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domenica 3 marzo 2019

Zeal & Ardor – Stranger Fruit


Zeal & Ardor – Stranger Fruit
(Mvka, Radicalis, 2018)

“Se facessi questo tipo di musica e non pensassi affatto all’attualità, questo sarebbe una forma di viltà, nonché qualcosa di sbagliato”. Manuel Gagneux esplicita a parole ciò che nella sua musica è invece velato. La convivenza di stili che rende gli Zeal & Ardor così personali è una dichiarazione di appartenenza politica - e non solo una provocazione storica. Dalla pubblicazione del disco d’esordio (Devil is Fine, aprile 2016) ad oggi, la scena politica occidentale si è sempre più chiusa dietro ad ideologie nazionaliste, spesso esplicitamente razziste e xenofobe. La provocazione ideata da Gagneux (fondere il bianchissimo black metal scandinavo con il nerissimo spiritual degli schiavi d’America, con un accenno di elettronica e neofolk a fare da collante) non basta più. Serve un pensiero maturo in cui la coesistenza dia vita ad una nuova possibile società. Stranger Fruit, il cui titolo richiama una vecchia canzone di protesta di Billie Holiday, è proprio questo. Meno destabilizzante e sorprendente del predecessore, ma più solido e coeso, essendo riuscito ad amalgamare alla perfezione tutte le minoranze ribelli e resistenti che lo compongono, senza per questo snaturarle. Sprazzi di vecchio blues sghembo e polveroso, uniti a qualche pennellata ambient, disegnano nuovi luoghi in cui la convivenza delle differenze è effettivamente possibile, in una terra che supera le contraddizioni tra gelo scandinavo e sudore degli USA del Sud.
[R.T.]
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Zeal & Ardor – Stranger Fruit
(Mvka, Radicalis, 2018)

“If I were making the music I make and not even thinking about current times, that would just be kind of cowardice, and kind of wrong”. Manuel Gagneux makes explicit in words what in his music is veiled. The coexistence of styles that makes Zeal & Ardor so personal is a declaration of political affiliation - and not just a historical provocation. Since the release of the debut album (Devil is Fine, April 2016) to date, the Western political scene has been increasingly closing behind nationalist ideologies, often explicitly racist and xenophobic. The provocation created by Gagneux (melting the white Scandinavian black metal with the black spiritual of the USA slaves, with a hint of electronics and neofolk as a glue) is no longer enough. It is necessary to have a mature thought in which coexistence gives life to a new possible society. Stranger Fruit, whose title recalls an old Billie Holiday protest song, is just that. Less destabilizing and surprising than its predecessor, yet more solid and cohesive, having managed to perfectly blend together all the rebel and resistant minorities that compose it, without distorting them. Flashes of old crooked dusty blues, combined with some ambient brushstrokes, draw new places where the coexistence of differences is actually possible, in a land that overcomes the contradictions between Scandinavian frost and southern USA sweat.
[R.T.]

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