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mercoledì 3 maggio 2017

Roadburn Festival 2017 – Day 1

 

Roadburn Festival 2017 – Day 1
[Bongzilla + Deafheaven + Coven + Pinkish Black + SubRosa + Wretch]

Sono passati circa 10 anni dal primo - fallito! - tentativo di andare al Roadburn. Il giorno di apertura delle prevendite i biglietti si volatilizzarono in una mezz’ora scarsa, lasciandoci a bocca asciutta. Da allora il festival olandese ha ampliato la sua capienza (attualmente più di 4000 partecipanti giornalieri) ed ha abbandonato lo scettro di unico festival europeo dedicato al territorio di confine tra stoner, doom e psichedelia - e questo fa sì che non sia più impossibile procurarsi un biglietto. Inoltre, in questi dieci anni, il Roadburn ha anche ampliato e ulteriormente sfaccettato la propria personalità inoltrandosi sempre più nell'universo della musica sperimentale, progressiva e di avanguardia. L'edizione 2017 approfondisce in particolare le esplorazioni più psichedeliche e visionarie del black metal, senza comunque tralasciare l'impronta heavy psych.

Il nostro viaggio fino a Tilburg lo facciamo in auto: una traversata di 1300 km, attraverso bufere di neve nella tratta svizzera fino a Basilea (anticipazione del black metal che verrà) e code di camion al traforo del Gottardo e lungo le strade olandesi (anticipazioni del doom pachidermico che verrà). Il Roadburn è un viaggio, un'esperienza, non un semplice concerto. Fin dalla partenza da casa. A maggior ragione se è atteso da dieci anni.

Finalmente parcheggiata l'auto a pochi metri dal mitico Poppodium 013 (cuore del festival) e accaparrato in pochi istanti il braccialetto di accesso ai vari locali dell'evento, veniamo catturati dai primi suoni distorti provenienti da una (ormai ex) chiesa. 

Entrati nell'Het Patronaat ci troviamo di fronte ai Wretch, che hanno da pochissimo iniziato il loro concerto. Il nostro battesimo al Roadburn avviene nel più classico dei modi: niente sperimentazioni, puro doom metal. La loro musica è figlia di Saint Vitus e Pentagram, con alcuni accenni space rock ad arricchire un heavy metal classico e tradizionale. Ed è proprio nei momenti quasi stoner e meno cadenzati che la band degli ex The Gates of Slumber Karl Simon e Chris Gordon si dimostra più efficace. Ma ciò che colpisce è soprattutto il bellissimo ambiente dell'Het Patronaat, un locale ricavato dalla parte più alta di una - ormai sconsacrata - nordica parrocchia dal soffitto di travi, con il piccolo palco all'interno dell'abside e vetrate mosaico a frammentare la luce del giorno e a donare un'atmosfera astratta.

Il nostro viaggio prosegue nella sala principale dello 013. E' appena metà pomeriggio del primo giorno, ma quando i SubRosa attaccano il giro di basso di Despair is a Siren è subito evidente che si è al cospetto di uno dei primi apici di questa ventunesima edizione del festival. La band di Salt Lake City dedica il concerto all'esecuzione integrale dell'ultimo album (For This We Fought the Battle of Ages), riuscendo a rendere ancor più possente, maestosa ed emozionante un’opera in sé tanto complessa. Dopo i primissimi minuti, la chitarra acquista quel suono gigantesco che ha su disco, i violini incantano da tanto suonano intensi e gli intrecci delle voci sono semplicemente perfetti. Le splendide proiezioni, insieme all’apporto di un’inaspettata ospite (voce e flauto traverso), impreziosiscono un concerto già in sé memorabile. Immensi.

E’ una vera e propria corsa quella per riuscire a sentire i Pinkish Black. Solo 10 minuti di cronometro, tra le ultime vibrazioni dei violini dei Subrosa e i primi droni sintetici della band texana. La presenza dei Wolves in the Throne Room sul Main Stage ci rende possibile conquistare un posto nel minuscolo Extase: un locale estremamente intimo e lievemente claustrofobico, in cui ci ritroviamo stivati uno addosso all’altro, sotto un tetto bassissimo. L’atmosfera è vagamente asfissiante: ideale per gustarsi il pessimismo e l’oppressione indotte dai muri di synth e dalle atmosfere da film horror dei Pinkish Black. La loro musica suona ancor più allucinata, allucinante e cupa che su disco. Una vera e propria ventata di depressione. Bottom of the Morning, title track dell’ultimo bellissimo album, è l’apice (di negatività). Insomma un gran concerto!

Ripreso il respiro, saliamo sulla balconata del Main Stage per assistere al "ritorno" dei Coven. Più che un ritorno, il loro primo concerto in assoluto in territorio europeo è una riesumazione. Una bara campeggia al centro del palco, e ben presto ne esce Jynx Dawson, iconico personaggio che - in un’epoca di particolare successo per l’occult rock al femminile - rappresenta un modello e un punto di riferimento fondamentale. Sono passate ere geologiche dal loro seminale album d’esordio (Witchcraft Destroys Mind and Reaps Souls, 1969) e nel frattempo la magnetica Jynx è diventata la “Patty Pravo dell’horror rock” e il suo nuovo compare alla chitarra, Ricktor Ravensbrück, si esibisce in "bizze adolescenziali" (dopo aver litigato più volte con il tecnico della chitarra - secondo lui responsabile dei problemi della sei corde - abbandona il palco per 2-3 canzoni in segno di protesta). Il loro è comunque un concerto divertente di hard rock sporcato da tinte vagamente tenebrose, privo delle scenografie e rituali di cui sono piene le passate cronache, ma comunque divertente. La voce di Jynx non è più quella di un tempo, e il suo personaggio ha inevitabilmente virato da “femme fatale” a “vecchia signora del rock”. Il tempo non scalfisce il mito, al di là degli evidenti segni del suo inesorabile scorrere.

Ben diverse le atmosfere generate dai Deafheaven. Musicalmente compatti e potentissimi, con suoni dalla precisione chirurgica e riff che sono vere e proprie sventagliate di mitragliatrice, ma attraverso i quali si scorgono preziose trame di melodia e pause di respiro ai confini del post rock. George Clark è impeccabile e usa la voce con grande maestria. Non solo: come la musica della sua band, rompe ogni convenzione legata al metal, con atteggiamenti e balletti schizofrenici, a tratti involontariamente esilaranti. Il contrasto tra furia violenta (più devastante del previsto) e "romanticismo" è il loro punto di forza.

Se, nel corso della giornata, nessuna nuvola di fumo si era innalzata al chiuso delle varie sale, dovevamo aspettarci che il concerto dei Bongzilla avrebbe invertito di colpo la tendenza. Appena la band americana attacca i riff dilatati e pesantissimi di Gateway (album del 2002), una nebbia di marijuana invade lo 013. Tra un ringhio e l’altro nel microfono, Muleboy, si fa offrire cannoni dalle prime file del pubblico, offrendo in cambio qualche canzone in più. Se questo potrebbe far temere per la performance del gruppo, il concerto dei Bongzilla acquista invece, proprio per questo, il carburante necessario per suonare clamorosamente potente e riuscito. Dopo l’alcolismo dei Weedeater al Desertfest belga dell'ottobre scorso, il fumo dei Bongzilla dimostra (se ce ne fosse stato bisogno!) quanto gli eccessi facciano bene ad un genere come lo sludge / stoner doom. Video culto di propaganda anti-marijuana, ironicamente proiettati alle spalle della band, rendono ancor più divertente un concerto davvero gonfio e marcio, e sono il perfetto "ending theme" di questa prima, straordinaria, giornata di Roadburn!

[E.R. + R.T.]

 

 

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Roadburn Festival 2017 – Day 1
[Bongzilla + Deafheaven + Coven + Pinkish Black + SubRosa + Wretch]

It's been about 10 years since the first - failed! - attempt to go to Roadburn. On the opening day of the pre-sale tickets volatilized in less than half an hour low, leaving us dry mouth. Since then, the Dutch festival has expanded its capacity (currently more than 4,000 daily participants) and has abandoned the scepter of one and only European festival devoted to the border territory among stoner, doom and psychedelia - and this let now possible to obtain a ticket. In addition to this, over the last ten years Roadburn has also expanded and further faceted its personality by increasingly moving into the universe of experimental, progressive and avant-garde music. The 2017 edition explores in particular the most psychedelic and visionary explorations of black metal, without losing its heavy psych imprint.

We travel to Tilburg by car: a 1300-kilometer trip through snow buffs in the Swiss segment until Basel (anticipation of the black metal to come) and queues of trucks at the Gotthard tunnel and along the Dutch roads (anticipation of the pachydermic doom to come). Roadburn is a journey, an experience, not a simple concert. Since leaving home. Even more so if it has been waited almost ten years.

Finally parked the car a few meters away from the legendary Poppodium 013 (heart of the festival) and grabbed in a few moments the wristband key to the various venues of the event, we are captured by the first distorted sounds coming from a (now ex-) church.

Once inside Het Patronaat we find Wretch on stage. Our baptism at Roadburn takes place in the most classic of the ways: no experimentation, pure doom metal. Their music is daughter of Saint Vitus and Pentagram, with some  space rock hints enriching a classic traditional heavy metal. And it is precisely in those stonerish less cadenced passages that (former Gates of Slumber) Karl Simon and Chris Gordon band proves to be more effective. But what it is really striking is above all the beautiful setting of the Het Patronaat, a musical hall made out of the highest part of a - now deconsecrated - northern parish church with the ceiling of woody beams, with the small stage inside the apse and mosaic glass windows fragmenting daylight and giving an abstract atmosphere.

Our journey continues with a visit to Main Stage at 013. It's just mid-afternoon on the first day, but when SubRosa attack Despair is a Siren bass line it's immediately evident that we are in front of one of the top apexes of this twenty-first edition of the festival. The Salt Lake City band dedicates the concert to the full performance of their latest album (For This We Fought the Battle of Ages), making even more powerful, majestic and exciting a work that is in itself already much complex. After the first few minutes, the guitar conquers that giant sound it has in the album recordings, violins are enchanting so much intense they sound and the interweaving of the voices is simply perfect. The gorgeous projections, together with the an unexpected (voice and transverse flute) guest, enhance an already memorable concert already. Immense.

It's a real race the one we run to listen to Pinkish Black. Only 10 minutes of stopwatch separate the latest vibrations of SubRosa violins and the first synthetic drones of the Texan band. Wolves in the Throne Room on the Main Stage makes it possible to win a place in the tiny Extase: an extremely intimate, slightly claustrophobic venue where we find ourselves stuck one another under a very low ceiling. The atmosphere is vaguely asphyxiating: ideal to enjoy the pessimism and oppression induced by Pinkish Black walls of synths and horror movie atmospheres. Their music sounds even more hallucinatory, hallucinating and gloomy than on recordings. A real breath of depression. Bottom of the Morning, title track of their latest beautiful album, is the climax (of negativity). In short, a great concert!

Resumed the breath, we so upstairs on the Main Stage balcony to attend the "return" of the Coven. More than a return, their first ever concert in Europe is a resurgence. A coffin stands at the center of the stage, and out of it comes Jynx Dawson, iconic character who is a fundamental model and point of reference in this particularly successful age for "female" occult rock. Geological eras have passed since their seminal debut album (Witchcraft Destroys Mind and Reaps Souls, 1969) and in the meantime magnetic Jynx has become a sort of "Patty Pravo of horror rock" and her newcomer guitarist Ricktor Ravensbrück performs in "adolescent tantrums" (after repeated discussions with the guitar technician - according to him responsible for the problems of the six strings - he abandons the stage for 2-3 songs in protest). However, theirs is an entertaining hard rock gig with vaguely horror dark tones, devoid of those scenery and rituals extensively described in past chronicles, yet still funny. Jynx voice is no longer that of a time, and her character has inevitably turned from "fatal femme" to "old lady of rock". Time does not scratch the myth, beyond the obvious signs of its inexorable flow.

Completely different the atmospheres created by Deafheaven. Musically compact and powerful, with sounds of surgical precision and riffs that are real bursts of machine gun, but through which you can see precious melodies and breath breaks on the edge of post rock. George Clark is impeccable and uses his voice with great skill. Not only that: like the music of his band, he breaks all conventions related to metal, with schizophrenic attitudes and ballets, sometimes unintentionally funny. The contrast between violent (more devastating than expected) fury and "romance" is their strength.

If, during the whole day, no cloud of smoke had risen in the halls of the various venues, we should expect that Bongzilla concert would have suddenly reversed the trend. As soon as the American band attacks the dilated and heavy riffs of Gateway (2002 album), a fog of marijuana invades 013. Between a snarl and the other in the microphone, Muleboy, asks for joints in the first rows, offering in change some more songs. If this could cause concern for the performance of the band, Bongzilla concert instead finds the fuel necessary to play fiercely powerful and successful exactly for his reason. After Weedeater alcoholism at the Belgian Desertfest last October, Bongzilla weed "addiction" proves (if there was any need for it!) how much excesses are doing well to a musical genre like sludge/stoner doom. Cult video of anti-marijuana propaganda, ironically projected behind the band, make even more funny a really doped and rotting concert, and are the perfect "ending theme" of this first, extraordinary, day of Roadburn!
[E.R. + R.T.]

 

 

 



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