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martedì 19 marzo 2019

Anna Von Hausswolff – Dead Magic


Anna Von Hausswolff – Dead Magic
(2018, City Slang)

Tende rosse, come quelle di un sipario, e un pavimento dove linee bianche e nere si inseguono a zigzag. In questo luogo metafisico, sorta di sala di attesa, risuona Dead Magic. Tutto nasce sui tasti di un grande organo a canne, in una chiesa di marmo nel cuore di Copenaghen, ma prende vita nel silenzio infinito e sconosciuto delle poesie di Walter Ljungquist e dei film di David Lynch. Laddove i sogni collegano dimensioni diverse della nostra esistenza, lì si sviluppa la musica onirica di Anna Von Hausswolff. Se musiciste a lei contemporanee, come Chelsea Wolfe e Myrkur, indagano la fragile fase transitoria tra sonno e veglia, Anna entra direttamente nella fase del sogno e cerca una strada nel suo surrealismo. Nonostante l’apparenza, l'atmosfera non è esclusivamente quella oscura degli incubi, ma piuttosto quella misteriosa e nebbiosa di un mondo che non conosciamo e che facciamo fatica a comprendere. Nelle lunghe composizioni di Anna si perde l’orientamento e questo genera smarrimento, disagio, tensione, a tratti perfino paura. Tutto questo è inevitabile. Lunghe e soffocanti note di organo e synth, ai limiti del drone (non a caso è Randall Dunn ad aver prodotto il disco), e perfino qualche accenno all’angoscia con la quale i Goblin coloravano i film di Dario Argento. Ma ciò che ci fa paura è l’oscurità in sé o l’idea che qualcosa di malvagio possa nascondersi in essa? Guidandoci attraverso sentieri inusuali, seguendo qualche traccia lasciata lungo la strada da esploratrici dell’aldilà come Lisa Gerrard, Anna Von Hausswolff sembra suggerirci che l’oscurità è spaventosa in quanto a noi ignota, ma che una sensibilità più profonda e sviluppata potrebbe mostrarci inedite realtà al di là della tenda rossa, e non necessariamente terrificanti.
[R.T.]
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Anna Von Hausswolff – Dead Magic
(2018, City Slang)

Red curtains, like those of a theatre, and a floor where black and white lines follow each other like a zigzag. Dead Magic resounds in this metaphysical place, sort of waiting room. It all starts on the keys of a large pipe organ, in a marble church in the heart of Copenhagen, but it comes to life in the infinite and unknown silence of Walter Ljungquist's poems and David Lynch's movies. Where dreams connect different dimensions of our existence, there Anna Von Hausswolff's oneiric music develops itself. If contemporary musicians, like Chelsea Wolfe and Myrkur, investigate the fragile transitional phase between sleep and wakefulness, Anna enters directly into the phase of dream and looks for a way in its surrealism. Despite the appearance, the atmosphere is not exclusively the obscure one of nightmares, but rather the mysterious and foggy one of a world that we do not know and that we find it hard to understand. In Anna's long compositions the orientation is lost and this generates loss, discomfort, tension, at times even fear. All this is unavoidable. Long and suffocating notes of organ and synth, at the limits of drone (not surprisingly it is Randall Dunn who produced the album), and even some hints of the anguish with which Goblins used to colour Dario Argento's movies. But what scares us is the darkness itself or the idea that something evil can hide in it? Leading us through unusual paths, following some trails left along the way by explorers of the afterlife like Lisa Gerrard, Anna Von Hausswolff seems to suggest that darkness is frightening because we do not know it, but that a deeper and more developed sensibility could show us new realities beyond the red curtain, and not necessarily terrifying.
[R.T.]

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