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domenica 15 novembre 2020

Esoteric – A Pyrrhic Existence


Esoteric – A Pyrrhic Existence
(Season of Mist, 2019) 

“E ora affronterai il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di esplorabile”. Lucio Fulci ci intrappola nel suo L'Aldilà con queste parole e con l’immagine di un deserto sconfinato, avvolto nella nebbia, nel quale corpi umani giacciono come pietrificati. Un deserto gelido, del tutto simile a quello che gli Esoteric utilizzano per rappresentare visivamente la musica del loro ottavo disco. Ancorate a terra come se avessero radici, disperate nel tentativo di allontanarsi da quell'Inferno di immobilità, le figure scheletriche della copertina di A Pyrrhic Existence sembrano i corpi esanimi del film di Fulci, in un ultimo tentativo di tornare alla luce. Ma nella musica della band britannica la luce non filtra. I bagliori che intravediamo all’interno delle sei monolitiche composizioni sono aurore boreali di sintetizzatore. Lampi glaciali che accentuano le ombre. In una stasi che pare ineluttabile, la ricerca spasmodica di un senso - per quanto destinata a fallire - rende la musica viva, anche se sfibrante. Se il mare delle tenebre è esplorabile, lo è anche l’abisso degli Esoteric. Nonostante la psichedelia stordente della band sia utilizzata come un magnete per risucchiare ogni energia, i riff rabbiosi sono come passi che si sollevano pesanti dalle sabbie mobili, e la melodia compare a tracciare nuove strade nel vuoto cosmico. Anche con il loro disco più gelido gli Esoteric mostrano come sia possibile esplorare l’abisso, componendo l’ennesimo capolavoro.

[R.T.]

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Esoteric – A Pyrrhic Existence
(Season of Mist, 2019) 

"And now you will face the sea of darkness, and what is explorable in it". Lucio Fulci traps us in his The Beyond with these words and with the image of a boundless desert, shrouded in fog, in which human bodies lie as if petrified. An icy desert, similar to the one that Esoteric use to visually represent the music of their eighth album. Anchored to the ground as if they had roots, desperate to get away from that Hell of immobility, the skeletal figures on the front cover of A Pyrrhic Existence look like the lifeless bodies of Fulci's movie, in a last attempt to return to the light. But there is no light filtering through the British band's music. The glows that we see inside the six monolithic compositions are synthesizer aurora borealis. Glacial flashes that accentuate the shadows. In a stasis that seems unavoidable, the spasmodic search for meaning - though doomed - makes the music alive, even if exhausting. If the sea of darkness is explorable, so it is Esoteric's abyss. While the band's stunning psychedelia is used as a magnet to suck in all energy, the angry riffs are like footsteps heavily lifting from quicksand, and melody traces new paths in the cosmic void. Even with their coldest record Esoteric show how it is possible to explore the abyss, composing the umpteenth masterpiece.

[R.T.]

giovedì 12 novembre 2020

Idles – Ultra Mono


Idles – Ultra Mono
(Partisan Records, 2020)

La rabbia e il sarcasmo degli Idles sono ciò che ricorderemo di questo 2020 che va in pezzi. Con onestà e idealismo da vecchi punk, gli Idles cercano di scendere a patti con l’immagine che si sono costruiti. Ma prima di riuscirci, ci fanno a pugni e poi ci si ubriacano insieme, come veri hooligans. Cercando di liberarsi delle aspettative che se ne stanno appollaiate come una scimmia sulla loro spalla, scrivono un disco per loro stessi (e per chi vorrà unirsi a loro).
Un disco che è un richiamo ad uno spirito di comunità che sia in grado di generarsi spontaneamente. Una comunità tenuta insieme da una unità di idee, sia politiche che artistiche. Circondandosi di collaboratori illustri (David Yow, Colin Webster, Warren Ellis, Jamie Cullum, Jehnny Beth), gli Idles omaggiano i loro idoli e dando vita ad un gruppo di musicisti al quale il pubblico potrà decidere se aggregarsi, qualora ne condivida gli intenti. “We are derivative […] We are naive. We are sloganeering”. Prendere o lasciare.
Concentrandosi sulla semplicità del riff e sull’immediatezza melodica, Ultra Mono suona meno deflagrante di Brutalism (2017). Ma non perché manchi d’energia, bensì perché questa viene incanalata come il proiettile nella canna di un fucile, anziché essere sbriciolata in schegge da una bomba. Con le sue cavalcate sghembe e nere che sembrano suonate a dorso del ronzino che si trova sulla copertina dell’ultimo Protomartyr, Ultra Mono suona meno irriverente di Joy as an act of resistance (2018). Ma non perché la band inglese abbia perso il senso dell’ironia o il gusto per la dissacrazione punk: bensì perché ora, nel loro 2020, il sorriso sardonico è rivolto verso loro stessi.
Nel 2020 gli Idles sono diventati grandi. E combattono l’eterna battaglia per mantenere la loro innocenza. Se il fatto stesso di essere consapevoli di essere ad un bivio del loro percorso, e di dover cercare di non perdere la strada della loro spontaneità, è un ragionamento razionale che di per sé implica una perdita di genuina spontaneità, Ultra Mono sta lì a dimostrare che una band può aver raggiunto la maturità senza aver perso la scintilla del “qui e ora”. Ed è qui ed ora, in questo 2020 di crisi sociale, che si sta creando una nuova comunità di cui gli Idles sono parte integrante.

[R.T.]

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Idles – Ultra Mono
(Partisan Records, 2020)

Idles’ rage and sarcasm are what we are going to remember of this 2020 which is falling apart. With the honesty and idealism of old punks, Idles try to come to terms with the image they built themselves. But before they do it, they fight it and then get drunk together, like real hooligans. Trying to get rid of those expectations roosted like a monkey on their shoulder, they write an album for themselves (and whoever wants to join them). 

A record that is a call to a community spirit capable of generating itself spontaneously. A community held together by a unity of ideas, both political and artistic. Surrounding themselves with illustrious collaborators (David Yow, Colin Webster, Warren Ellis, Jamie Cullum, Jehnny Beth), Idles pay homage to their idols and give life to a group of musicians to which the public can decide whether to join or not, in case they share their intents. “We are derivative […] We are naive. We are sloganeering". Take or leave.

Focusing on simplicity of riff and melodic immediacy, Ultra Mono sounds less explosive than Brutalism (2017). Yet not because it lacks energy, but because it is channeled like a bullet into the barrel of a gun, rather than being crumbled into splinters by a bomb. With its crooked black rides that seem to be played on the back of the nag on the front cover of the latest Protomartyr album, Ultra Mono sounds less irreverent than Joy as an act of resistance (2018). Yet not because the English band has lost the sense of irony or the taste for punk desecration: but because now, in their 2020, the sardonic smile is turned towards themselves. 

In 2020, Idles have grown up. And they fight the eternal battle to keep their innocence. If the awareness of being at a crossroads in their path, and of having to try not to lose the path of their spontaneity, is a rational reasoning that in itself implies a loss of genuine spontaneity, Ultra Mono is there to demonstrate that a band may have reached maturity without losing the spark of the "here and now". And it is here and now, in this 2020 of social crisis, that a new community is being created of which Idles are an integral part.

[R.T.]