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sabato 31 ottobre 2015

Uncle Acid & the Deadbeats - The Night Creeper



Disco per la notte di Halloween:

Uncle Acid & the Deadbeats – The Night Creeper
(Rise Above, 2015)

“Viaggio al termine della notte”. Se una fine c’è. Se si riesce a raggiungerla. In bilico fra luce (comunque “artificiale”!) e oscurità, The Night Creeper è un viaggio - fra psichedelia acida e doom settantiano - nel lato oscuro di certa umanità. Fra atmosfere alla Jack the Ripper e richiami a scene alla Aleister Crowley, il quarto album della band di Cambridge si snoda sui temi della dipendenza – da droga, da sesso, da alcool e “da sangue” – alternando momenti da Beatles sotto LSD impantanati in un trip non proprio idilliaco (Murder Nights su tutte) e passaggi alla Black Sabbath chiusi in uno scantinato a sciorinare riff rallentati e distorti (Waiting for Blood e The Night Creeper, giusto per fare due nomi). Il set è quello del cinema di genere degli anni 60 e 70, e pesca dall’immaginario -  e dalle immagini - dei b-movie noir, horror e gialli dell’epoca. Viaggio in una Londra dal gusto acre dell’epoca vittoriana, affogato nella nebbia e nel fumo solo a tratti squarciato dalla luce fioca di qualche lampione a gas, The Night Creeper è la colonna sonora dolce-amara e sottilmente (scanzonatamente?) inquietante per aggirarsi ai margini di ciò che affascina e turba, sbirciando dai vetri sporchi e appannati di finestre semi-dimenticate.
[E.R.]
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Halloween night album:

Uncle Acid & the Deadbeats – The Night Creeper
(Rise Above, 2015)

“Journey to the End of the Night”. If there is an ending point. If it is possible to reach it. Teetering between light (“artificial”, anyway!) and darkness, wandering through acid psychedelia and 70s doom, The Night Creeper is a trip in the dark side of certain humanity. Filled with Jack-the-Ripper-style atmospheres and reminiscent of Aleister Crowley, the fourth album of the band from Cambridge focuses on the the theme of addictions – drugs, sex, alcohol and even “blood” – alternating songs which could have been written by Beatles under LSD effects mired in a not exactly idyllic trip (Murder Nights above all) with others which may have been born out of Black Sabbath locked in a basement rattling off distorted, slowed down riffs (Waiting for Blood and The Night Creeper, just to mention two of them).The set is that of 60’s-70’s genere cinema, with all the imagery – and images – of noir, horror and crime b-movies of that time. Journey through a London with the acrid taste of the Victorian era, choked and smothered in fog and smoke only at times ripped opened by the dim light of some street gaslights, The Night Creeper is the bittersweet, subtly (teasingly?) disturbing soundtrack for those who want to wander on the edges of what fascinates and troubles at the same time, peering from filthy, tarnished panes of semi-forgotten windows.
[E.R.]

giovedì 29 ottobre 2015

Ornaments + Zeus! – 13.06.2015 – Cycle Club, Calenzano (FI)


Ornaments + Zeus! – 13.06.2015 – Cycle Club, Calenzano (FI) 

Gli Ornaments sono uno dei segreti meglio custoditi dell’underground italiano. Band di culto grazie all’omonimo EP autoprodotto e ai grandiosi concerti di metà anni 2000, sono poi spariti, inghiottiti dagli impegni dei suoi membri con band maggiormente considerate dalla critica (The Death of Anna Karina). La mancata pubblicazione di un album vero e proprio fino al 2013 non ha consentito loro di superare i confini dell’underground. E’ stranissimo per chi li ha seguiti fin dall’inizio ritrovarsi ad un loro concerto più di 10 anni dopo. In questo lasso di tempo l’universo post rock e post metal è cambiato e la musica della band da rivoluzionaria (il self titled è stato pubblicato contemporaneamente ai grandi dischi di Isis, Pelican e Red Sparowes, e le performance dal vivo erano perfino superiori a quelle di alcuni di questi) è diventata di genere. Resta il fatto che pochi, all’interno del genere, suonino nel 2015 così coinvolgenti ed emozionanti. Dal vivo i suoni sono perfettamente calibrati, e la musica si è evoluta, rispetto al passato, maggiormente in direzione doom, senza perdere la nostalgica malinconia del post rock. Nostalgica malinconia è quello che si prova ascoltandoli adesso, insieme ad un senso di liberazione e speranza, perché la musica del gruppo (come dimostra il recente split con gli Zeus!) è viva e vegeta e non si è persa nell’oblio del tempo.
Dopo il concerto degli Ornaments, il math rock con sfuriate grind degli Zeus! appare divertente ma non lascia il segno. La band è un ciclone di energia e si diverte a scomporre in frammenti la violenza dell’hardcore più estremo, avvicinandosi alle ritmiche folli e circonvolute di Zu e Lightning Bolt. Sarà per la mancanza di una base noise che renderebbe la loro proposta più delirante e interessante o, molto più probabilmente, sarà per la straordinaria performance degli Ornaments prima di loro, fatto sta che gli Zeus! non stupiscono quanto vorrebbero. Anche quando le due band si scambiano i ruoli, suonando l’una nello stile dell’altra, il risultato evidenzia soprattutto le grandi capacità creative degli Ornaments, che si confermano band di livello decisamente superiore a quello riconosciutole dalla critica in tutti questi anni.
[R.T.]
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 Ornaments + Zeus! – 06.13.2015 – Cycle Club, Calenzano (FI)

Ornaments are one of the best hidden secrets of Italian underground music. Cult band thanks to the omonymous self produced EP and the amazing concerts of the half 00’s, they disappeared from the scene because of the deep involvement of its members in other bands which had a more consistent critical acclaim in those years (see The Death of Anna Karina). Not having published a full-lenght until 2013, unfortunately they did not emerge from the underground. Attending their concert more than 10 years after their debut is something really strange for someone who knows and follows the band from its very beginning. In the meantime post rock and post metal universe has been changing a lot and Ornaments music has changed from revolutionary (the self titled Ep came out together with the most important albums by Isis, Pelican and Red Sparowes, and their lives were even superior to those of some of these great bands) to ordinary in its genre. Anyway, what is undeniable is that they are one of those few bands of the genre still capable to play enthralling and exciting even in 2015. Live sounds are perfectly balanced, and music has evolved towards doom, without loosing post rock nostalgic melancholy. And nostalgic melancholy – together with a sense of hope and relief - is what one feels listening to them now: because their music is well alive and not lost in time oblivion…and the recent split with Zeus! is proof of this!
After Ornaments gig, Zeus! math rock with its grind outbursts sounds funny but leaves no sign. The band is a cyclone of energy and enjoies itself in breaking extreme hardcore violence into fragments, approaching to the crazy and convoluted rhythmic of Zu and Lightning Bolt. It can be due to the lack of a consistent noise base capable to make their music more delirious and interesting or – most likely! –it can be due to the Ornaments extraordinary performance…the fact is that Zeus! do not amaze and astonish as much as they would like to. Even when the two bands exchange roles – playing the one in the style of the other – the result shows the great creative abilities of Ornaments, which proves to be of such a definitely higher level than that recognized by critics in all these years.
[R.T.]

domenica 25 ottobre 2015

Black Rainbows - Hawkdope


Black Rainbows – Hawkdope
(Heavy Psych Sounds, 2015)

L’estate del 2015, in Italia, sarà ricordata come una delle più torride degli ultimi anni. In puro stile rock l’afa soffocante deve essere affrontata con birra gelata, auto a tutta velocità e finestrini abbassati. La colonna sonora perfetta è il quarto disco dei romani Black Rainbows, uno stoner rock robusto che si diverte a richiamare l’immagine di lunghe strade bollenti nel deserto americano. Hawkdope è incontenibile e tira dritto con riff poderosi, distorsioni cariche di fuzz, melodie immediate e un groove travolgente. Quando il caldo raggiunge picchi inusitati, e la mente si annebbia, è il momento delle dilatazioni spaziali. La band di Gabriele Fiori si perde tanto nei fumi lisergici cari ad Hawkwind e Monster Magnet, quanto in quelli del diesel cari ai Fu Manchu, senza fermare mai la sua corsa. Più apprezzati all’estero che in patria, i Black Rainbows sono la dimostrazione dell’ottima qualità delle band italiane ma anche della mancanza di una vera e propria scena in grado di valorizzarle. Il loro Hawkdope è puro sudore hard rock, e se mai dovesse ripetersi un’estate calda come quella del 2015 (o se, in qualsiasi stagione, venisse voglia di birra e velocità), è un rimedio approfonditamente testato che mi sento di consigliare.
[R.T.]

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Black Rainbows – Hawkdope
(Heavy Psych Sounds, 2015)

Summer 2015 will be remembered in Italy as one of the hottest of the last years. In pure rock stile sweltering sultriness must be dealt with ice cold beer, cars running at all speed and wind in the hair. Hard to find a more perfect soundtrack than the fourth full-length by the roman Black Rainbows: a mighty stoner rock reminiscent of long boiling roads in the American desert. Hawkdope is uncontainable: powerful riffs, fuzzy distortions, catchy melodies and overwhelming groove. When hot reaches unbelievable peaks and mind becomes blurred, it is time for spacey dilations. Without ever stopping its run, Gabriele Fiori’s band wanders as much in lysergic smokes so dear to Hawkwind and Monster Magnet as in those full of diesel dear to Fu Manchu. More appreciated abroad than in their own homeland, Black Rainbows are proof of the high quality of Italian bands and at the same time they are evidence of the lack of a real scene able to enhance it. Hawkdope is pure hard rock sweat, and in case of another summer as much suffocating as summer 2015 (well, anytime you would desire beer and high speed!) it is the personally tested remedy I would really recommend to anyone!
[R.T.]


mercoledì 21 ottobre 2015

Royal Thunder - Crooked Doors


Royal Thunder – Crooked Doors
(Relapse Records, 2015)

Negli anni 2000 post rock e indie hanno imposto un ridimensionamento del ruolo che i cantanti avevano avuto nel rock fino alla fine degli anni 90. Il ritorno delle sonorità hard, al quale abbiamo assistito negli ultimissimi anni, necessitava ancora di voci in grado di tornare protagoniste. Mlny Parsonz si riprende di prepotenza il ruolo che compete ad una voce come la sua, e per farlo svetta tra i vapori psichedelici del rock alternativo dei Royal Thunder. Una musica melodica e diretta ma stratificata, quella suonata dalla band della Georgia, che si muove sulle orme dei grandi del passato con sensibilità moderna. Crooked Doors, il loro secondo full-lenght, è una ventata di energia dal sapore agrodolce, in cui i riff, anziché spingere sull’acceleratore come ci hanno abituato tante band heavy psych della stessa etichetta (Relapse), preferiscono immergere l’ascoltatore in un ondeggiante liquido psichedelico (Forget You, Wake Up e Forgive Me Karma, degne dei Soundgarden di Superunknown) sul quale la travolgente espressività di Mlny si muove in bilico tra potenza (The Line) e calore (la straordinaria accoppiata The Bear I & II). Dalla caduta del rock di Seattle si sentiva la mancanza di una musica al tempo stesso onirica e terrena come quella dei Royal Thunder.
[R.T.]
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Royal Thunder – Crooked Doors
(Relapse Records, 2015)

In the 2000s post rock and indie changed the role singers had in rock music until the end of 90s. The return of hard sounds of the latest years needed voices capable of being once again protagonist. Mlny Parsonz fiercely takes back the role proper of a voice like hers and soars above psychedelic vapors of Royal Thunder alternative rock. Melodic, yet stratified, music is what they play, following the steps ot the giants of the past with modern sensitivity. Crooked Doors, their second full-lenght, is a blast of bittersweet energy, in which riffs prefer to submerge the listener in a psychedelic waving liquid (Forget You, Wake Up and Forgive Me Karma, at the level of Soundgarden of the Superunknown era) on which Mlny’s overwhelming expressivity moves in the balance between power (The Line) and warmth (the extraordinary couple The Bear I & II), instead of pushing on the accelerator as many other heavy psych bands of the same label (Relapse) usually do. Since the fall of Seattle rock it was missing such a dreamy-and-at-the-same-time-earthly music as the one played by Royal Thunder.

[R.T.]

lunedì 19 ottobre 2015

Forgotten Tomb + Mortuary Drape + Necrosy + Darkend – 17.10.2015 – Colony (Brescia)

 

Forgotten Tomb + Mortuary Drape + Necrosy + Darkend – 17.10.2015 – Colony (Brescia)

I Forgotten Tomb sono gli headliner dell’Oblivion Fest: un festival tutto dedicato a gruppi italiani che bazzicano il “lato oscuro” dell'underground e che vede salire sul palco le prime band già a metà pomeriggio.

Arrivo per la fase serale dell’evento, e mi ritrovo di fronte ai Darkend: palco riccamente addobbato di teschi, candele e ceri, piccolo altare “da messa nera” e front-man incappucciato con tanto di bastone con teschio caprino. La band emiliana punta tanto – tantissimo – sull’aspetto scenografico e teatrale della propria performance. Peccato però che da contraltare a tanta messa in scena (sicuramente affascinante e ben realizzata) non vi sia una musica così cattiva e marcia come ci si aspetterebbe. I Darkend si attestano su un metal piuttosto classico (un mix di influenze black e death) arricchito di numerosi sampler, e ruotano tutti intorno alla figura del loro cantante, mancando però di incisività e spessore - soprattutto sulla sessione ritmica. Performance non significativa: si sente il bisogno di più idee e di una migliore resa live.

Seguono i Necrosy, band veneta che propone un death metal ben suonato e che presenta i brani del full-lenght di debutto uscito ad inizio anno. Le canzoni si incentrano su riff ben strutturati, su cui vengono intessute alcune parti più melodiche. Il cantato è convincente e la band fa di tutto per coinvolgere il pubblico. L’impressione è quella di una band con un’ottima preparazione tecnica e con un ottimo impatto: al momento manca solo quella scintilla personale che permetta loro di fare il vero salto di qualità…le premesse però ci sono tutte.

E’ poi la volta dei Mortuary Drape. Si torna alle grandi coreografie, con tutti i paramenti viola e oro che convengono al loro nome, tutti i membri incappucciati in logori mantelli, ed una profusione di incenso che stordisce. Se l'atmosfera evocata dalla loro musica non è certo oscura come il loro look lascerebbe intendere, l'impatto è innegabile, ed il concerto scorre piacevolmente un riff dopo l’altro. Impeccabili dal punto di vista tecnico, le loro sonorità classicamente thrash ed heavy metal richiamano alcuni nomi degli anni ’80 – Mercyful Fate e Venom su tutti – e rendono la loro performance divertente e convincente. Quasi trent’anni di carriera e non sentirli!

Infine i Forgotten Tomb. L'attacco, affidato ad un metal gotico catchy e melodicamente efficace, spiazza tutti coloro che se li ricordano come una band di culto in ambito suicidal/depressive black metal. In questi anni la band ha cambiato più volte pelle, mantenendo però la depravazione che l'ha contraddistinta fin dalle origini, dimostrata questa sera con un notevole uso di arpeggi dissonanti e da una nebbiosa e ovattata distorsione di chitarra. Il loro metal moderno (debitore tanto del Black quanto del Death metal melodico, ma soprattutto del doom e del metal alternativo gotico dei Katatonia) non ha più tendenze autodistruttive come agli esordi, ma suona potente, travolgente, incazzato, esasperato e annichilente. Tutte queste sensazioni, a partire dai pezzi del nuovo album Hurt yourself and the ones you love fino a quelli del passato – come la stupenda Negative Megalomania, prendono vita sul palco e da lì si riversano sul pubblico. Un’ora di concerto volata via in un baleno. Il finale, con un medley delle canzoni dei primi album, è la perfetta conclusione di un concerto che è sintesi delle diverse anime oscure che animano la band.
[E.R.]
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Forgotten Tomb + Mortuary Drape + Necrosy + Darkend – 10.17.2015 – Colony (Brescia)

Forgotten Tomb are headliner at the Oblivion Fest: a festival entirely dedicated to those Italian bands involved in the “dark side” of underground music and which started in the mid afternoon.

I arrive for the evening set, and the first band I find on stage are Darkend: plenty of skulls, candles, a tiny altar with all the paraphernalia for a black mass and a hooded front-man with a goat skull stick in his hand. It is clear that the Emilian band invests a lot – really a lot! – on the scenic and theatrical aspect of their performance. It is a shame though that such an accurate and sophisticated staging does not go together with the evil and rotten music one would expect. In fact, Darkend play a classic metal (sort of mix of black and death influences) enriched by numerous samplers and they are all centered on the figure of the singer, lacking incisiveness and quality – especially in the rhythm section. Not significant performance: more ideas and better live capability are really needed.

Then Necrosy, band from Veneto, which proposes a well-played death metal and presents the songs from their debut full-lenght (out at the beginning of this year). Songs have their core in well structured riffs, among which more melodic parts are interwoven. The singing is effective and the band does its best to involve the public in their show. The impression is that of a combo with great technical skills and a very good live impact: at the moment what is lacking is just a personal spark allowing them to make the real qualitative breakthrough…yet the premises are already there.

Then is the turn of Mortuary Drape. And so it is time again of great coreographies: all the purple and gold draperies proper of their name, all the musicians hooded in worn cloaks, a stunning profusion of incense. If the atmosphere evoken by their music is certainly not that dark and esoteric as their look would suggest, yet the impact is undeniable and the show flows with enthusiasm riff by riff. Flawless from the technical point of view, their classic thrash and heavy metal sound is reminiscent of some 80s bands – Mercyful Fate and Venom above all the others – and this makes their concert entertaining and compelling. Almost thirty years of career…without feeling them!

Finally Forgotten Tomb. The opening – a catchy, melodically effective, gothic metal – surely upsets all the ones who think of them as a cult suicidal/depressive black metal band. During these years the band has changed its skin several times, yet always maintaining that sort of originary, distinguishing, depravation – well expressed even tonight through a massive use of dissonant arpeggios and the foggy, hushed, guitar distorsion. Their modern metal (debtor both to black metal and melodic death metal, but debtor especially to the doom and alternative gothic metal of Katatonia) is not so much self-destructive as it was at the beginning, yet it still sounds powerful, enthrolling, angry, exasperated and annihilating. All these feelings – both through songs of the latest album Hurt yourself and the ones you love and those of the past ones (as the amazing Negative Megalomania) – come to life on stage and from the stage get off on the audience. One hour of intense music flies away in a moment. The final – a medley of songs from the first albums – is the perfect conclusion of a concert which is the synthesis of the many dark souls of the band.

[E.R.]
 




venerdì 16 ottobre 2015

Cathedral - Forest of Equilibrium


Cathedral – Forest of Equilibrium
(Earache, 1991)

Lee Dorrian ama i limiti estremi. A metà degli anni 80 contribuisce a creare suoni folli e brutali, attraverso la musica incredibilmente breve e veloce dei Napalm Death. Poi crea un suono sepolcrale attraverso la musica incredibilmente lenta e allungata dei Cathedral. Una volta ancora il risultato è un’autentica rivoluzione. Forest of Equilibrium è così dilatato che trascende le sue influenze suonando allucinogeno e drogato. Al di là dell’abbondanza di oscurità e senso di oppressione, classica nel doom metal degli anni 80, non ci sono melodie epiche o riff hard rock, bensì una nebbia psichedelica che ricorda la passione per le droghe degli anni 70, senza risultare simile al suono dei Black Sabbath. I Cathedral mostrano la dimensione grottesca del doom, che sarà esplicita negli album seguenti, mentre qui risulta ancora sottile. Uno strano “cattivo viaggio” cimiteriale, come mostra l’artwork del disco.
[R.T]

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Cathedral – Forest of Equilibrium
(Earache, 1991)

Lee Dorrian loves extreme borders. In the middle of the 80s he contributes to create a brutal and crazy sound, through ultra-short and ultra-fast Napalm Death music. Then, he creates a sepulchral sound, through ultra-long and ultra-slow Cathedral music. Once again the result is an authentic revolution. Forest of Equilibrium is so dilated that transcends his influences sounding hallucinogenic and stoned. Beyond the abundance of darkness and sense of oppression, classical in doom metal of the 80s, there are no epic melodies or hard rock riffs, but a psychedelic fog that reminds 70s drug passion, without being similar to Black Sabbath sound. Cathedral show the grotesque dimension of doom, that will be explicit in the following albums - while here it is still subtle. A strange cemeterial bad trip, as the cover artwork shows.
[R.T]


lunedì 12 ottobre 2015

Einstürzende Neubauten – 07.07.2015 – Ippodromo del Visarno, Firenze

 

Einstürzende Neubauten – 07.07.2015 – Ippodromo del Visarno, Firenze

Mi è difficile trasferire in poche parole le impressioni e le sensazioni del concerto degli Einstürzende Neubauten... sono tante e sono variegate! Anche perché "Lament" - il concept album eseguito nella sua integralità di opera non scomponibile in "estratti" per essere apprezzata a pieno - non può essere riassunto con un unico aggettivo.
Imponente. Nella sua molteplice e multiforme strumentazione, nei suoi 5 membri, nel quintetto classico che li accompagnava, nei rodies (fondamentali!) che facevano la spola dal centro ai lati del palco per portare-spostare-montare-smantellare i vari pezzi al momento giusto.
Ambizioso. Nel tema cardine che compone questo concept album - la prima guerra mondiale - affrontato e raccontato attraverso ricostruzioni, suggestioni e registrazioni che vanno a tessere una trama fitta e complessa che ben rispecchia ciò che è stato quel conflitto.
Magistrale. Nei suoni, nelle luci, nella composizione, nel perfetto bilanciarsi di pieni e vuoti, nella narrazione teatrale senza soluzione di continuità che ha fatto letteralmente volar via in un attimo i 75' dell'opera.
Emozionante. Per la musica stessa, in primo in luogo. Per la voce di Blixa Bargeld. Per i climax di alcune parti della composizione. Per il soggetto dell'opera. Per le continue suggestioni evocate.
...pensare che ho comprato il biglietto solo una settimana prima! Se non fossi andata a sentire questo concerto degli Einstürzende Neubauten mi sarei persa un'esperienza musicale - e artistica in generale - decisamente intensa e cui difficilmente capita di assistere.
                                                                                                                                                       [E.R.]

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Einstürzende Neubauten – 07.07.2015 – Ippodromo del Visarno, Firenze

It is difficult to express in a few words impressions and feelings aroused by the Einstürzende Neubauten concert…they are so many and so variegated! This happens also because Lament – the concept album performed in its entirety of non-disassemblable opus – can not be described by a single adjective as much as the performing of some excerpts makes impossible to appreciate its value and meaning.
Magnificent. Its manifold and multiform instrumentation, its 5 members, the classic quintet supporting and enriching the show, the rodies (fundamentals!) running back and forth from the centre to the sides of the stage bringing-moving-assembling-dismanteling all the different pieces at the right moment.
Ambitious. The central theme of this concept – the First World War – tackled and discussed through reconstructions, suggestions and recordings, densely woven together in a complex pattern that perfectly mirrors that conflict.
Masterly. Sounds, lights, composition, perfect balance of contrasts, seamless theatrical narration that makes the 75 minutes of the opus literally fly away.
Emotional. First of all, the music itself. Then Blixa Bargeld voice. And climaxes of some parts of the composition. The subject of the concept album. The continuous evoked impressions and suggestions.
I bought my ticket just a week before this event: if i had not attended this Einstürzende Neubauten concert, I would have missed such an intense and rare musical – artistic! – performance that I would have regretted forever.
[E.R.]
 



sabato 10 ottobre 2015

Torche - Restarter


Torche – Restarter
(Relapse Records, 2015)

Restarter, come suggerisce il titolo, è la seconda giovinezza dei Torche.
Il muro di suono che si abbatte sull’incredulo ascoltatore ingurgita le melodie pop del passato, delle quali sopravvivono soltanto dei languidi bagliori all’interno del colossale quarto disco della band di Miami.
I Torche spingono “oltre” gli standard stoner rock generando un suono pesantissimo ma al tempo stesso rotondo, perfetto per valorizzare i riff muscolosi delle dieci canzoni. La seconda vita della band è energia pura, con una pesantezza che approda ad un passo dal post metal e dall’industrial (la poderosa Undone), e un retrogusto acido degno dei migliori dischi dell’epoca grunge (No Servants è i Soundgarden al loro apice). La melodia e il groove non sono perduti, ma sono perfettamente inseriti nella devastante valanga di bassi distorti che rendono Restarter uno dei migliori dischi pesanti degli ultimi tempi.

[R.T.]

***

 Torche – Restarter
(Relapse Records, 2015)

Restarter - as the title may suggest - is the second youth of Torche.
The wall of sound that strikes the incredulous listener gobbles all pop melodies of the past, which survive only in some languid glows of the colossal fourth album of the band from Miami.
Torche push “beyond” stoner rock standards, developing an extremely heavy sound, yet mellow at the same time: perfect to enhance and enrich the solid, tough riffs of the ten songs. This second life of the band is pure energy: it has got a heaviness that lands a step away from post metal and industriali (the powerful Undone) and an acid aftertaste worthy of the best albums of the grunge era (No Servants is Soundgarden at their apex). Anyway, they do not lose melody and groove, perfectly inserted in the devastating avalanche of distorted basses which makes Restarter one of the best heavy albums of the last years.

[R.T.]


giovedì 8 ottobre 2015

Lucifer - Lucifer I



Lucifer – Lucifer I
(Rise Above, 2015) 

In un periodo particolarmente fertile per le sonorità occulte di derivazione sabbathiana, l’esordio dei Lucifer risalta non soltanto per la fama dei musicisti coinvolti ma soprattutto per la qualità della musica: un massiccio doom metal intriso di oblique melodie dal sapore mediorientale, che richiamano atmosfere dell’antico Egitto. Nonostante le sensazioni antiche e misteriose che trasmette la musica, questa è assemblata a distanza con metodi moderni (i massicci riff del maestro Gaz Jennings –colonna portante dei defunti Cathedral- si incontrano con la misteriosa voce di Johanna Sadonis –cantante delle altrettanto defunte nuove promesse The Oath- solo dopo aver attraversato via internet la distanza che separa l’Inghilterra dalla Germania). Il risultato è coeso, potente, affascinante e mai artefatto. Sulla scia dei grandi dell’hard rock oscuro degli anni 70, i Lucifer pescano nell’immaginario occulto, accennando anche alla melodie della New Wave of British Heavy Metal, ma lo fanno anche con il tocco ironico dell’appassionato di B Movie Horror (“…don’t be afraid, you’ll live until you die…”). Un disco esaltante che racchiude la classe dei veterani e la creatività delle nuove promesse, confermando l’ottimo momento dell’hard rock oscuro.

 [R.T.]
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Lucifer – Lucifer I
(Rise Above, 2015)
 
In such a fertile time for occult sounds of sabbathian memory, Lucifer debut stands out not only for the celebrity of the musicans involved in this project, but also – and primarily – for the high quality of the music: a mighty doom metal steeped in oblique melodies of Middle Eastern taste, reminiscent of the ancient Egypt. In spite of the antique and arcane sensations evoked by Lucifer music, this is assembled remotely thanks to modern technology (mastodontic riffs of Gaz Jenning – backbone of defunct Cathedral – meet mysterious voice of Joanna Sadonis – singer of defunct new promises The Oath – only after crossing via internet the distance between England and Germany). The result is coherent, powerful, bewitching and never artificial. In the wake of occult 70s hard rock big bands, Lucifer pick from the repertoire of magic, arcane imagery, with hints of NWOBHM, but also with the irony of the horror B movie fan (“…don’t be afraid, you’ll live until you die…”). An enthralling album that keeps together the mastery of the veterans and the creativity of the new promises, confirming the moment of grace of occult hard rock.
[R.T.]

lunedì 5 ottobre 2015

Taake + Krakow + Orkan + Kaiserreich – 3.10.2015 – Colony (Brescia)

 


 Taake + Krakow + Orkan + Kaiserreich – 3.10.2015 – Colony (Brescia)

Da sempre il Black Metal fa parlare di sè più per le gesta dei suoi personaggi che per la musica. Il leader dei Taake, Orjan Stedjeberg (nome di battaglia Hoest) è noto per le sue provocazioni (un concerto in Germania fu sospeso per lancio di oggetti da parte del pubblico, quando si presentò con una svastica dipinta sul petto), ma stasera ci dimostra che il black metal è sostanza, con un concerto davvero straordinario.

Aprono la serata i Kaiserreich con un black metal piuttosto tradizionale ma ben suonato e capace di creare una buona atmosfera preparatoria all’arrivo dei Taake. La band bresciana tenta di ricreare il gelo dei fiordi norvegesi con i classici blast beat ritmici sui quali si innestano chitarre glaciali e grida disperate. La personalità è ancora da costruire ma le buone idee ci sono.

Salgono poi sul palco gli Orkan, band di Bergen che fin dal look ricorda più una band thrash metal che una setta di demoni blacksters. E il loro concerto è proprio una perfetta combinazione delle due correnti musicali, con sfuriate a tutta velocità che, grazie anche all’uso di accordi dissonanti, ricordano certe soluzioni degli Enslaved, abbinate a veloci e divertenti riff thrash metal. Gli Orkan spaccano come il thrash dei vecchi tempi, ma lo fanno con personalità (anche grazie a qualche innesto punk e perfino stoner), dimostrandosi una scoperta molto interessante, che impone un approfondimento della loro conoscenza.

I Krakow, anch’essi di Bergen, aprono il loro concerto con una lunga composizione che unisce malinconici arpeggi post rock a muri di suono doom. Musicalmente non in linea con il resto della band della serata, riescono comunque a tenere viva l’attenzione dei presenti grazie ai mastodontici riff fangosi sui quali si inerpicano esplosioni rumorose. Nei momenti di quiete la band cerca di ricreare l’atmosfera psichedelica e malinconica del post metal, ma perde di efficacia lasciando troppi vuoti, e cade nello zuccheroso con la voce pulita del chitarrista davvero troppo esile, se confrontata all’ottimo cantato sporco del bassista.

I Taake appaiono come guerrieri vichinghi sul palco coperto di nebbia, e attaccano frontalmente il pubblico con un’energia spesso sconosciuta in un genere più interessato all’atmosfera di malvagità che alla potenza. Invece il gruppo norvegese ha forza da vendere, e Hoest si dimostra un vero e proprio frontman in grado di caricare un pubblico già di per sè intenzionato a portare scompiglio con una buone dose di pogo. Lercio e putrido, con una consumatissima giacca di pelle aperta sul petto per mostrare il tatuaggio della croce rovesciata, lo sguardo psicotico, un barbone da musicista sludge e una bottiglia di vino perennemente in mano, il cantante dalla voce sporca e polverosa è la rappresentazione della degenerazione. E così è la musica della sua band. Sporca, scorretta, provocatoria come il black metal delle origini (Venom), con una potenza che richiama il thrash metal più intransigente, e che a tratti riesce perfino a flirtare con il groove dello stoner. Alla fine la straripante energia della band mostra un lato del true norwegian black metal solitamente poco conosciuto, senza per questo mai abbandonare i dettami classici del genere o mai cedere a compromessi (a parte per un interessantissimo abbinamento tra violenza pura e un banjo!). Che un concerto black metal potesse risultare più divertente che spaventoso se lo aspettavano in pochi, ma i Taake lo hanno reso possibile. 
[R.T.]

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Taake + Krakow + Orkan + Kaisereich – 10.03.2015 – Colony (Brescia)

Black Metal has always attracted attention more for its characters than for its music. Orjan Stedjeberg (aka Hoest) – leader of the Norwegian band Taake – is famous for his provocations (one of his show in Germany was suspended because of him getting on stage with a swastika painted on his breast), but tonight – thanks to an amazing concert - he has been able to demonstrate that black metal has got substance in itself.

Kaisereich opens this evening. They play a traditional black metal, yet they play it very well and this creates an adequate atmosphere while waiting for the headliner. The band from Brescia tries to recreate the chill of Norwegian fjords through classical rhythmic blast beats which sustain freezing guitars and desperate screams. A definite personality is still to be built, anyway good ideas are already there.

Then it is the turn of Orkan. Band from Bergen, they look more like a thrash metal combo than to a sect of demonic blacksters. And their concert is exactly a perfect combination of the two musical genres, with outbursts at full speed – reminiscent of certain Enslaved songs thanks to the use of dissonant chords – combined with funny, fast thrash metal riffs. Orkan are powerful as old school thrash, yet they do it with their own personality (there are even some punk and stoner inserts!) proving to be a really interesting discover, worth to deepen.

Krakow (also them from Bregen) open their show with a long piece that combines together melancholic post rock arpeggios with doomy walls of sound. Musically not in line with the rest of the bands, nevertheless they are capable to keep the attention of the audience thanks to muddy mastodontic riffs interrupted by thunderous explosions. During quieter moments, Krakow tries to create the psychedelic, melancholic atmosphere typical of post metal, but they lose strenght and effectiveness leaving to many empty spaces and falling in a sort of honeyed mood because of the too thin, faint clean vocals of the guitarist – and this is a real pity, especially thinking of the great harsh vocals of the bassist.

Taake appear on the foggy stage as Viking warriors and they frontally attack the audience with a strenght which is usually unfamiliar to a musical genre more interested in wickedness than in power. Yet the Norwegian band is really mighty, and Hoest is a proper frontman, able to excite all the presents (already well excited, moshing in front of the stage). Filthy and rotten, a threadbare leather jacket opened on his nacked breast  showing a tattoed inverted cross, psychotic eyes, a sludgy long beard and a bottle of wine constantly in his hand, the singer with his harsh and dusty voice is the perfect representation of degeneration. And so it is Taake music: dirty, incorrect and provocative as black metal in its origin (let’s think about Venom!), powerful as the most uncompromising thrash metal, and at times even flirting with stoner groove. In the end the overflowing energy of the band shows a usually unknown side of true norwegian black metal, without ever abandoning the classical dictates of the genre or yielding to compromises (except, maybe, for a really interesting combination of pure violence and…a banjo!). It sounds strange thinking of a black metal gig as something more entertaining than scary…well, Taake managed to get this result!

[R.T.]





venerdì 2 ottobre 2015

Ufomammut - Ecate




Ufomammut – Ecate
(Neurot Recordings, 2015)



La sintesi può sembrare un difetto in un genere come il doom cosmico caratterizzato solitamente da dilatazioni che tentano di spingersi al di là dell’umana percezione del tempo. Eppure, proprio grazie alla sintesi, gli Ufomammut, (giunti al loro settimo album) concepiscono uno dei loro lavori più significativi. Concentrata su riff monolitici e possenti - più vicini alle frammentazioni stordenti, ma sempre dinamiche, dei Melvins rispetto a quanto fatto in passato - la band di Tortona crea una serie di macigni (dal punto di vista sonoro ancor più pesanti rispetto a quelli degli album precedenti, anche se meno soffocanti e alienanti) nei quali la batteria di Vita è assolutamente protagonista. Il groove irregolare e la varietà delle sei canzoni non rende meno psichedelico l’effetto dei riverberi ultraterreni o dei synth spaziali, ma anzi ne amplifica il risultato, andando a costituire il terzo vertice nella triangolare carriera del trio italiano: se Snailking è il labirintico avvolgersi del magma pesante verso lidi psichedelici e Lucifer Songs il definitivo trip ambient, Ecate è la pioggia di meteoriti che mancava nella carriera della band.

[R.T.]



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Ufomammut – Ecate
(Neurot Recordings, 2015)



Sometimes synthesis may seem a defect in a genre usually characterized by dilations which try to go beyond human perception of time like cosmic doom is. Yet, thanks to synthesis, Ufomammut – with their 7th full lenght – conceive one of their most relevant, significant, albums. Focused on heavy monolithic riffs – nearer to the stunning, yet dynamic, Melvins’ fragmentations as ever before – the band from Tortona creats a series of boulders in which Vita’ s drumming is absolutely protagonist (and looking at sounds, here they are even heavier than before, though less suffocating and alienating). The irregular groove and variety of the six tracks sustains the psychedelic effect of otherworldly reverbs and space synth, amplifying the result and making this album the third vertex of the triangular career of the italian trio: if Snailking is the mazy in-wrapping of ponderous magma towards psychedlic shores and Lucifer Songs is the ultimate ambient trip, Ecate is the meteor shower missing in their history up to now.

[R.T.]