Pagine

venerdì 25 novembre 2016

King Crimson - 09.11.2016 - Teatro Verdi (Firenze)


King Crimson - 09.11.2016 - Teatro Verdi (Firenze)

Il Re Cremisi è un monarca autoritario e un po' folle che domina l'universo del rock progressivo da quasi 50 anni. Fin dalla più tenera età ha mostrato curiosità e fantasia, modellando la musica a suo piacimento, come fosse un giocattolo. Per far questo, il suo alter ego in carne ed ossa - Robert Fripp - si è circondato di compagni di giochi sempre diversi, ma sempre contraddistinti da una forte personalità. E' un monarca talmente autoritario e folle che, con l'età, è arrivato al punto da assoldare delle guardie di nero vestite a vigilare sull'ordine perentorio imposto agli spettatori delle sue esibizioni, riguardo l'assoluto divieto di fare video e foto. 
Entrare nella Corte del Re è un passo che mette soggezione, soprattutto nell'aristocratico ambiente di un Teatro. Dal palchetto, l'impatto scenografico è maestoso: tre batterie in primo piano e, alle loro spalle, la tribuna per il resto della "famiglia reale". 

Che lo spettacolo abbia inizio.

Un gioco di specchi tra tamburi, piatti e assurde percussioni di ogni tipo è la prima apparizione. Disarmante e spiazzante fin dall'inizio, il gruppo affida il ruolo di incipit alle convulsioni cervellotiche di Larks' Tongues in Aspic. I tre tentacolari batteristi - Pat Mastellotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey - giocano con continui reciproci richiami, mostrando la loro complementarietà (tanto quadrato, preciso, potente Harrison quanto morbido e sperimentatore Mastellotto, mentre Stacey - che suona anche synth e tastiere - alterna la linearità del rock a passaggi più tipicamente jazz). Ancora senza fiato, come un trapezista appeso a dondolare a testa in giù, entro in un'altra epoca - fine anni ‘60 e inizio ‘70 - ma in realtà viaggio astratto rispetto al tempo convenzionale. 

Sembra impossibile che la storica band inglese riproponga, dopo tanti anni, suoni e atmosfere calde e avvolgenti come quelle dei loro primi album (1969-1971). Eppure - grazie ai fiati di Mel Collins, al mellotron di Fripp e alla voce scarna, melodica, (caratterizzata da un'intensa e calda vibrazione) di Jakko Jakszyk, - tutto diventa possibile. E reale. Peace: an End, The Letters, perfino una delle parti che compongono Lizard. Brani ricercati che brillano come gemme pregiate, nascoste in mezzo a classici ben più conosciuti.  Accanto a questi momenti morbidi, jazzati, coperti da una bruma tipicamente inglese, la band ripercorre le spirali ritmiche e ipnotiche del resto della carriera, in cui un'inarrestabile Tony Levin tiene testa, con il suo basso (o il chapman stick, all'occorrenza) ai tre batteristi.  

I riff frammentati e nervosi della seconda fase (1973-1974) assumono con naturalezza le forme di un jazz spigoloso e dissonante. Quelli degli anni '80 sono reinterpretati con nuova sensibilità (Jakko Jakszyk dona nuova vita ad Indiscipline, riscrivendo la melodia della voce, senza la minima intenzione di ricreare la schizoide fantasia di Adrian Belew), mentre i suoni ultramoderni caratterizzanti il periodo anni '90/'00 sono resi meno meccanici e schiaccianti, senza però perdere un briciolo di elettricità ed evidenziando un'inedita "componente umana". Ma oltre a riproporre brani tratti da quasi tutti i loro dischi, i King Crimson degli anni '10 giocano a sbriciolare e ricomporre la materia sonora (soprattutto la sua componente ritmica) così come farebbe una band jazz, proponendo nuovi frammenti - al momento inediti in studio - e dimostrando quanto un concerto dedicato principalmente a ripercorrere l'intera storia della band si basi ancora una volta sulla creatività. Creatività che consente di amalgamare sonorità e atmosfere apparentemente distanti tra loro, grazie a continue reinterpretazioni - non esclusivamente ritmiche (Easy Money, racchiuso nel suo guscio di rock deciso ed energico, ad esempio, contiene un lungo passaggio liquido e psichedelico guidato dalla chitarra di Fripp).

Il secondo dei due lunghi set che caratterizzano la serata si chiude con la crepuscolare atmosfera di Starless. La coda di dissonanze magiche, che si inseguono l’un l’altra è - insieme alla sontuosa rassegnazione di Epitaph - il momento più emozionante di un concerto memorabile. 

Ma prima che il Re Cremisi si eclissi, c’è ancora spazio per un bis: prima l'omaggio a David Bowie, con quella "Heroes" in cui Fripp naviga con la sua chitarra in oceani cosmici, e - infine - il brano da cui tutto è scaturito e in cui tutto torna a convergere: 21st Century Schizoid Man. Chi è entrato nella Corte del Re, questa sera, si è trovato al cospetto di un regnante vecchio e saggio, la cui follia è consapevolezza del delirio nel quale viviamo la nostra esistenza. 
[R.T.]

***

King Crimson - 11.09.2016 - Teatro Verdi (Firenze)

The Crimson King is a bit crazy authoritarian monarch who has been dominating rock progressive universe for nearly 50 years. Since his childhood he has been showing curiosity and fantasy, shaping music as he pleases, as if it was a toy. To achieve his aim, his human alter ego – Robert Fripp – has constantly surrounded himself with always new playmates, yet always characterised by a strong personality. Indeed, he is such a crazy authoritarian monarch that, becoming older, he decided to engage black dressed guardians to prevent people in the audience to make videos or photos during his performances. To enter the Court of the King fills anyone with awe, especially if inside a Theatre. From my seat, the scenographic impact is majestic: three drums in the foreground and, behind them, the tribune for the rest of the “royal family”.

Let the show begin.

A hall of mirrors of drums, cymbals and every sort of percussions as first apparition. Disorienting from the very beginning, the incipit are Larks' Tongues in Aspic brainy convulsions. The three drummers - Pat Mastellotto, Gavin Harrison e Jeremy Stacey – play constantly recalling each other, showing their complementarity (Harrison is so much precise and powerful as Mastellotto is smooth and experimental, while Stacey – playing also synth and keyboards – alternates rock with jazz). Still breathless, I enter into another era – late 60s/early 70s – but to be honest I am travelling out of the conventional time.

It seems impossible that after so many years the historic English band plays again those incredible atmospheres of their first albums (1969-1971). Indeed, thanks to Mel Collins wind instruments, Fripp mellotron and Jakko Jakszyk melodic bare voice, everything becomes possible. And real. Peace: an End, The Letters, and even one of Lizard parts. Songs which shine as precious gems amongst ultra-famous classics. Together with this jazzy, smoothy moments covered in a typically English mist, the band retraces the rhythmic hypnotic spirals of the rest of its career, with an unrestrainable Tony Levin able to keep up with the three drummers thanks to his bass or chapman stick.

Fragmented nervous riffs of the second phase (1973-1974) naturally become a dissonant jazz. Those of the 80s are reinterpreted with new sensitivity (Jakko Jakszyk gives new life to Indiscipline, rewriting the melody of the voice, without the slightest intention of recreating the schizoid fantasy of Adrian Belew), while the ultra-modern sounds characterizing the 90s /00s have become less mechanical and overwhelming, yet without losing a shred of electricity and highlighting an unprecedented "human component". But besides playing songs from almost all their releases, 10s era King Crimson play to crumble and recompose the sound matter (especially his rhythmic component) as well as a jazz band would do, proposing new fragments - unreleased at this moment - and showing how much a concert mainly devoted to retrace the entire history of the band is based once more on creativity. Creativity that allows to mix together apparently distant sounds and atmospheres, thanks to continuous reinterpretations - not exclusively rhythmic (for example, Easy Money, enclosed in its shell of energic rock, contains a long liquid psychedelic phrasing led by Fripp guitar).

The second of the two long sets characterizing the evening ends with the twilight atmosphere of Starless. These magical dissonances following one each other are - along with the sumptuous resignation of Epitaph - the most exciting touching moment of a memorable concert.

But before the Crimson King eclipses, there is still time for an encore: a tribute to David Bowie, with that "Heroes" where Fripp sails with his guitar through cosmic oceans, and - finally - the song from which eveything originated and where everything returns to converge: 21st Century Schizoid Man. Who has entered the Court of the King this evening, found himself in the presence of an old wise ruler, whose madness is awareness of the delirium in which we live our existence.
[R.T.]

Nessun commento:

Posta un commento