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mercoledì 4 maggio 2016

Desertfest London 2016 – Day 1


Desertfest London 2016 – Day 1
[Corrosion of Conformity + Crowbar + Asteroid + Guapo]

Aereo, metro, arrivo a Camden, scarico bagagli all’albergo e finalmente l’arrivo al quartier generale del Desertfest – Greenland Place e l’Our Black Heart - e l’apposizione del nero bracciale al nostro polso. Che il nostro Desertfest abbia inizio, e che lo abbia proprio da qui.

Saliamo su nel buio dell’Our Black Heart giusto in tempo per le prime note dei Guapo. In questa specie di soffitta - dal meraviglioso sapore dell’underground - ci troviamo di fronte una band decisamente più sporca, grezza e potente di quanto appaia su disco. Tastiere e strumenti a fiato dei più disparati (da una più classica cornamusa fino ad un flauto dalla forma di una pipa schiacciata, passando per altri strumenti curiosi) sono sicuramente il tratto distintivo di questo live, che però non risulta solo venato di prog (canterburyano), ma è anche estremante lo-fi, distorto, a tratti perfino viscerale. Il pubblico, che spazia dal metallaro all’“hippie che si è visto i Soft Machine nel 1968”, si perde nelle visioni psichedeliche, cervellotiche e ossessive della band, forse non sempre precisissima, ma anche per questo lontana dalla visione accademica del rock progressivo e più vicina a quella sperimentale e un po’ folle.

Ci spostiamo all’Electric Ballroom (dove rimaniamo per il resto della serata) e ci lasciamo travolgere dagli Asteroid e dal loro stoner rock carico di psichedelia e hard/blues, a cavallo tra anni 60 e 70. Dal vivo la voce del bassista Johannes Nilson – che canta in un paio di pezzi oltre a fare i cori nei restanti - non è sempre impeccabile, ma quella del chitarrista Robin Hirse – sporca e da hardrocker – domina e trascina l’ascoltatore. Il loro è un sound che possiede gli aromi di una buona birra e tutta la carica positiva che scorre nell’aria di un evento come quello del Desertfest, che nell’arco di cinque edizioni è diventato uno dei più interessanti festival dedicati a queste sonorità. L’asse portante del trio svedese è la perfetta accoppiata tra basso e chitarra: i riff del primo, sia a livello ritmico che melodico, sono la colonna vertebrale sulla quale la seconda snoda calore valvolare, melodie sinuose e passaggi dilatati. Il pubblico è davvero esaltato, e la loro scaletta si amplia per più di venti minuti oltre il previsto, grazie ai continui applausi e ai richiami dei presenti (noi due compresi).

Sterzata decisa e brusca con l’arrivo dei Crowbar sul palco. Come una macina distruggono in un attimo tutte le visioni psichedeliche indotte dai gruppi precedenti. Il loro sludge metal è pesante come un elefante, e manifesta la sua “volgare esibizione di potere” con una carica di volume assolutamente spaventosa. Il tasso alcolico dei distortissimi riffs è quello tipico del southern stoner, con tutta la furia del thrash metal e l’incazzatura dell’hardcore. Le chitarre sono assolutamente metal e la batteria è una macchina da guerra. Alla testa di questa formazione d’assalto l’unico storico membro - Kirk Windstein – con la sua sudicissima e potentissima voce. Un’ora di sfuriate che stende l’ascoltatore e che rappresenta una vera e propria lezione per gran parte dei gruppi recenti che si definiscono sludge. Nell’assoluta assenza di compromessi della loro musica è racchiusa l’essenza di questo genere: ultimamente in voga, ma che raramente riesce a raggiungere picchi di bestialità come in questo caso.

Spossati dalla ignobile pesantezza dell'attacco frontale dei Crowbar, saliamo al piano superiore dell’Electric Ballroom per assistere al concerto degli headliner della serata, i Corrosion of Conformity. Posizione perfetta anche dal punto di vista acustico (la musica della band ci investe con suoni assolutamente impeccabili), il loro concerto è l’apice della giornata. La band è tecnicamente perfetta e Pepper Keenan ha energia da vendere e una voce da paura, che non si incrina neanche per un attimo per l’intera ora e mezzo dello show. Il loro southern stoner, al tempo stesso massiccio e caldo, heavy e blueseggiante, dal vivo possiede un’energia travolgente che non consente di star fermi, e mostra inattesi spunti psych nelle parti soliste, grazie a dilatazioni e riarrangiamenti, che raggiungono il culmine nel bis, con chitarre e ritmiche espanse e sfilacciate che danno una nuova prospettiva a molti brani. Una trascinante macchina da riff, che si concentra soprattutto sui pezzi del capolavoro Deliverance, regalando un concerto davvero grandioso, che infiamma il pubblico di un Electric Ballroom tutto esaurito. Un solo aggettivo: “mostruosi”.

Prima giornata capitanata da due gruppi che ormai possono essere considerati la storia di certe sonorità, ma che hanno mostrato denti aguzzi e unghie affilate, e nessuna voglia di essere catalogati nella sezione “passato” di questo genere.
 [E.R. + R.T.]
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Desertfest London 2016 – Day 1
[Corrosion of Conformity + Crowbar + Asteroid + Guapo]

Flight, tube, arrival at Camden, luggage left at the hotel and finally the head quarter of the Desertfest – Greenland Place and Our Black Heart – and the black lace on our wrists. Let our Desertfest begin, and let it begin exactly from here.

We go upstairs in the dark of Our Black Heart right in time for the first notes of Guapo. In this sort of attic – with the wonderful taste of underground – we face a definitely dirtier, rawer and mightier band than on recordings. Keyboards and the most varied woodwinds (from a more classic bagpipe to a flute shaped as a flattened pipe, passing through many other curious instruments) are surely the hallmark of this live, which is not only (Canterbury) prog-veined, but it sounds also extremely lo-fi, distorted, at times even visceral. The audience – from the metalhead to the “hippie-who-saw-Soft-Machine-in-1968” – gets lost into the psychedelic, brainy, obsessive visions of the band – not always extremely accurate, yet exactly for this reason a bit far from the academic vision of prog rock and much nearer to an experimental and a bit crazy one.

Then we move to the Electric Ballroom (where we spend the rest of the night) and we let ourselves to be overwhelmed by Asteroid and their stoner rock full of psychedelia and hard/blues, halfway between 60s and 70s. In the live show, bassist Johannes Nilson voice (he sings in a couple of songs and he is the backing vocals in the others) is not always flawless, yet guitarist Robin Hirse one – dirty and hardrocker style – dominates and enthralls the listener. Their sound has got the flavour of a good beer and all the positive charge flowing in the air of an event such Desertfest, become in just five years one of the most interesting festival for these sounds. The backbone of the Swedish trio is the perfect combination of bass and guitar: riffs of the first one are – both for the rhythm and the melody – the pillar on which the second unleashes its valvular warmth, constructing sinuous melodies and dilated passages. The audience is excited, and their setlist is amplified of over 20 minutes, due to the continuous applause and acclamation of all the presents (including us two).

Strong, abrupt swerve when Crowbar gets on stage. As a grind they destroy in a moment all the psychedelic visions induced by the other bands. Their sludge metal is heavy as an elephant and it shows its “vulgar display of power” with an absolutely appalling volume.  The alcohol level of the ultra-distorted riffs is that typical of southern stoner, enhanced by thrash metal fury and hardcore rage. Guitars are definitely metal and drums are a war machine. Leading this assault lineup the only historic member – Kirk Windstein – with his super-filthy and super-powerful voice. One hour of continuous fits of anger that knockouts the listener and that is a lesson for the most part of the recent bands defining themselves as sludge. With no compromise at all their music embodies the essence of this genre: “popular” nowadays, but rarely able to reach the peaks of bestiality of this band.

Worn out by the extreme heaviness of Crowbar frontal assault we go upstairs to attend to the show of this evening headliner Corrosion of Conformity. Perfect location even from the acoustic point of view (we are overwhelmed by flawless sounds), their concert is the climax of this first day of the festival. The band is technically perfect and Pepper Keenan has got an incredible energy and an incredibly amazing voice, faultless for the whole hour and half of the show. Massive and warm, heavy and bluesy, in the live dimension their southern stoner has got an enthralling energy with some psych hints in the solos, also thanks to dilations and arrangements that reach their peak during the encore, with expanded guitars and rhythms giving a new perspective to many of their songs.  A rousing riffs machine, especially focused on their masterpiece Deliverance, performing a magnificent concert that inflames the sold out Electric Ballroom. One only adjective: extraordinary.

First day headed by two bands that can properly be considered the history of these sounds, but that have shown sharp teeth and nails and no will at all to be catalogued in the “past” section of this genre.
[E.R. + R.T.]


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