desert on the borders of Mexico, in search of a peyote stoned shaman.
[R.T.]