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martedì 29 dicembre 2015

Faith No More - Sol Invictus


Faith No More - Sol Invictus
(Reclamation! Recordings, Ipecac Recordings, 2015)

Ho aspettato questo album senza cedere alla tentazione di ascoltarlo prima della sua uscita ufficiale. 
Ho aspettato questo album con un misto di ansia e scaramanzia, perché credo sempre moooolto poco alle reunion, e quella di uno dei miei artisti preferiti con la sua band più famosa mi faceva tremare non poco.
Ma il primo ascolto ha subito diradato le nebbie dei dubbi e delle paure.
Ho aspettato dei mesi prima di parlare di questo disco – per non cadere nei facili entusiasmi, per capire quanto mi piaceva con l’assommarsi degli ascolti e col passare del tempo, per non rischiare di scrivere delle righe da fan incallita (e spero, adesso, di riuscirci!).
Due giorni fa, mentre tornavo in auto dal Casentino, mentre il sole tramontava ed inondava colline e montagne di una luce arancione stupenda e ascoltavo nuovamente Sol Invictus ho finalmente capito quello che potevo scrivere sull’ultima uscita di Patton e soci.
Il titolo è ambizioso, richiama direttamente il Dio Sole Invitto – che è qualcosa di pagano, di ancestrale, ma assimilato e trasformato anche dal Cristianesimo (vedi il Natale appena lasciato alle spalle) – e forse in questo modo scandisce a chiare lettere che i Faith No More ci sono ancora con tutta la loro essenza. Imbattuti. Divi. Grandi musicisti. E semplicemente – dopo una lunga pausa – sono tornati insieme per fare quello che di meglio sanno fare: musica che è espressione della loro irriverenza, della loro epicità, della loro vena malinconica, del loro “fancazzismo”, della loro ironia e al tempo stesso della loro “serietà”. 
Non ti diranno mai il perché del titolo, e non ci sarà mai una spiegazione “definitiva” dietro i testi delle loro canzoni. Inutile sondare questi territori. Quello che conta è che le 10 canzoni che compongono Sol Invictus sono un susseguirsi di emozioni e stati d’animo disparati, che compongono un unico quadro che si lascia attraversare e attraversa l’ascoltatore con immediatezza ed estrema facilità. Matador è per me l’apice. Quasi una Innuendo (!) nella sua struttura a suite, nel suo alternarsi di pieni e vuoti, nella maestosità del finale.
And that’s all folks! ;)      
[E.R.]

*** 

Faith No More - Sol Invictus
(Reclamation! Recordings, Ipecac Recordings, 2015)

I had been waiting for this album without surrendering to the temptation to listen to it before its official release.
I had been waiting for this album with a mixture of anxiety and superstition, because I do not trust in reunions and I was almost scared of the idea of a reunion of one of my favourite artist with his most famous band.
But the first listening immediately scattered all the shadows, dispelling every doubt.
I had been waiting several months before deciding to write something about this album: I did not want to take the risk to be prey to easy enthusiasm and I did want to really understand how much I like it as I continued to listen to it through time. I did not want to seem an inveterate fan (and I really hope to succeed in this aim, now!).
Two days ago, as I was driving back home saying goodbye to Casentino, as sun was setting covering all mountains and hills with its orange bright light and I was listening to Sol Invictus, I finally realized what I could have written about the latest work of Patton and co.
The title is ambitious, it directly refers to the Undefeated God Sun – something pagan, something ancestral, yet something which even Christianity assimilated and made it its own (let’s think about Christmas, just few days ago) – and maybe in this way it clearly marks the fact that Faith No More are still here with their essence still intact. Undefeated. Stars. Great musicians. After a long break, they simply got together once again to do what they do best: music which is expression of their irreverence, of their being epic, of their melancholic part, of their light-hearted nature, of their irony and – at the same time – of their seriousness.
They would never tell you why they chose that title, and there would never be a “definite” explanation of the meaning of their lyrics. Useless to probe these territories. What really matters is that the 10 songs of Sol Invictus are a collection of the more diverse feelings and emotions, with the final result of a picture that can be penetrated and penetrates the listener with immediacy and extreme ease. In my personal opinion Matador is the apex of this opus. Almost an Innuendo (!) in its suite-like structure, in its alternation of full and empty, in the majesty of its final.
And that’s all folks! ;)
[E.R.]


venerdì 25 dicembre 2015

Top 5 Cover Artworks 2015


Our personal selection of cover artworks of 2015 albums, in alphabetical order:

  • And So I Watch You From Afar – Heirs (Art & Layout by Sonny Kay)
  • Elder – Lore (Artwork by Adrian Dexter)
  • Moon Duo – Shadow of the Sun (Cover and Sleeve Artwork by Jay Shaw)
  • Negură Bunget – Tău (Cover Design & Photography by Negru)
  • Uncle Acid & the Deadbeats – The Night Creeper (Front Cover Artwork by Jay Shaw, Rear Artwork by K.R. Starr, Inside Artwork by Ygor Lugosi, Layout L. Dorrian)
[E.R. + R.T.]


lunedì 21 dicembre 2015

Ufomammut + Lili Refrain + Three Eyes Left + Hyperwülff – 12.12.2015 - Alchemica Music Club (Bologna)

 

Ufomammut + Lili Refrain + Three Eyes Left + Hyperwülff – 12.12.2015 - Alchemica Music Club (Bologna)

Fin dai primi ascolti di Ecate, ho atteso il concerto degli Ufomammut: il nuovo album mi è subito sembrato perfetto per la dimensione live. Ho dovuto aspettare qualche mese, ma l’attesa è stata ben ripagata!

Il duo bolognese degli Hyperwülff apre la serata con un post hardcore screziato di sludge e doom degno delle migliori annate del genere. Potenti e travolgenti, sono solo in 2 sul palco, ma potrebbero essere in 6 come i Cult of Luna, tanto è spesso il loro muro di suono. Perfetti anche nelle linee vocali, che davvero ricordano gli Isis dei primi album, in soli 30 minuti gli Hyperwüllf mi conquistano, riportandomi indietro di 10 anni, ma senza darmi l’impressione di un deja vu.

A seguire un’altra band bolognese. Three Eyes Left. Stoner doom allo stato puro. Ossessivi ed alienanti nei loro riffs, le canzoni scorrono nel loro magma impantanante, ben supportate da una voce marcia il giusto, che mi ricorda un po’ Buzz Osborne. Dopo la furia sludge dell’apertura, la frenata è brusca e si resta invischiati in questo trip di bassi e strofe squadrate, figlie di genitori importanti come Black Sabbath e Saint Vitus.

Lili Refrain arriva sul palco con chitarra, effetti e boa rosso-nero di piume di struzzo, e io sono ben contenta di rivederla dal vivo dopo soli due mesi e mezzo. La sua voce e la sua chitarra sono sempre affascinanti: catturano ed ipnotizzano il pubblico. La scaletta è incentrata su Kawax, e Nature Boy e 666 Burns sono l’apice di un set purtroppo penalizzato da alcuni problemi tecnici. L’ampli non è il suo e sfortunatamente sembra non reggere come dovrebbe la sovrapposizione delle tracce looppate, ed il fonico – poco presente e puntuale nell’ascoltare le richieste che giungono dal palco – stenta a sopperire a queste carenze tecniche. Peccato per queste sbavature, che non offuscano comunque la bravura e la resa live di Lili.

Ed infine Ufomammut! Grandi, grandissimi! Ecate è un album da suonare live: l’ho pensato dal primo momento ed ora ne ho la “prova provata”. Connubio perfetto delle componenti “ufo” e “mammut” della band, le nuove canzoni sono macigni sonori che incombono sul pubblico, stordendolo con la psichedelia dei suoni e le dilatazioni space dei riff. La batteria è regina, e scandisce l’incedere elefantino della musica del trio di Tortona. I pezzi si susseguono quasi senza soluzione di continuità. Un’unica grande suite, un unico monolitico movimento musicale che assorbe e rapisce l’ascoltatore. I suoni migliorano man mano che i minuti scorrono, riuscendo a creare un impasto sonoro in cui ogni strumento risalta come voce solista e membro del coro: tutto si fonde in un’onda sonora che è simultaneamente il tutto e la parte. Dal marzo 2006 (la prima volta che li ho sentiti dal vivo…sempre a Bologna!) ad oggi, il suono della band è mutato più volte e i loro concerti sono sempre stati un valore aggiunto per la loro musica. A distanza di 10 anni dal primo live, posso tranquillamente dire che gli Ufomammut continuano a non risparmiare una sola goccia di sudore, e la loro musica - al tempo stesso sempre più psichedelica e granitica – trova il suo ideale e perfetto compimento proprio sul palco.
[E.R.]
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Ufomammut + Lili Refrain + Three Eyes Left + Hyperwülff – 12.12.2015 - Alchemica Music Club (Bologna)

I have been waiting for a new Ufomammut concert since I first listened to Ecate. From the very beginning I thought of their latest full lenght as simply perfect to be performed live. I had to wait a few months, but in the end it was worth it!

Hyperwülff - duo from Bologna - opens the evening with their sludgy, doomy post hardcore worthy of the best years of the genre. Powerful and enthralling, their extremely thick wall of sound let think of a six members combo (like Cult of Luna) on stage, instead of the two young guys actually performing. Perfect even in the vocals - that really remind me of the first albums of Isis - in just 30 minutes Hyperwüllf win me, bringing me back in time of 10 years, yet without leaving me with the impression of a deja vu.

Then, another band from Bologna: Three Eyes Left. Stoner doom in its pure essence. Obsessive and alienating in their riffs, songs flow on in their bogging magma, well supported by a rightly sick voice, partly reminiscent of a certain Buzz Osborne. After the sludgy fury of the opening, the breaking is abrupt and we get mired in this trip of basses and squared strophes, offspring of such illustrious parents as Black Sabbath and Saint Vitus.

Lili Refrain gets on stage with her guitar, effects and red-black ostrich feather scarf and I am well glad to see her live once again after only two months and half. Her voice and her guitar are always fascinating and captivating: they capture and hypnotize the audience. The set list is focused on Kawax, and Nature Boy and 666 Burns are the apex of a show unfortunately penalized by some technical problems. Amp on stage is not her own and it seems unable to cope with the overlaps of looped guitar riffs, and the sound engineer – a bit absent and inattentive to requests coming from the stage – is lacking in overcoming tecnhical deficiencies. These drawbacks are a bit annoying, anyway they do not overshadow Lili’s talent and her show.

Finally Ufomammut! Great, amazing! Ecate has to be played live: I thought it from the very first moment I listened to it and now I have got the final proof I was right. Perfect marriage of the “ufo” and “mammoth” parts of the band, the new songs are sonic boulders looming upon the audience, stunning it with their psychedelic sounds and spacey dilations of their riffs. Drum is the queen and punctuates the elephantine march of the music of the trio from Tortona. A single hugesuite, a single monolithic musical movement that absorbs and abducts the listener. The quality of sounds improves as the concert goes on, managing to create a sonic dough in which each musical instrument stands out both as a soloist and as a member of a choir: everything melts in a sonic wave which is the whole and the part at the very same time. Since March 2006 (the first time I saw them live…in Bologna!) to present, the sound of the band has changed several times and their concerts have always been an added value for their music. After 10 years since the first live show I can safely say that Ufomammut continue to give all of themselves, and their music – at the same time more psychedelic and more granitic – finds its perfect and ideal fulfillment right on stage.
[E.R.]


domenica 20 dicembre 2015

Godspeed You! Black Emperor - Asunder, Sweet and Other Distress


Godspeed You! Black Emperor – Asunder, Sweet and Other Distress
(Constellation, 2015)

Rimanere per l’ennesima volta ammaliati e stupiti dalla nuova creatura concepita dai Godspeed You! Black Emperor è dimostrazione di quanto questi canadesi sappiano reinventare la loro musica senza abbandonare il nucleo emotivo che da sempre la contraddistingue. Il loro quinto full-lenght reclama prepotentemente attenzione, soprattutto nei confronti di coloro che erano pronti ad immergervisi solo in superficie, superato ormai l’entusiasmo sensazionalista della reunion. Le onde soniche che aprono Asunder, Sweet and Other Distress dimostrano fin da subito che stiamo nuotando in acque significativamente diverse da quelle conosciute. Mai così robusti e pesanti, i canadesi richiamano più gli ondulanti droni degli ultimissimi Earth (con tanto di feedback devastanti e muri di distorsione) che il post rock del quale sono considerati tra i maggiori interpreti. Nei 45 minuti scarsi dell’album non c’è inoltre traccia dei rumori ambientali, delle voci lontane o dei frammenti sonori che arricchivano l’emotività delle loro opere passate. La nuova creazione dei GY!BE, composta nel corso degli ultimi tour e suonata più volte di fronte al pubblico, è stata modellata nel tempo fino alla sua forma essenziale, dimostrandosi la composizione più concisa e sintetica nella carriera della band, ma anche quella che maggiormente esalta gli opposti della poetica del gruppo. Se apertura e chiusura piantano le loro radici profondamente nei suoni rock delle chitarre distorte, il nucleo centrale fluttua in un oceano cosmico tra i più profondi mai concepiti dal gruppo. 
[R.T.]
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Godspeed You! Black Emperor – Asunder, Sweet and Other Distress
(Constellation, 2015)

We are once again charmed and amazed by the new creature conceived by Godspeed You! Black Emperor and this is the proof that the Canadian band is capable of reinventing its music without abandoning the emotive core that marks it. Their fifth full length album powerfully claims attention, especially of those willing to dive only on the surface of it, now that the sensationalist enthusiasm generated by the reunion has waned. Sonic waves opening Asunder, Sweet and Other Distress show from the very beginning that we are swimming in significantly different waters from the ones already known. So heavy and sturdy as never before, Canadians recall undulant drones of last Earth albums (with devastating feedbacks and walls of distortions) more than post rock music – genre of which they are considered among the greatest interpreters. In less than 45 minutes there is no trace of ambient noises, distant voices or sonic fragments that usually enriched the emotionality of past albums. Composed during last tours and already performed live several times, the new opus by GY!BE has been shaped through time until it reached its essential form, proving to be the most synthetic and concise in the band career, yet at the same time the one that mostly exalts the opposites of the poetics of the band. While opening and closing deeply plant their roots in the rock sound of distorted guitars, the central core flows in one of the deepest cosmic oceans ever conceived by the band.
[R.T.]



martedì 15 dicembre 2015

Lili Refrain - Kawax



Lili Refrain – Kawax
(Subsound Records, 2013)

Quando pensiamo ad un musica intima e personale, suonata soltanto con chitarra e voce, non ci vengono in mente né spirali psichedeliche che si inseguono come edera su muraglie di droni, né distorsioni che si sfibrano e riannodano in tenebrosi labirinti generati da una voce spettrale. Non è esattamente questa l’idea tradizionale di intimità che abbiamo in mente. Per fortuna ci sono musicisti come Lili Refrain che ignorano il concetto di “tradizionale”, accompagnando senza alcun timore l’ascoltatore lungo coordinate inusuali. La musica dell’artista romana è - come ben sa chi ha assistito ad un suo concerto - un intimo paesaggio interiore generato da chitarra, pedaliera con effetti e voce. Nient’altro. Ma il paesaggio nel quale siamo immersi è un film d’animazione, surreale e visionario, degno della mente di René Laloux. Il suono è continuamente loopato, richiamando riflessi di (No Pussyfooting) di Fripp & Eno, mentre la voce genera atmosfere gotiche e spirituali per certi versi affini ai Dead Can Dance. Ma al di là dei richiami stilistici (Kawax può essere inserito nel filone del drone pesante e cosmico degli ultimi Earth e del progetto Harvestman di Steve Von Till) quello che colpisce della musica di Lili è la personalità prorompente e la sensibilità tipicamente femminile che la rende unica e assolutamente meravigliosa.
[R.T.]
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Lili Refrain – Kawax
(Subsound Records, 2013)

When we think about personal and intimate music, performed only by guitar and voice, we don’t think about psychedelic spirals stretched like ivy on walls of drones neither of distortions that wear themselves out and retie themselves in dark mazes generated by a ghostly voice. This is not exactly the traditional, usual, idea of intimacy. Fortunately there are some musicians - like Lili Refrain - that ignore “tradition” concept, conducting the listener to unusual paths without any fear. 
As every witness of her concerts knows, the music of the artist from Rome is an intimate interior landscape generated by guitar, pedal effects and voice. Nothing else. We find ourselves in a landscape which is an animated movie worthy of René Laloux creativity. The sound is continuously looped, recalling reflexes of (No Pussyfooting) by Fripp & Eno, while the voice generates gothic and spiritual atmospheres similar to Dead Can Dance. Beyond stylistic references (Kawax could be considered as part of the heavy and cosmic drone music as last Earth albums and Harvestman project by Steve Von Till are), the greatest surprise, about Lili’s music is its irrepressible personality and her typical feminine sensibility that makes it unique and absolutely wonderful.
[R.T]


venerdì 11 dicembre 2015

Disappears + His Clancyness – 05.12.2015 – Glue (Firenze)


Disappears + His Clancyness – 05.12.2015 – Glue (Firenze)
Serata di sorprese pre-natalizie quella del concerto dei Disappears. La prima sorpresa è l’assurdo locale dove si esibiscono: il circolo Glue a Firenze. Il secondo è il suono elettrico, terreno, carnale di una band che su disco pare invece provenire da un buco nero sperduto nello spazio.
Partiamo con ordine: il Glue è un circolo culturale ricavato all’interno di un centro sportivo, sul retro di un bar che funge da ingresso ai campi da tennis. Dove di notte si svolgono concerti e videoproiezioni, di giorno ci sono corsi di pilates e tango argentino. L’atmosfera all’interno è surreale: stanza enorme e scarna in stile balera, qualche sedia ai lati, luci accese come ad una festa scolastica, mentre infuria a tutto volume un djset di musica elettronica. Chi è tesserato entra gratuitamente, quindi eccoci circondati da studenti fuori sede interessati più alla taranta che al post-punk, rifiuti tossici di centri sociali, indie-intelletualoidi, gente capitata per caso, curiosi, rompicoglioni e pochissimi interessati alla musica.
In questo marasma mal amalgamato aprono il concerto gli His Clancyness. Il gruppo di Bologna regala 35 minuti di darkwave di ottima fattura incentrata sulle linee melodiche (davvero belle), rileggendo la musica dei Chameleons in ottica più vicina al l’indie-pop tenebroso degli Editors. Musicalmente essenziale, con arrangiamenti semplici ma efficaci, la band di Jonathan Clancy dei Settlefish si cimenta anche con qualche bagliore shoegaze, ma i momenti migliori sono quelli che tratteggiano agrodolci melodie pop-darkwave. Molto interessanti.
I Disappears sorprendono fin da subito per l’assenza di qualsiasi ausilio elettronico, che su disco pareva invece presente nel modellare la musica di batteria, basso e due chitarre. I 4 eseguono il loro post-punk rumorista e ossessivo esclusivamente con l’aiuto di strumenti elettrici, pur modulando il suono con una buona dose di effetti. Quello che sorprende maggiormente rispetto alla registrazione è l’essenzialità della sezione ritmica, priva di effetti di fade-in, fade-out e altre variazioni della dinamica, con i quali John Congleton ha arricchito l’ultimo bellissimo album. Mai ritmicamente statica, la prodigiosa prestazione alla batteria di Noah Leger (che da tre anni ha sostituito Steve Shelley, ex Sonic Youth) è il valore aggiunto nella musica della band, che dal vivo suona viscerale e umana. Mentre Brian Case gioca a fare l’artista devastato dagli eccessi (una sorta di Pierpaolo Capovilla di Chicago) la sua chitarra aspra, dissonante e rumorosa richiama alla mente i Jesus Lizard, facendo da contraltare alla chitarra spaziale, ossessiva, quasi trip hop di Jonathan Van Herik. Non così noir e avvolgenti come nell’ultimo disco, Irreal, i Disappears dal vivo mostrano i denti con una musica stordente, ossessiva e paranoica - crocevia di noise rock, post-punk e kraut rock - che raggiunge il suo apice nella splendida Halcyon Days. Una bella sorpresa natalizia.
[R.T.]
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Disappears + His Clancyness – 12.05.2015 – Glue (Firenze) 
The night of Disappears concert is full of pre-Christmas surprises. The first one is the absurd club where they perform: Glue in Florence. The second one is the sound of the band: electric, carnal and visceral, while on records it seems to come from a black hole lost in space.
Let’s start from the beginning: Glue is a cultural social club situated in a sport center, in the backyard of a café that is also the entrance of the tennis court. In the same place where at night you can find concerts and movies, during the day you can practice pilates and Argentine tango courses. The atmosphere is surreal. A big and empty room similar to a dance hall for retired people, some chairs along the walls, dazzling lights like at a school party, while it flares up an high volume electronic music djset. If you are a member of the association you have free access to the concert:  so we are surrounded by college students more interested in taranta music than in post-punk, toxic waste from CSOA, indie-music-egghead, people ended up there by chance,  curious passerbies, pain in the ass, and a very few people really interested in music.

In this poorly mixed jungle His Clancyness play a 35 minute live act: a well executed darkwave focused on really nice melodies, surely inspired by Chameleons music, yet closer to Editors dark indie-pop. Musically  essential, with simple but effective arrangements, Jonathan Clancy (from Settlefish) band essays also some shoegaze shimmer: yet the best moments are those sketching bittersweet pop-darkwave melodies. Really interesting dicovery!
Disappears amaze us from the very beginning because of the absence of any electronic device, while on records it seems that music of drums, bass guitar and guitars is molded by electronic. The four members execute a noisy and obsessive post-punk exclusively with electric instruments - although they modulate the sound with a lot of pedal effects. What astonishes us - in comparison to the recording - is above all the essentiality of rhythmic session, bare of fade-in and fade-out effects and others variations of the dynamic used by John Congleton in order to enrich the last, really beautiful, album. Never rhythmically static, the prodigious performance of Noah Leger at the drums (three years ago he became the new drummer of the band, after the departure of Steve Shelley –ex Sonic Youth) is the added value in the Disappears' music, sounding visceral and human in live shows. While Brian Case plays at being the artist devastated by excesses (a sort of Pierpaolo Capovilla from Chicago), his sour, dissonant and noisy guitar recalls The Jesus Lizard, becoming the counterpoint of the spacy, obsessive, almost trip-hoppy Jonathan Van Herik guitar. Not so noir and enveloping as in the last studio album (Irreal), Disappears growl with a stunning and paranoiac music, a mix of noise rock, post-punk and kraut-rock, that reaches its peak with the superb Halcyon Days. Great Christmas surprise!
[R.T.]
 

lunedì 7 dicembre 2015

Vektor + Angelus Apatrida – 27/11/2015 - Exenzia Rock Club (Prato)

 

Vektor + Angelus Apatrida – 27/11/2015 - Exenzia Rock Club (Prato)

Nell’arco di 10 giorni ci troviamo di fronte prima i padri e poi i figli del thrash metal di ispirazione fantascientifica: Voivod e Vektor. Dopo l’ottimo concerto dei canadesi, i Vektor si dimostrano degni eredi, evidenziando inoltre una forte personalità.

Prima che i Vektor salgano sul palco dell’Exenzia è il turno degli Angelus Apatrida. La band spagnola ci sbatte in faccia un travolgente thrash metal old school dall’energia incontenibile. Trascinanti come gli Slayer più furiosi, divertenti come gli Anthrax più ubriachi, gli spagnoli suonano musica di genere, senza però mai risultare scontati. Tecnicamente impeccabili (mostruoso l’assalto della sezione ritmica, cosi come la ricercatezza degli assoli), gli Angelus Apatrida inducono headbanging come ai vecchi tempi in tutti gli appassionati del thrash metal più autentico. Una scoperta interessantissima!

I Vektor sono accolti da un pubblico poco numeroso ma caldissimo, confermando lo status di culto della band, considerata tra le realtà metal underground più interessanti degli ultimi tempi. Coadiuvati da suoni eccezionali, i Vektor, dopo un breve arpeggio spaziale, partono alla velocità della luce verso il Cosmo. L’universo nel quale ci conducono è contorto, labirintico, surreale, governato da fredde macchine tecnologiche che sembrano provenire da un assurdo sogno retro-futurista. Siamo in un racconto di fantascienza di serie B degli anni 50/60, immaginando un futuro che mai si realizzerà. Il groove forsennato di Blake Anderson (il cui tocco moderno, ispirato alle rullate di batteristi come Allen Blickle dei Baroness suona però 80s esattamente come tutti gli altri membri della band) dona dinamismo inarrestabile ed energia ad una musica tecnica e complessa, facendola risultare talmente esaltante, fantasiosa e colorata da sembrare immediata. I discepoli hanno dimostrato di essere pronti per prendere dai maestri lo scettro del regno del thrash metal cosmico!
[R.T.]
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Vektor + Angelus Apatrida – 11/27/2015 - Exenzia Rock Club (Prato)

In 10 days we are facing fathers and sons of sci-fi thrash metal: Voivod and Vektor. After the great concert of the Canadian band, Vektor prove to be their worthy heirs, showing also a strong personality.

Before Vektor take control of the Exenzia stage, it’s the moment of Angelus Apatrida. The Spanish band slams onto our faces a passionate old school thrash metal with an uncontainable energy. Enthralling as the most furious Slayer side, amusing as the drunkest Anthrax side, the Spanish combo plays a classic - yet never predictable! - thrash metal music. Technically impeccable (monstrous is the rhythmic session assault, and so it is the solos refinement), Angelus Apatrida induce headbanging in every authentic thrash metal passionate as in the golden era of this genre. Amazing discovery!

Vektor are greeted by the audience - small in numbers, but definetely really enthusiastic! - confirming the cult status of the band: a combo considered as one of the most interesting metal act in the underground. Enhanced by exceptional sounds, Vektor - after a brief spatial arpeggio - take off at the speed of light, direction Cosmos. The universe in which we are led is twisted, mazy, surreal, ruled by cold technological machines that appear to come from an absurd retro-futuristic dream. We are in a B series sci-fi story of the fifties, imagining a future that will never be realized.  Frenetic Blake Anderson groove (whose modern drumming technique, inspired by musicians such as Allen Blickle of Baroness, is anyway 80s inspired as the stylistic approach of all the other members of the band), donate unrestrainable dynamism and energy to such a technical and complex music, making it so exciting, imaginative and colourful to result almost immediate. Disciples demonstrated to be ready to take the reign of cosmic thrash metal from the hands of its own masters!
[R.T.]




martedì 1 dicembre 2015

Minsk - The Crash and the Draw



Minsk – The Crash and the Draw
(Relapse Records, 2015)

Che fine avevano fatto i Minsk? In fase di quiescenza da qualche anno, privi del bassista e compositore Sanford Parker, di loro rimaneva solo il ricordo delle esplosioni vulcaniche di capolavori come The Ritual Fires of Abandonment, ma poche speranze in un risveglio degno del loro nome. Invece la band dell’Illinois risorge dalle ceneri per volontà del chitarrista/cantante Chris Bennett e del tastierista/cantante Tim Mead, generando un vulcano di 75 minuti che ripercorre gli stilemi di un genere ormai fuori moda, ma con tale intensità e forza espressiva da non risultare mai manieristico o “già sentito”. Devastante sia nelle martellate sludge che nelle sfuriate hardcore (il brano di apertura To the Initiate è significativo in questo senso), la band abbandona i tribalismi psichedelici del passato in favore di pura potenza, melodicamente addolcita da aperture post rock malinconiche e vagamente oniriche. La musica, alla quale Parker continua a contribuire in fase di produzione, è complessa e ambiziosa, a tratti perfino progressiva (la suite Onward Procession, suddivisa in quattro parti, ne è un esempio), dimostrando come i Minsk siano tornati per fare sul serio. Il loro vulcano, anche se non riaccenderà le fiamme del post metal, si dimostra in piena fase eruttiva, e donerà una luce di riferimento a tutti coloro che sono affascinati da queste sonorità.
[R.T.]
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Minsk – The Crash and the Draw
(Relapse Records, 2015)

What had happened to Minsk? In quiescent phase for some years, deprived of the bass player and composer Sanford Parker, the only thing that remains of them is the memory of the volcanic explosions of the masterpiece The Ritual Fire of Abandonment, with a too little hope of an awakening worthy of them. On the contrary, the Illinois band rises from its own ashes thanks to the the will of singer/guitar player Chris Bennett and singer/keyboard player Tim Mead, generating a 75 minutes volcano that retraces the style of an old-fashioned genre, but with such intensity and expressive power that never sounds manneristic or "already listened". As much devastating in its sludgy hammered strucks as in its hardcore fits of anger (opening track, To The Initiate, is relevant in this sense), Minsk abandone psychedelic tribal rhytmics of the past, in favor of pure power, melodically softened by melancholic, vaguely oneiric,post rock melodies. Music, to which Parker continues to contribute in the production phase, is complex and ambitious, sometimes even progressive (Onward Procession suite, divided in four parts, is a good example of this tendency), demonstrating that Minsk came back to produce something new, not making a simple revival of what they were. Their volcano, although it will not relight post metal flames, it is in eruptive phase, and it will be a sort of lighthouse for those fascinated by post-* sounds.
[R.T.]