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mercoledì 29 agosto 2018

Tribulation - Down Below


Tribulation - Down Below
(Century Media, 2018)

Nel sottobosco metal degli ultimi anni scarseggiano i vampiri. La fauna che oggi abita le foreste nere è caratterizzata da nani barbuti, grezzi e sporchi, spaventati dall'idea di prendersi troppo sul serio. Oppure da vecchie mummie fin troppo seriose - ultimi, incartapecoriti, mostri sacri del genere. Quando dalla bara sorgono band come i Tribulation - capaci di una musica suadente e affascinante - è impossibile non rimanere ipnotizzati dal richiamo delle tenebre. La musica di questi figli della notte possiede tutta la bellezza spettrale e l'energia dell'eterna gioventù (se nutrita con un'adeguata quantità di sangue) e, al tempo stesso, la sofisticata maturità di chi ha vissuto un numero infinito di notti. Con il loro quarto album gli svedesi dipingono una meravigliosa e trascinante danza macabra di metal gotico dalle tinte orrorifiche e cinematografiche, manipolando il colore nero con melodie al tempo stesso ammalianti, inusuali e coinvolgenti, in grado di insinuarsi nella testa come lugubri ossessioni. Se la voce di Johannes Andersson è la caratteristica più facilmente riconducibile al buio delle foreste del metal nord europeo (riportando alla mente quella di Mikael Stanne dei Dark Tranquillity), è con le sbilenche melodie delle chitarre di Jonathan Hultén e Adam Zaars che si percepisce la profondità che si cela all'interno della cassa da morto. In questi ultimi anni solo Pallbearer, Ahab e pochi altri erano riusciti a coniugare atmosfere nebbiose e romantica malinconia con un filo di dissonanza apparentemente fragile, ma in realtà portante. Adesso, fortunatamente, abbiamo nuovi emaciati vampiri ad accompagnare i nostri incubi.
[R.T.]
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Tribulation - Down Below
(Century Media, 2018)

In recent years there have not been many vampires in metal undergrowth. Fauna inhabiting the black forests today is characterized by bearded dwarfs, rough, dirty and frightened by the idea of taking themselves too seriously. Or from old mummies far too serious - last, shrivelled, sacred monsters of this genre. When bands capable of mellow fascinating music like Tribulation arise from the coffin, it is impossible not to be hypnotized by the call of darkness. The music of these children of the night possesses all the spectral beauty and energy of eternal (if nourished with an adequate quantity of blood) youth and, at the same time, the sophisticated maturity of those who have lived an infinite number of nights. With their fourth album, the Swedes paint a marvelous and enthralling ghoulish dance of gothic metal with horror and cinematographic shades, manipulating the black colour with melodies at the same time bewitching, unusual and engaging, able to creep into the head like lugubrious obsessions. If Johannes Andersson voice is the most easily referable to the darkness of the northern European metal forests (calling to mind Mikael Stanne of Dark Tranquility), it is with the lopsided melodies of Jonathan Hultén and Adam Zaars guitars that it is possible to perceive the depth lying within the dead body. In these last years only Pallbearer, Ahab and a few others had managed to combine foggy atmospheres and romantic melancholy with a thread of seemingly fragile, yet so important, dissonance. Fortunately now we have new emaciated vampires to accompany our nightmares.
[R.T.]

domenica 26 agosto 2018

Anna Von Hausswolff – The Miraculous


Anna Von Hausswolff – The Miraculous
(Other Music Recording Co., Pomperipossa Records, City Slang, 2015)

Mi sono svegliato nel cuore della notte. Scosso dai brividi di un incubo dal quale non riesco a liberarmi. Ancora troppe ore prima dell’alba. Decido che ad accompagnare questa mia insonne attesa sia The Miraculous. Tappeti di organo a canne e sintetizzatori abissali dilatano lo scorrere delle lancette, e i rintocchi dell’orologio paiono deformarsi tra melodie dissonanti. Come vagare in una casa disabitata da anni. Ho un’attrazione sadica per le tenebre, ma stavolta ho più volte la tentazione di fermarmi lungo il percorso, che pare davvero inquietante (Pomperipossa). La luce non sorge mai, ma pian piano gli occhi si abituano all’oscurità, e danno forma alle ombre, meno terrificanti con il trascorrere del tempo. La casa nella quale mi trovo è la mia, da sempre. Anche se niente è come prima, finalmente percepisco un po’ di calore. Una voce ambigua e deviata, ma che nasconde una profonda umanità (An Oath). Una voce che, attraverso traiettorie inusuali, riesce comunque a condurmi fino all’alba, ma non prima di avermi fatto attraversare droni cosmici e misteriose foreste scandinave avvolte nella nebbia. Solo i Dead Can Dance hanno un potere simile sugli incubi. Amplificarli e poi inghiottirli, fino a farli sparire. Anna Von Hausswolff (figlia del compositore d’avanguardia Carl Michael Von Hausswolff) è una delle poche altre musiciste che riesce nell’impresa. Miracoloso.
[R.T.]
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Anna Von Hausswolff – The Miraculous
(Other Music Recording Co., Pomperipossa Records, City Slang, 2015)

I woke up in the middle of the night. Shaken by the creeps of a nightmare from which I cannot free myself. Still too many hours before dawn. I choose The Miraculous as soundtrack for my sleepless waiting. Pipe organ carpets and abyssal synthesizers dilate the flow of the hands, and the tolls of the clock seem to warp among dissonant melodies. It is like wandering in a house uninhabited for years. I have a sadistic attraction for darkness, but this time I have several times the temptation to stop along this path which seems really disturbing (Pomperipossa). Light never rises, but slowly my eyes become accustomed to darkness and they give shape to the shadows, less terrifying with the passage of time. I am in what has always been my home. Even if nothing is like before, I finally feel a bit of heat. An ambiguous and deviant voice, yet hiding a profound humanity (An Oath). A voice that, through unusual trajectories, still manages to lead me until dawn, yet not before letting me cross cosmic drones and mysterious Scandinavian forests shrouded in fog. Only Dead Can Dance have got a similar power over nightmares. Amplifying them and then swallowing them, until they disappear. Anna Von Hausswolff (daughter of the avant-garde composer Carl Michael Von Hausswolff) is one of the few other musicians who succeeds in the enterprise. Miraculous.
[R.T.]

giovedì 16 agosto 2018

Calibro 35 – 20.07.2018 – Teatro Romano di Fiesole (FI)


Calibro 35 – 20.07.2018 – Teatro Romano di Fiesole (FI)

Dal cinema al teatro. I Calibro 35 trasportano la loro musica da colonna sonora sul più nobile dei palcoscenici. Ma non si tratta di un teatro qualsiasi, bensì del Teatro Romano di Fiesole, uno dei più antichi esistenti (fine del I secolo a.C.). Se i luoghi possiedono un’anima, questo ne ha una che entra fin da subito in sintonia con la musica di stasera. Al cospetto di millenni di storia i Calibro 35 mettono in scena una rappresentazione incentrata sulle architetture visionarie e futuribili del loro ultimo album (Decade), perfettamente a loro agio in un luogo antico come questo. Geometrie di linee curve (pietre e note) che si fondono. Fantasie architettoniche anni '70 e realtà costruite 2000 anni fa, inaspettatamente in sincronia. Se inizialmente i suoni non son ben calibrati, e il lato rock appare un po’ soffocato da quello sinfonico, con il trascorrere del concerto la band (allargata a 10 elementi, con la partecipazione di fiati, archi e percussioni degli Esecutori di metallo su carta) acquisisce confidenza con il luogo ed equilibrio tra le sue varie parti, regalando un grande spettacolo. Da sempre creatori di atmosfere tangibili, i Calibro 35 stasera hanno nell’ambiente nel quale sono immersi un membro aggiuntivo di fondamentale importanza. Nella scenografia naturale che si apre alle spalle del palco, con le sue colline tipicamente toscane, prendono vita le visioni oniriche di S.P.A.C.E., così come la cavea ospita le utopie architettoniche di Decade. Quando poi gli strumenti classici lasciano maggior spazio all’essenzialità di chitarra/basso/batteria/tastiera il concerto guadagna energia e immediatezza, e risulta davvero difficile rimanere seduti sulle gradinate di pietra (Giulia Mon Amour reclama balli sfrenati!). Ma ci pensa la melodia epica della conclusiva Travelers a riportarci in questo luogo di 2000 anni fa, e a farci sentire nuovamente a nostro agio in questo perfetto intreccio di passato e presente.
[R.T.]
 
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Calibro 35 – 20.07.2018 – Teatro Romano di Fiesole (FI)

From cinema to theater. Calibro 35 transport their soundtrack music onto the most noble of stages. But it is not simply a theater, but the Roman Theater of Fiesole, one of the oldest existing (end of the first century BC). If places have got a soul, this one has got one that immediately enters into harmony with the tonight music. In the presence of millennia of history Calibro 35 out on stage a representation focused on the visionary and futuristic architecture of their latest album (Decade), perfectly at ease in an ancient place like this. Geometries of curved lines (stones and notes) fusing together. 70s architectural fantasies and realities built 2000 years ago, unexpectedly in sync. If, at the beginning, sounds are not so well calibrated, and the rock side seems a bit choked by the symphonic one, with the passing of the concert the band (expanded to 10 elements, with the participation of woodwinds, strings and percussion of the Esecutori di metallo su carta) gains confidence with the place and balance between its various parts, performing a great show. Always creators of tangible atmospheres, tonight Calibro 35 have got an additional member of fundamental importance in the environment in which they are immersed. In the natural setting that behind the stage, with its typically Tuscan hills, the dreamlike visions of S.P.A.C.E. come to life, just as the cavea houses the architectural utopias of Decade. When classical instruments leave more space to the essentiality of guitar/bass/drums/keyboard, the concert gains energy and immediacy, and it is really difficult to sit on the stone steps (Giulia Mon Amour claims wild dances!). But the epic melody of the concluding Travelers takes us back to this place of 2000 years ago, making us feel at ease again in this perfect interweaving of past and present.
[R.T.]

lunedì 13 agosto 2018

Wear Your Wounds – WYW


Wear Your Wounds – WYW
(Deathwish, 2017)

Qualche sera fa mi son ritrovato a cercare una musica che accompagnasse la sensazione galleggiante tra malinconica nostalgia e fragile speranza che mi si era appiccicata addosso. Ho spulciato i vinili, con un’idea precisa di quello che volevo provare, ma senza aver la minima idea di chi avrebbe potuto trasmettermelo. Ho messo sul piatto il disco d’esordio dei Wear Your Wounds, progetto con il quale Jacob Bannon esplora il suo lato umbratile e romantico, a metà tra post rock e darkwave. Memore del concerto al quale avevo assistito al Roadburn 2017, durante il quale il numero dei presenti era veramente ridotto a pochi intimi, ho pensato che questo album fosse un perfetto accompagnamento per la solitudine di quella afosa serata di piena estate, in cui la luce delle stelle quasi non riusciva a farsi largo attraverso lo scudo di umidità. Ho vestito le mie ferite con la fragilità che Bannon aveva fatto solo intuire nei brani più melodici dei Converge, e le ho avvolte con complesse costruzioni atmosferiche, molto più stratificate della nebbia lo-fi che pare coprire i solchi del disco. Ho lasciato che la musica mi facesse immergere nei ricordi senza che però mi annegasse in essi, e che - attraverso climax melodici disegnati dal piano e da una chitarra suonata con l’e-bow - mi aprisse al rallentatore le porte per un futuro misterioso e oscuro, ma comunque velato di speranza (Shine, Fog, Wear You Wounds, lo splendido assolo di Breaking Point). Una sincera serata di solitudine, magari non sempre a fuoco (come i pensieri di chi ha tagliato tutti i contatti con l’esterno), ma certamente indispensabile per venire a patti con la propria vulnerabilità.
[R.T.]
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Wear Your Wounds – WYW
(Deathwish, 2017)

A few nights ago I found myself looking for a music that would accompany the floating feeling between gloomy nostalgia and fragile hope that had stuck on me. I go over my vinyls with a fine tooth comb, with a precise idea of what I wanted to feel, but without having the slightest idea of who could transmit it to me. I put on the turntable Wear Your Wounds debut album - a project through which Jacob Bannon explores his shadowy and romantic side, halfway between post rock and darkwave. Mindful of the concert I attended at Roadburn 2017, during which the audience was really reduced to a few close friends, I thought this album was a perfect soundtrack to the loneliness of that midsummer sultry evening, when starlight almost could not make its way through the damp shield. I dressed my wounds with the fragility that Bannon had only hinted at in Converge most melodic songs, and I wrapped them with complex atmospheric constructions, much more stratified than the lo-fi fog that seems to cover the grooves of the record. I let the music make me immerse in the memories without make me drown myself in them, and - through melodic climaxes drawn by the piano and a guitar played with the e-bow - I opened in slow motion the doors to a mysterious murky future, yet still veiled with hope (Shine, Fog, Wear You Wounds, the amazing solo of Breaking Point). A sincere evening of solitude, maybe not always in focus (like the thoughts of those who cut all contacts with the outer world), but certainly essential to come to terms with our own vulnerability.
[R.T.]

giovedì 9 agosto 2018

Graveyard - Peace


Graveyard - Peace
(Nuclear Blast, 2018)

It ain't over yet! I Graveyard ce lo sparano in faccia, senza giri di parole. Con l’orgoglio e la sete di vendetta di chi si riaffaccia fuori dal cimitero nel quale pareva sepolto, per affrontare chi lo dava per spacciato. Una resurrezione che prende la forma di un disco passionale, in cui il delicato calore del blues del passato viene relegato a singoli episodi (See the Day e Bird of Paradise, cantate dal bassista Truls Mörck), in favore di un hard rock rovente che ustiona la pelle. Musica impetuosa che viene convogliata in una forma lineare e immediata. Peace non possiede la flessibilità e l'elasticità del passato (anche per il diverso stile dietro le pelli di Oskar Bergenheim, rispetto a quello del predecessore Axel Sjöberg), ma è un disco compatto in cui i bassi sono pompati con sensibilità da stoner band. Questo non significa che la fantasia del gruppo svedese sia scomparsa, bensì che questa dimora ora tra riff massicci ed esplode in splendide melodie e nel fuoco delle corde vocali di Joakim Nilsson (Cold Love). Dopo lo scioglimento del 2016, lo straordinario ritorno in vita dei Graveyard è la conferma che il rock, nonostante finali annunciati e lutti continui, possiede sette vite come i gatti ed è capace di sorprendenti rinascite. 
[R.T.]
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Graveyard - Peace
(Nuclear Blast, 2018)

It ain't over yet! Graveyards shoot this sentence bluntly. With the pride and thirst for revenge of those who reappear out of that cemetery in which they seemed to have been buried, to face those who gave them as passed off. A resurrection that takes the form of a passionate record, in which the delicate warmth of the blues of the past is relegated to single episodes (See the Day and Bird of Paradise, sung by bassist Truls Mörck), in favor of a burning hard rock. Impetuous music that is conveyed in a linear and immediate form. Peace does not have the flexibility and elasticity of the past (even for the different style of the new drummer - Oskar Bergenheim - compared to that of his predecessor - Axel Sjöberg), but it is a compact album in which basses are pumped with the sensitivity of a stoner band. This does not mean that the creativity of the Swedish band has disappeared, but rather that this dwells now among massive riffs and explodes in beautiful melodies and in the fire of of Joakim Nilsson's vocal chords (Cold Love). After their disbandment in 2016, the extraordinary return to life of Graveyard is the proof that - despite announced finals and continuous mournings - rock has got nine lives like cats and is capable of surprising rebirths.
[R.T.]

lunedì 6 agosto 2018

Nick Cave & The Bad Seeds - 17.07.2018 - Lucca Summer Festival

 

Nick Cave & The Bad Seeds - 17.07.2018 - Lucca Summer Festival

Nel 2013, sempre al Lucca Summer Festival, Nick Cave con i suoi The Bad Seeds mi ha letteralmente folgorata. La prima volta che lo sentivo e vedevo dal vivo. Un'emozione grandissima. Talmente grande, che avevo quasi paura di ripetere l'esperienza. Paura che non avrei provato le stesse sensazioni. Paura che questo ricordo avrebbe perso la sua aura luccicante. Per fortuna ha prevalso la parte di me che voleva rivivere quei momenti. Non soltanto hanno brillato della stessa luce, ma sono addirittura diventati ancora più forti e potenti.

Quasi due ore e mezzo di musica e passione. Il concerto di Nick Cave non è solo uno spettacolo, ma è pura visceralità. Si creano un'unione e comunione fra il palco ed il pubblico, fra l'artista e chi lo ascolta, che non ho mai trovato in nessun altro concerto. Cave è istrionico ed è uno stregone che incanta - quasi ipnotizza - tutti i presenti. E' come trovarsi immersi in una sorta di rito quasi ancestrale. Lui dà tutto se stesso al pubblico, ed il pubblico riversa tutto se stesso su colui che non è esagerato chiamare "idolo". La sua voce e le sue parole sono quasi un mantra che si insinua nella testa di chi ascolta. Lui ne è consapevole e apostrofa costantemente i suoi discepoli richiamandoli all'attenzione, ripetendo più volte il monito "Listen! Listen!". La magia della sua voce e della sua incontenibile carica è esaltata dai The Bad Seeds, musicisti incredibili, che manipolano la materia sonora dando vita ad un flusso emotivo che è il perfetto contraltare - complementare - di Nick Cave. Su tutti spicca come un gigante Warren Ellis, col suo violino e gli altri mille strumenti cui dà un'anima. La scaletta scorre avanti ed indietro il nastro del tempo della lunga carriera della band, con molte canzoni dall'ultimo - stupendo e tristissimo - Skeleton Tree, cui è affidata l'apertura e la chiusura del set. E c'è anche spazio per una canzone richiesta dal pubblico - Deanna. Per me, però, due sono gli apici della serata: Jubilee Street - con il suo crescendo di pathos, distorsione e "distruzione" - e Push the Sky Away - intimità che diventa un'onda umana, struggente e liberatoria. In tutto questo, non mancano il bagno di folla di Cave attraverso il pubblico (per arrivare al centro della piazza, sotto la statua centrale, ed innalzarsi al di sopra del suo pubblico per dirigere il battito delle mani su The Weeping Song) e l'ormai rituale "invasione" del palco da parte di una trentina di fortunati, che guardano al loro guru fra lacrime e stordimento. 

Dal concerto di Nick Cave & The  Bad Seeds non si può uscire indifferenti. Né dal punto di vista musicale, né da quello emotivo. Probabilmente o lo si ama, o lo si odia. Personalmente trovo che sia un'esperienza musicale ed emotiva difficilmente eguagliabile. E ora che ho fatto il bis, sono pronta a replicare nuovamente.
[E.R.]
   

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Nick Cave & The Bad Seeds - 07.17.2018 - Lucca Summer Festival

In 2013, at Lucca Summer Festival, Nick Cave with his Bad Seeds literally blew me away. The first time I listened and saw him live. A great emotion. So great, I was almost afraid to repeat the experience. Fear that I would not have felt the same feelings. Fear that this memory would have lost its shimmering aura. Fortunately, the part of me wanting to live once again those moments prevailed. Not only they shone with the same light, but they became even stronger and more powerful.

Almost two and a half hours of music and passion. Nick Cave's concert is not just a show, but it's pure viscerality. There's an union and communion between the stage and the audience, between the artist and the listener, that I have never found in any other concert. Cave is histrionic and is a sorcerer who enchants - almost hypnotizes - everyone present. It is like being immersed in a sort of almost ancestral rite. He gives his whole self to the audience, and the audience pours all of itself onto the one who is not exaggerated to call "idol". His voice and his words are almost a mantra creeping into the head of the listener. He is aware of it and constantly appeals to his disciples, calling them to attention, repeating the warning "Listen! Listen!" several times. The magic of his voice and his uncontrollable energy is enhanced by The Bad Seeds, incredible musicians, who manipulate the sonic matter giving life to an emotional flow that is the perfect - complementary - Nick Cave's counterpart. On all stands out like a giant Warren Ellis, with his violin and the other thousand instruments he gives a soul. The setlist slides back and forth the time tape of the long career of the band, with many songs from the last - stupendous and extremely sad - Skeleton Tree, which is entrusted with the opening and closing of the set. And there is also room for a song requested by the audience - Deanna. For me, however, two are the highlights of the evening: Jubilee Street - with its crescendo of pathos, distortion and "destruction" - and Push the Sky Away - intimacy that becomes a moving and liberating human wave. In all this, Cave crowd bathing through the audience (to get to the middle of the square, under the central statue, and rise above its listeners to direct the clapping of hands on The Weeping Song) and the now ritual "invasion" of the stage by more or less thirty lucky, who look at their guru with tears and dizziness.

Nick Cave & The Bad Seeds' concert can not leave you indifferent. Neither from the musical point of view, nor from the emotional one. Probably either you love it, or you hate it. Personally I find it to be a musical and emotional experience hardly equaled. And now that I attended it twice, I am ready to reply again.
[E.R.]
 



venerdì 3 agosto 2018

High Reeper – High Reeper


High Reeper – High Reeper
(Heavy Psych Sounds, 2018)

Ozzy Osbourne ha seminato innumerevoli figli in giro per il mondo. L’ultimo è nato nel 2016 a Philadelphia e si chiama High Reeper. Ozzy potrà non riconoscerlo, ma non c’è bisogno di un’analisi del DNA per rendersi conto chi sia il vero padre. High Reeper possiede la frenesia tossica dei Black Sabbath di Master of Reality, ma anche l’incedere funereo e lo sguardo oscuro del disco d’esordio della band di Birmingham. Non si sa di preciso chi sia la madre, ma di sicuro doveva avere l’energia e il tiro dello stoner rock californiano e un pizzico di sfrontatezza punk - caratteristiche che rendono il pargolo un’incontenibile fucina di riff divertenti e dal groove travolgente. High Reeper è ancora un bambino e segue fedelmente le orme del padre (e dei vari zii – Pentagram e Saint Vitus in testa), ma la sua fantasia fa presagire ottimi voti alla scuola di proto-metal e retro-rock alla quale è da poco iscritto. Compagno di banco del fratello Beastmaker, High Reeper ha una passione per l’horror rock meno esplicita, ma una più evidente attrazione per rombi di motore e accelerazioni. Sperando che con la crescita la band sviluppi appieno la sua personalità (raccogliendo magari qualche pessimo voto, iniziando a ripudiare i genitori, e gettandosi a capofitto nelle droghe e nelle cattive compagnie), ci godiamo intanto le trascinanti canzoni di questo esordio.
[R.T.]
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High Reeper – High Reeper
(Heavy Psych Sounds, 2018)

Ozzy Osbourne has got countless children around the world. The last one was born in 2016 in Philadelphia and he is called High Reeper. Ozzy may not recognize it, but there is no need for a DNA analysis to realize who the real father is. High Reeper has got the toxic frenzy of Black Sabbath at the time of Master of Reality, but also the funeral gait and the obscure look of Birmingham band's debut album. We do not know exactly who the mother is, but surely she must have the energy and groove of Californian stoner rock and a pinch of punk effrontery - features making the baby an uncontrollable forge of funny riffs with overwhelming groove. High Reeper is still a child and he faithfully follows in the footsteps of his father (and his various uncles - Pentagram and Saint Vitus above all), but his imagination foreshadows excellent grades in the school of proto-metal and retro-rock to which he has just registered. Deskmate of his brother Beastemaker, High Reeper has got a less explicit passion for horror rock, but a more obvious attraction for motorbike rumbles and accelerations. Hoping that with its growth the band will fully develop its personality (maybe collecting some bad grades, starting to repudiate parents, and attending bad friends), in the meantime we enjoy the enthralling songs of this debut.
[R.T.]